S.TERESA D’AVILA
In Dio conosciamo noi stessi: il “Castello Interiore”
- seconda parte -
Alberto Neglia, ocarm
11.11.2015 - incontro inserito nell'ambito dei
I MERCOLEDÌ' DELLA SPIRITUALITÀ 2015
S. TERESA D’AVILA DONNA IN CAMMINO CON DIO
Nel V Centenario della nascita (1515-2015)
promossi dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
Il cammino proposto nel Castello interiore punta alla celebrazione delle nozze tra Dio e la creatura.
Presentato in sette tappe, queste potrebbero essere sintetizzate con una o varie parole ciascuna: la conversione, la lotta e la perseveranza, la prova e la nuova conversione, la grazia come esperienza di dono, il rinnovamento della vita in Cristo, le grazie della vita mistica, il culmine del matrimonio spirituale e della totale donazione apostolica.
Nella proposta che Teresa fa del cammino spirituale, sempre a partire dalla sua esperienza il periodo ascetico comprende le prime tre mansioni; il periodo mistico le tre ultime; un periodo misto viene assegnato alle quarte mansioni. Però tutto il cammino si svolge sotto l’influsso del Volto di Dio; Teresa ha una visione mistica della persona umana fin dall’inizio. E anche nel periodo mistico, Dio attende le libere risposte della persona, sempre più intense e impegnative.
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Per esprimere ciò che si verifica nella vita dell’uomo quando si lascia “imprimere”, “scolpire” dal volto di Dio, Teresa usa il simbolo del baco da seta: “Avete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui egli solo poteva essere l’autore. Si tratta di piccoli semi. (…) Al sopraggiungere dell’estate, quando i gelsi si coprono di foglie, questi semi cominciano a prender vita. Prima che spuntino quelle foglie di cui si devono nutrire, stanno là come morti; a poco a poco con quell’alimento si sviluppano, finché, fatti più grandi, salgono sopra alcuni ramoscelli e ivi con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa” (5M 2,2).
Siamo a un passaggio critico: il vermiciattolo fa il suo bozzolo, si chiude dentro, produce la seta, muore come verme, nasce come farfalla. “(L’anima di cui il verme è solo l’immagine) comincia prendere vita quando per il calore dello Spirito Santo, comincia a valersi dei soccorsi generali che Dio accorda a ognuno e a servirsi dei rimedi che Egli ha lasciato nella sua Chiesa…” (5M 2,3).
Quando questo verme (l’anima) si è fatto grande, comincia a secernere la seta e a costruirsi la casa nella quale dovrà morire. “Questa casa, avverte Teresa, è il nostro Signore Gesù Cristo” (5M 2,4).
Tenendo conto di questo paragone, dalle prime alle quarte mansioni abbiamo la fase in cui il bruco mangia le foglie di gelso, elabora il filo di seta, costruisce il bozzolo di seta in cui si rinchiude, cioè, si riveste di Cristo; nelle quinte mansioni avviene la morte “come bruco” e la “trasformazione in farfalla”, cioè la partecipazione al mistero pasquale. E questa è azione di Dio, è lui che trasforma l’esistenza (anima) da verme a farfalla. Teresa annota con stupore:
“Osservate qui, figlie mie, quello che con l’aiuto di Dio possiamo fare: che Sua Maestà diventi nostra dimora fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione. Dicendo che Dio è nostra dimora, e che questa dimora possiamo fabbricarcela da noi stessi per prendervi alloggio, sembra quasi che voglia dire di poter noi aggiungere o togliere a Dio qualche cosa. E lo possiamo benissimo, ma non aggiungendo o togliendo a Dio, bensì aggiungendo o togliendo a noi, come quei piccoli vermi, perché non avremo ancora ultimato quanto sarà in nostro potere che Egli verrà, e unendo alla sua grandezza la nostra lieve fatica, che è un nulla, le conferirà un valore così eccelso da meritare che Egli si costituisca in nostra stessa ricompensa. Non contento di aver sostenute le spese maggiori, vorrà pure unire le nostre piccole pene alle molto grandi che Egli un giorno ha sofferto per non farne che una cosa sola” (5M 2,5).
Si tratta, allora di morire a se stessi. Morte che equivale a nascondersi in Cristo e che rende possibile quella trasformazione per la quale si vive unicamente in Dio: si giunge a un’altra dimensione di vita simboleggiata dalla farfalla bianca.
A questo punto l’anima non pensa più unicamente a se stessa, come prima (cf. 5M 2,11), ma “si sente presa da un desiderio vivissimo di lodare Iddio, sino a bramare di distruggersi e di affrontare mille morti” (5M 2,7).
Si tratta quindi di una trasformazione che consiste nel superamento radicale del proprio io e nella scoperta del tu: il tu di Dio e il tu del prossimo. Proprio come dice Martin Buber: “L’io è l’eterna crisalide, il Tu è l’eterna farfalla”. La persona umana, quindi, liberata dal suo egoismo (per dono di Dio), vive la meravigliosa avventura dell’incontro con l’Altro.
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