sabato 12 settembre 2015

Capire il mondo dalle periferie di p. Giulio Albanese

Capire il mondo dalle periferie 
di p. Giulio Albanese


8 settembre 2015 - Tirana (Albania)

Incontro Internazionale 
"LA PACE È SEMPRE POSSIBILE"
 religioni e culture in dialogo 




Premessa
Papa Francesco ha un chiodo fisso nella sua predicazione: le periferie, le frontiere, tutto ciò che è distante da noi non solo fisicamente, ma anche concettualmente. Come dargli torto? Se Cristo, oggi, fosse fisicamente nella nostra società, come duemila anni fa, inizierebbe la sua missione proprio da lì. Nel Vangelo di Marco è scritto che “Gesù andò nella Galilea” (1, 14), inaugurando da quella regione frontaliera il suo ministero salvifico. Già, la Galilea, terra di “bifolchi” (così erano chiamati gli abitanti di quella regione dai Giudei), una terra disprezzata, ricettacolo di poveri e di contadini, gente rozza e di poco conto. La frontiera, è bene sottolinearlo, non è solo un luogo geografico che divide, che segna il limite, che separa il noto dall’ignoto, ma è anche una situazione, soprattutto un’opzione. E’ proprio lì, quando i rapporti tra le nazioni si deteriorano, che avvengono le prime scaramucce, le azioni premonitrici di una conflittualità che potrebbe investire due Paesi confinanti. Dal punto di vista “situazionale”, la frontiera rappresenta la linea di faglia tra ciò che è certo (il proprio Paese di origine) e ciò che è incerto, tra il comodo benessere e l’emarginazione. Passare la frontiera significa dunque lasciarsi alle spalle una situazione familiare, tuffandosi nell’ignoto. Ma non a tutti piace stare così esposti, a meno che non si tratti di turisti in cerca d’avventure. Viene, pertanto, spontaneo chiedersi quali possano essere, oggi, le frontiere dove il Signore ci chiama a seminare la Sua Parola. 

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Il metodo di lettura della realtà

"...è bene rammentare che Giovanni XXIII, nella sua profetica lettura della storia della Chiesa, ha invitato a scrutare questi segni affermando: “Facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi, crediamo di scoprire, in mezzo a tante tenebre, numerosi segnali che ci infondono speranza sui destini della chiesa e dell’umanità”[2]. Questa attenzione ai segni da parte del “Papa Buono” trova la sua esplicitazione sia nella Gaudium et Spes, come anche nella Lumen Gentium, dove è evidente il cambiamento ecclesiologico di posizione e di prospettiva. La Chiesa si autocomprende al servizio della Parola rivelata, proponendosi come mediazione di essa nel mondo. Una Chiesa pellegrina con l’uomo del suo tempo che per lui rappresenta la “compagnia della fede” nella ricerca della autentica volontà di Dio[3]. Una Chiesa umilissima che chiede aiuto agli uomini del suo tempo per essere capace di leggere attentamente i fenomeni umani. Una Chiesa povera, consapevole che la verità è ricerca comune e che essa la possiede solo in una prospettiva escatologica. Intendiamoci, questa non è una prospettiva del protestantesimo, è il modo di pensare della più alta autorità del Magistero: il Concilio! “La Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano... la Chiesa ha un bisogno particolare dell’aiuto di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti delle varie situazioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o non credenti”[4]. Non credo sia esagerato dire che mai erano state scritte parole così esplicite da parte della Chiesa nei confronti del mondo. Mi pare che questo sia un dato che va ricordato con insistenza, perché segna un modo nuovo di porsi della Chiesa – ancora non pienamente realizzato – nei confronti delle culture, delle ideologie e degli uomini che le formano. In questo contesto, i segni dei tempi orientano verso un’interpretazione più universale del dato rivelato e obbligano la stessa Chiesa, nel suo insegnamento, a sintonizzare tale messaggio salvifico alla vita e alla cultura dell’uomo, una realtà in costante mutamento. Ma quali sono oggi realmente i segni dei tempi che possiamo leggere stando in periferia e sui quali dovremmo operare un serio discernimento?
La lista potrebbe essere molto lunga, ma per brevità mi soffermerò solo su quelli che, dalla mia prospettiva, risultano essere sintomatici di un mondo che sta attraversando una fase, senza precedenti nella storia umana, di mutazioni; vere e proprie trasformazioni trasversali, presenti con sfumature diverse, nei cinque continenti.


1) Il primo segno è quello della globalizzazione. Un fenomeno su scala planetaria i cui effetti sono evidenti a livello socio-politico-economico, oltre che culturale e religioso..."
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Oggi, insomma, non esistono più regole certe che affermino il primato della politica sul “business” e, nel vuoto legislativo lasciato dai soggetti nazionali, si insediano attori privati che divengono padroni assoluti, sostituendosi ai governanti. Dobbiamo forse, come cristiani, rassegnarci alla supremazia del mercato, dove la produzione a tutti i costi cancella ogni valore, generando peraltro, come ha scritto un grande intellettuale italiano Stefano Rodotà, “una sorta di invincibile diritto naturale”? Vi sono altre strade da percorrere? Sarà possibile che il sacrosanto diritto al lavoro, sancito dalle grandi democrazie, debba essere silenziato dai fautori del liberismo più sfrenato, che pretendono di muoversi impunemente, senza freni inibitori, con la convinzione che è possibile fare incetta di braccia a qualsiasi prezzo in giro per il mondo? La posta in gioco è alta perché, come raccontano i nostri missionari, vi è un bisogno crescente di giustizia in ogni angolo della Terra. Il timore nasce anche dal pericoloso sommarsi, su scala planetaria, dei costi eccessivamente elevati delle derrate agricole, con effetti devastanti sui ceti meno abbienti. A ciò si aggiunga il fatto che ogni variazione benché minima di prezzi e tariffe, dal costo del carburante ai servizi della telefonia cellulare, intacca inesorabilmente i redditi, ormai ridotti all’osso, della povera gente. Nel frattempo, molti governi sono costretti a “raschiare il barile” per far fronte alla spesa pubblica, falcidiati come sono dalla crisi finanziaria globale e dall’incertezza di un “sistema” che fa acqua da tutte le parti. Dopo oltre sette anni dal fallimento della banca speculativa Lehman Brothers e dallo scoppio della bolla finanziaria negli Usa – è bene rammentarlo - non siamo ancora usciti dal pantano. Eppure, tutti sanno che la crisi finanziaria globale non era un avvenimento imprevedibile, ma il risultato inevitabile dell’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, del ruolo nefasto della speculazione, in particolare della finanza derivata e soprattutto della grande propensione al rischio. .. 
Nel frattempo i super ricchi del pianeta lo sono diventati ancor di più, mentre i poveri hanno superato il miliardo. La ricchezza si è vertiginosamente concentrata nelle mani dello 0,1% dei più ricchi del mondo. I cittadini, le aziende e i governi, invece, sono stati oggetto di continue pressioni per far fronte ai propri debiti
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Vi sono non pochi cattolici nel mondo che non hanno ancora compreso che questa materia non può prescindere da un giudizio evangelico. In alcune coscienze si manifesta una sorta di dissociazione tra lo spirito cristiano e le questioni del mondo. Se da una parte va riconosciuto il primato della Parola di Dio, dall’altra credo sia altamente peccaminoso fare orecchie da mercante, sentendosi spiritualmente a posto, quando in altre aree geografiche del nostro pianeta si consumano drammi indicibili come l’annosa crisi somala o la mattanza siriana. Ecco perché, anche nell’ambito delle comunità cristiane, è quanto mai urgente ricercare e rendere attuative delle strategie che consentano di prendere in mano le redini della situazione. A tal proposito, è bene rammentare come anche nella costituzione pastorale Gaudium et spes non si guardi più alla Chiesa come societas iuridicae perfecta, chiusa nella solidità e coerenza del proprio ordinamento giuridico, ma come realtà protesa come mai verso il mondo, un mondo spesso lontano e segnato dalla secolarizzazione. Questo approccio viene definito dalla Dottrina Sociale della Chiesa con la parola “sussidiarietà”, principio che, sebbene richiamato anche dal diritto canonico, non ha mai trovato in esso piena attuazione, disattendendo, in parte, il dettato conciliare. Tale spirito consente ai cristiani, in quanto cittadini, di diventare parte attiva nella soluzione dei problemi d’interesse generale
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2) Un altro segno dei tempi col quale dobbiamo misurarci è quello del fondamentalismo. Anche in questo caso vi è un legame con la globalizzazione e più in generale con gli effetti di una società in continua trasformazione. Si tratta di un tentativo particolarmente vigoroso, seducente e pericoloso nelle forme, di ritornare ai principi del passato, veri o presunti.
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Come ricorda Youssef M. Choueiri in un suo saggio sulla matrice islamica di questo fenomeno, il fondamentalismo “indica quella posizione intellettuale che pretende di derivare i principi politici da un testo ritenuto sacro”[6]. Più in generale potremmo dire che il fondamentalista, per presunzione o ignoranza, partendo dall’assunto che nell’esistenza umana esista un unico modello di riferimento, è fortemente convinto che la sua visione del mondo debba essere imposta ad ogni libera coscienza. In questa prospettiva, allora, il fondamentalismo non può certo essere circoscritto al mondo della Mezzaluna, essendo presente sotto varie etichette e con diverse sfumature in numerosi sistemi di credenza
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3) Infine, uno dei segni dei tempi che credo meriti di essere menzionato è quello della costante e crescente affermazione della società civile. Una realtà trasversale che abbraccia il consesso delle nazioni: associazioni, gruppi, movimenti, organizzazioni fatte di uomini e di donne di buona volontà che trovano nell’impegno, soprattutto volontario, un modo per rispondere alle sfide di una società in cui la politica è in grave affanno. Spirito di cittadinanza e senso della partecipazione al “bene comune” evidenziano, antropologicamente parlando, una voglia di riscatto di fronte al crollo delle vecchie ideologie, che la Chiesa non può sottovalutare. Se vogliamo dunque trarre un qualcosa di utile e fecondo da ciò, la valorizzazione dei laici va davvero messa in cima all’agenda pastorale, contro la tentazione sempre in agguato del clericalismo che alla lunga comporta una conseguente svalutazione della fede, resa così un vuoto senza alcuna esperienza. E’ bene rammentare, in tal senso, che l’angustia della nostra verità amministrata, quali pastori, toglie ai laici non solo i mezzi per cogliere le sfide dell’età moderna, che essi quindi devono affrontare da soli, ma anche la possibilità di accostarsi alla vita di fede per valorizzare la loro stessa esistenza. Partendo dal presupposto che la comunità ecclesiale è un dono di Dio, bene della Chiesa per la Chiesa e insieme per la società, sarebbe auspicabile che, alla luce di quanto accade ai nostri giorni, vi fosse lo snodarsi di comunione, collaborazione, corresponsabilità, tre momenti strettamente legati fra loro, poiché la comunione porta alla collaborazione e quest’ultima implica un’autentica corresponsabilità.

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Anche questa è Chiesa, ma non si può certo dire che i laici e le donne, in particolare, abbiano raggiunto una vera corresponsabilità; anzi, diciamo pure che vi è un certo squilibrio rispetto alle aspettative conciliari. Non solo, infatti, non hanno una qualche parte, perlomeno a livello di consultazione, nelle decisioni che vengono prese in diocesi o nell’individuare tratti caratteristici del nuovo vescovo che dovrà essere nominato; non hanno nemmeno quella spiritualità di comunione propriamente laicale che aiuti ad affrontare le tante contraddizioni del mondo moderno. La sensazione che si ha, dunque, è quella di mantenere il laico in uno stato, se non proprio di minorità, comunque sempre dipendente dai chierici. Bisogna rendersi conto che è decisivo avere un popolo, soprattutto per la Chiesa che verrà. Una generazione di cristiani, dalla fede più personale, più consapevole, che dia un ruolo diverso alla donna, sganciata da “tutele clericali”, portatrice di creatività nei diversi ambiti della vita, specialmente in politica. Cristiani che siano uomini della speranza, della libertà, della tolleranza e della pace. E allora, ancora di più, è necessario andare al fondo delle cose e cercare di leggere il futuro che Dio ha riservato alla sua Chiesa e a quanti credono in Lui. Nei suoi disegni imperscrutabili, si potrebbe riuscire a capire come da un gran male potrebbe venir fuori un gran bene. Annullare definitivamente le distanze è l’occasione buona per metterci in un ascolto aperto e fiducioso con chi, in forza del comune battesimo, ha stessa dignità e responsabilità.

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