mercoledì 22 luglio 2015

Il tesoro del settimo giorno di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/15 - 
La terra e il tempo sono dono. Non facciamoceli rubare

Il tesoro del settimo giorno 

di Luigino Bruni






"A Montgomery, Alabama, in una piccola chiesa battista, ascoltai il sermone più straordinario che avessi mai ascoltato: l’argomento era il libro dell’Esodo e la lotta politica dei neri del sud. Dal suo pulpito il predicatore mimò l’uscita dall’Egitto e ne espose le analogie col presente; piegò la schiena sotto la frusta, sfidò il Faraone, esitò timoroso davanti al mare, accettò l’alleanza e la legge ai piedi della montagna." (M. Walzer Esodo e rivoluzione)


Gli umanesimi che si sono mostrati capaci di futuro, sono fioriti grazie a rapporti non predatori con il tempo e con la terra. Il tempo e la terra non li produciamo; li possiamo solo ricevere, custodire, accudire, gestire, come dono e promessa. E quando non lo facciamo, perché usiamo tempo e terra a scopo di lucro, l’orizzonte futuro di tutti si annuvola e si accorcia.

L’umanesimo biblico aveva tradotto questa dimensione di radicale gratuità del tempo e della terra con la grande legge del sabato e del giubileo, con la cultura del maggese: “Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma il settimo anno la lascerai riposare e la lascerai incolta; mangeranno i poveri del tuo popolo e ciò che resta lo mangeranno le bestie della campagna. … Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno ti cesserai, perché possano riposare il tuo bue e tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e lo straniero” (23,10-12).

Non siamo noi i padroni del mondo. Lo abitiamo, ci ama, ci nutre e ci fa vivere, ma siamo suoi ospiti e pellegrini, abitanti e possessori di una terra tutta nostra e tutta straniera, dove ci sentiamo a casa e viandanti. La terra è sempre terra promessa, mèta di fronte a noi e mai raggiunta. E lo è anche la terra su cui abbiamo costruito la nostra casa, quella del nostro quartiere, quella dove cresce il grano del nostro campo.

Alle radici della cultura biblica del maggese non c’è solo una tecnica saggia e sostenibile di coltivazione della terra. Nell’Esodo il maggese lo troviamo assieme al sabato e al giubileo, ed è quindi espressione di una legge più profonda e generale che riguarda la natura, il tempo, gli animali, le relazioni sociali, è profezia radicale di fraternità umana e cosmica. Puoi usare la terra sei giorni, non il settimo; puoi farti servire dal lavoro di altri uomini per sei giorni, non il settimo. Puoi e devi lavorare, ma non sempre, perché sempre lavoravamo quando eravamo schiavi in Egitto. L’animale domestico lavora sei giorni per te, ma il settimo non è per te. Il forestiero non è forestiero tutti i giorni, nel settimo è persona di casa con e come tutti. C’è una parte della tua terra e della tua ‘roba’ che non è tua, e che devi lasciare all’animale selvatico, allo straniero, al povero. Ciò che hai non è tutto e soltanto per te. Appartiene anche all’altro da te, che non è mai così ‘altro’ da uscire dall’orizzonte del ‘noi’. Tutti i veri beni sono beni comuni
Ma se sulle cose e sulle relazioni umane c’è impresso uno stigma di gratuità, allora ogni proprietà è imperfetta, ogni dominio è secondo, nessun straniero è veramente e soltanto straniero, nessun povero è povero per sempre. Il cristianesimo ha, profeticamente, mandato in crisi la ‘lettera’ della legge del sabato, ma non per ridurre il settimo giorno agli altri sei. Nel ‘regno dei cieli’, dove i poveri sono chiamati felici e i servi amici, i primi sei giorni sono chiamati a convertirsi alla profezia di gratuità e di fraternità universale racchiusa nell’ultimo. La legge del settimo giorno ci dice allora che gli animali, la terra, la natura non hanno valore solo in rapporto a noi umani, valgono anche in se stessi.
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