Le levatrici d’Egitto/8 -
Il Dio biblico chiama a camminare i deserti senza paura
"I muri del mare"
di Luigino Bruni
"Guardarsi dall’idolatria significa non eludere la domanda dei figli e delle figlie, che chiedono: ‘perché questo rito, perché questo comandamento etico, perché amare il Dio unico? E significa non sottrarsi alle risposte” (Jean-Pierre Sonnet, Generare è narrare).
Fu sufficiente il tempo di una sola notte perché il faraone dimenticasse il grande dolore delle piaghe, e le uniche preoccupazioni dell’impero tornassero ad essere i mattoni e il ‘servizio’ degli israeliti: “Quando fu riferito al re d'Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio?». Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati” (14,5-6). L’alba del nuovo giorno ci svela che in quella liberazione non c’era alcuna gratuità.
La prima nota di fondo di tutti i regimi idolatrici è proprio l’assenza di gratuità, che è invece la prima dimensione della fede biblica. La creazione è dono, l’alleanza è dono, la promessa è dono, la lotta all’idolatria è dono. Gratuità è l’altro nome di YHWH. La cultura dell’idolo odia il dono. È il suo primo nemico sulla terra, perché l’idolo ‘sa’ che il contatto con lo spirito di gratuità lo farebbe morire, gli estrarrebbe il suo potere incantatore. Quando si creano regni idolatri, la prima operazione dei faraoni è allora cercare di eliminare ogni traccia di vero dono dal loro spazio ‘sacro’, e riempirlo tutto e solo di oggetti e merci. Nel nostro tempo questa cancellazione è tentata banalizzando, deridendo la gratuità, considerandola una nostalgia infantile di adulti mal cresciuti. Poi viene trasformata nei gadget del faraone, nei suoi sconti, fidelity cards e regali innocui consentiti soltanto durante le sue ‘feste’. Ma il tentativo più subdolo di espulsione della gratuità, è confinarla nel ‘non-profit’, affidarne il monopolio alle istituzioni filantropiche o agli sponsor che, come il capro espiatorio, hanno lo scopo di addossarsi tutto il dono-gratuità del villaggio, portarlo fuori e farlo morire nel deserto.
E così il villaggio resta nel silenzio. L’idolo non può parlare. E così i suoi adoratori finiscono anch’essi per perdere il dono della parola - è sempre straziante vedere il silenzio assordante che regna nelle sale slot che stanno occupando le nostre città, o nei tavoli dei tabaccai, degli autogrill, dei bar e (ahimè!) delle poste, dove uomini, e tante donne e troppe anziane, ‘grattano’ in religioso silenzio e in solitudini disperate, tenuti lì ai lavori forzati da nuovi faraoni senza pietà: “Essi [gli idoli]sono indorati e inargentati, ma sono simulacri falsi e non possono parlare” (Baruc, 6,7). Per questo è infinito il valore della parola di YHWH, che non è idolo proprio perché parla, non è un’immagine ma è una voce che può ascoltare la nostra voce e il nostro grido.
Il giorno in cui riuscissimo ad appaltare tutta la gratuità ai suoi professionisti, separandola dalla vita ordinaria della città e delle imprese, l’impero idolatrico/separatore sarà compiuto. Quando ogni banca avrà costituito la sua fondazione, quando le multinazionali dell’azzardo e delle armi avranno finanziato tutte le cure delle loro vittime, il veleno (gift) iniettato come vaccino nel corpo capitalista avrà raggiunto il suo obiettivo, e saremo finalmente salvati dalla gratuità. Il nuovo culto sarà totale, in tutte le ore di tutti i giorni. Ma non ci riusciranno, perché la gratuità ha una grande resilienza, essendo annidata nella parte più profonda e vera del cuore umano. E’ l’invincibilità della nostra vocazione alla gratuità che fa crollare, prima o poi, gli imperi. E in essa la nostra speranza di potercela fare anche oggi.
...
Questa prima prova del popolo e di Mosè nei pressi del mare, contiene poi un insegnamento rivolto in modo tutto particolare a chi fonda (ma anche a chi deve continuare) comunità, opere, movimenti, organizzazioni a movente ideale. Si risponde ad una chiamata, si inizia un grande processo di liberazione per sé e per tanti, si parte e si prende la via del mare. Ma al termine della notte della liberazione non si trova una via di salvezza ma un muro che appare insormontabile. Il faraone ci insegue, il mare ci sbarra la strada, e anche il popolo che abbiamo salvato protesta, e sembra voler tornare indietro annullando il senso e il dolore di quella storia di salvezza. Sono queste solitudini fedeli le prove tipiche dei fondatori, da cui si esce se si è capaci di imitare Mosè: “Mosè rispose: «Non abbiate paura!” (14,10-13). Anche Mosè avrà avuto paura, forse più di tutti, ma riesce a incoraggiare e rincuorare: “Non abbiate paura”. Queste prove investono l’intera comunità (tutti hanno paura), ma il fondatore/responsabile vive una prova doppia: la paura di tutti per la possibile morte imminente e l’abbandono da parte della comunità. Si riesce a non morire ed ad attraversare il mare se almeno “Mosè” continua a credere, a sperare, a resistere, sentendo e agendo nella direzione opposta a quella che vorrebbe imboccare la comunità impaurita
Leggi tutto:
Guarda i post già pubblicati: