giovedì 10 dicembre 2015

La strage degli innocenti continua... ma servirà almeno a farci riflettere per cambiare?



LA STRAGE MARITTIMA DEGLI INNOCENTI
BAMBIN-GESÙ CHE SI CHIAMANO AYLAN 
di Giuliana Martirani

Chissà che Aylan annegato sulla spiaggia di Bodrum, o Zeid, preso a calci da una giornalista “folle” o la piccola baby-profuga siriana che, sull'autostrada Istanbul-Edirne, gattona dinnanzi ai militari in tenuta da guerra con scudi antisommossa e che invece invita all’umano e al sorriso anche il soldato; o le centinaia di bambini accolti dalla culla mediterranea in un definitivo atto di misericordia; chissà che questi bambini teneri e dolci, icona delle tanti morti nel Mediterraneo e sui confini europei, non ci facciano ripensare di nuovo al fatto che siamo invecchiati, anzi morti, dentro più ancora che fuori, come persone, popoli, gruppi, comunità. 
E ci facciano riflettere su tutte le nostre innocenze perdute:
• Con noi stessi a causa del nostro orgoglio e di essere chissà chi
• Con il prossimo a causa del complesso di superiorità 
• Con la natura per il complesso di sottomissione 
• Con i popoli del mondo per il nostro complesso di dominio.
E chissà che non ci facciano di nuovo venir la voglia di RINASCERE come persone, e di rinascere anche come città, così ingiuriosamente sommerse non solo dai rifiuti ma anche dai rifiutati: senza fissa dimora, rom, stranieri, clandestini... scarti e rifiutati!
E non solo quelli RIFIUTATI dalle nostre città ma anche quelli rifiutati dalle nazioni, (dimentiche dei loro ‘sfollati’ d’un tempo) i cacciati via dai nostri respingimenti in mezzo al mare o alle frontiere, dinanzi a nuovi muri, come quello di Berlino d’un tempo e quello d’Israele contro la Palestina e degli Usa contro il Messico, e quello dell’Ungheria, della Slovenia, e quelli africani… di ora, e che si fa finta di non vedere e si rimuove, così, ciò che è vergogna per tutti a causa della nostra in-nocenza distrutta di umani, di fratelli, di cristiani.
E chissà che questi bambini teneri e dolci non ci facciano fare un dirottamento totale per vedere Dio: dalla cima del monte, dove abbiamo voluto relegarlo e raggiungerlo, al profondo della grotta, icona del rifugio precario, in cui milioni di individui si riparano e dove Lui sta, sua dimora regale e reale.
La presunzione dell’ascesi dell’uomo verso Dio, il suo infantile salire sui monti per vederlo, il suo tendere la corda al cielo per arrampicarsi verso di Lui, la pretesa superba dell’uomo che suppone di andare lui verso Dio con infinite preghiere ripetute e biascicate, distrattamente e stancamente, oppure con pratiche di perfezione inflitte a se stessi e agli altri, in uno spasimo di superbia e di orgoglio; oppure con atti di bontà indiretta: buoni solo per raggiungere suppostamente Dio e non buoni per amore; tutto ciò crolla totalmente con la realtà di bambini, nascite e grotte, da secoli ribadite liturgicamente e da secoli ripetute esistenzialmente.


Alla grotta bisogna arrivarci: dall’alto dei monti dove noi, come lontane figurine presepiali, siamo infinitamente piccoli che neanche si riesce a vederci, dobbiamo scendere fino alla grotta...

Alla grotta bisogna arrivarci: dall’alto dei monti, dove la nostra identità e statura è infinitamente piccola che neanche si riesce a vederci, appena accennati come esseri, così impegnati come siamo ad esistere e a farci strada, oppure a scalare presuntuosamente la strada verso il cielo...

Alla grotta bisogna arrivarci: dall’alto dei monti, dobbiamo scendere fino all’incontro con il dolore e la povertà che c’è nella grotta: due ragazzi che hanno detto sì alla vita senza aver casa, lavoro e senza neanche essere in regola con le tradizioni, gente che crede ancora nei miracoli e nel miracolo della vita, nelle parole dette da Dio e nei sogni che le rivelano...

Alla grotta bisogna arrivarci: dall’alto dei monti, dobbiamo scendere... camminando camminando, per giungere fino alle viscere della terra, alle sue grotte, ai suoi anfratti, siamo costretti a vederla la vita di quelli che si arrabattano nei mille mestieri e nelle mille miserie quotidiane: dobbiamo arrivare al bambino attraverso il mercato, le case, le osterie, percorrendo i sentieri normali e quelli tortuosi degli umani e del loro esistere: a Dio attraversando la vita di Maria … attraverso gli uomini e le donne del tempo che si sta vivendo.

Alla grotta bisogna arrivarci: dall’alto dei monti, dobbiamo scendere fino all’incontro con il dolore e la povertà che c’è nella grotta: CON FEDE SPERANZA E CARITA’

Con la fede che solo il progetto di Giustizia e di Pace di Dio funzionerà davvero.
Con la speranza di chi sa essere avvistatore di futuro, esploratore del nuovo, e di chi sa scrutare gli orizzonti appena accennati perché sa accorgersi dei germogli di novità che stanno appena appena spuntando, perché non sta orgogliosamente con il naso all’insù gloriando se stesso nel suo complesso di superiorità.
Con l’amore verso il più piccolo e l’ultimo, dinanzi a cui va a inchinarsi perché “cingendogli il collo possa rialzarsi”.

Chinandosi su Aylan annegato sulla spiaggia di Bodrum.
O su Zeid, per rimetterlo in piedi dopo essere stato preso a calci dalla giornalista “folle”.
O chinandosi sulla piccola baby-profuga siriana che gattona e dopo aver invitato all’umano e al sorriso il soldato, lo vede semmai abbandonare scudo e armi per prenderla in braccio, schioccarle un bacio e portarsela a casa con tutta la sua famiglia, in uno slancio di umanità ritrovata.


Il link per leggere il libro di Giuliana Martirani MISERICORDIANDO DALL'INDIFFERENZA AD UN UMANESIMO MISERICORDIOSO (Prefazione di Giancarlo Bregantini e presentazione di Elisabetta Piquè)



La morte di 700 bambini in mare nell’ultimo anno fa pensare alla “strage degli innocenti. Quando leggiamo le pagine del Vangelo restiamo interdetti su come Erode abbia potuto fare una cosa simile” ma “oggi ci accorgiamo che gli stiamo facendo concorrenza”.
Lo ha detto l’arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas, il card. Francesco Montenegro, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, sottolineando che è “una strage che dovrebbe farci riflettere. Sono migliaia i morti che continuiamo a contare senza reagire”.
“La morte di 700 minori – ha proseguito il card. Montenegro - non ci fa pensare, ma se dovessero scomparire 700 bambinelli dai nostri presepi questo diventerebbe motivo d’indagine. Gesù è presente nei fratelli più piccoli: dovremmo essere capaci di riconoscere Gesù in questi bambini che muoiono nel mare se vogliamo fare il presepe”...

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