venerdì 24 luglio 2015

La foto del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan - L’umanità costretta alla solidarietà di Tonio Dell'Olio

La foto del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan 
 L’umanità costretta alla solidarietà 
di Tonio Dell'Olio

Certe fotografie hanno il potere di fissare un gesto e trasformarlo in messaggio universale, al di là delle intenzioni. Sabato scorso, a Columbia, in South Carolina, una manciata di razzisti del Ku Klux Klan, i cosiddetti “suprematisti”, hanno protestato coi loro vessilli, tatuaggi, simboli nazisti e frasi d’odio contro la rimozione della bandiera confederata dai palazzi pubblici decisa, forse senza ben valutare le conseguenze, dalla governatrice Nikki Haley.
Per fortuna nessuno ha sparato durante le scaramucce tra i Loyal White Knights e i Black Educators for Justice, con tanto di tensione nella piazza davanti alla Statehouse e cinque arresti. Alla fine, però, è bastato uno scatto rilanciato su Twitter da Rob Godfrey, collaboratore della governatrice, perché il senso della torrida giornata fosse rovesciato.
La foto mostra un poliziotto nero in divisa, armato di pistola e col cappello a falda rigida, che sostiene e guida verso l’ombra, forse invitandolo a bere acqua, un corpulento razzista, con tanto di svastica sulla maglietta dentro un intrico di stelle e strisce, a un passo dallo svenire per il caldo. L’uomo della legge si chiama Leroy Smith, fa il poliziotto da 25 anni, e ora dirige il South Carolina Department of Public Safety, il cui slogan, segnalato sul sito, recita: «Protecting Educating Serving» (serve traduzione?).
Non un eroe o un raddrizzatorti, solo un uomo ben saldo nelle proprie convinzioni, capace di non farsi condizionare dalle farneticazioni dei nostalgici hitleriani nell’atto di dare una mano a un uomo comunque in difficoltà. Non sappiamo se il “suprematista” abbia ringraziato il “negro”, ancorché pubblico ufficiale, ma conosciamo il vivace dibattito, virale, che è scaturito da quello scatto così preciso, persuasivo, gentile, inoppugnabile.
«Non un esempio raro di umanità da queste parti in South Carolina» ha subito commentando lo stesso Godfrey postando la foto; ma c’è anche chi, a sinistra, s’è chiesto sul web se a parti rovesciate uno sbirro bianco si sarebbe comportato allo stesso modo a un raduno di Pantere nere. Probabilmente no o forse sì, ma importa stabilirlo? Di sicuro quella foto suggerisce alcuni pensierini.
Per esempio, che il furore razzista, qui travestito da maschia difesa del vecchio Dixie contro quella che viene considerata una vigliaccata progressista, si sbriciola nel confronto inatteso con la persona che pensi di odiare in quanto gruppo. E ancora: che lo sconosciuto “suprematista” con lo sguardo perso nel vuoto purtroppo non cambierà opinione nei confronti del poliziotto che non lo prende troppo sul serio e lo sorregge nel mancamento, mostrandosi ben più civile e responsabile.
Ma quella foto ci ricorda pure che la riconciliazione tra neri e bianchi, pure con il presidente Obama regnante a Washington, passa non tanto per la rimozione simbolica della bandiera confederata quanto per il superamento di una frattura storica, forse mai davvero sanata. ...

Leggi tutto:
Soccorso nero per il vecchio razzista del Ku Klux Klan



L’umanità costretta alla solidarietà 

di Tonio Dell'Olio

L’immagine del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan, ha fatto il giro del mondo. Quanto contrasta quella svastica disegnata sulla maglietta dell’uomo bianco con il gesto di aiuto spontaneo del poliziotto “di colore”! È l’icona moderna dell’umanità condannata alla solidarietà. È simbolo vivente della stupidità e dell’odio insensati vinti dalla fragilità in cui siamo tutti inevitabilmente immersi. Ci dice che siamo tutti sulla stessa barca e che almeno per convenienza, se non per convinzione, dobbiamo stare vicini. Un dato, prima ancora che una fede, un pensiero, una visione di uomo. Resta l’amarezza di arrivare per necessità laddove si deve e si può arrivare per virtù. Per far rinsavire i segregazionisti di casa nostra forse dovremo attendere che un barcone di migranti diretti verso le nostre coste soccorra un natante di leghisti alla deriva mentre sono in vacanza?
(Fonte: Mosaico dei giorni - 21 luglio 2015)