GIOIA E SPERANZA,
MISERICORDIA E LOTTA
A CINQUANTA ANNI DALLA GAUDIUM ET SPES
di Raniero La Valle
Relazione all’Assemblea
di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”
Roma - 9 maggio 2015
"Cari Amici,
quando tre anni fa abbiamo cominciato i nostri incontri per celebrare i 50 anni dal Concilio, e abbiamo previsto di giungere a parlare della Gaudium et Spes, abbiamo corso un grosso rischio. Perché se nel frattempo non fosse successo niente, se non fosse arrivato papa Francesco, oggi avremmo rischiato di fare dell’archeologia.
..,
La gioia
Così ristabilito il nesso tra il Concilio e la Chiesa di oggi, veniamo alla Gaudium et Spes, vediamo che cosa essa può dire oggi per noi.
Di questo parleremo tutto il giorno. Io vorrei ora fermarmi solo alle quattro parole che danno il via al documento e che ne esprimono il senso: Gaudium e spes, luctus e angor, gioia e speranza, lutto ed angoscia.
Prima di tutto dalla Gaudium et Spes arriva la parola della gioia. È una parola che attraversa il tempo, quasi a indicare qualcosa che dura sempre, mentre il resto finisce. Gaudet Mater Ecclesia, gioisce la madre Chiesa, diceva Giovanni XXIII della Chiesa riunita a Concilio, Gaudium et Spes dice la Costituzione pastorale, Evangelii Gaudium, dice il documento programmatico del papa argentino, che è la nuova Regola francescana – nel senso di tutti e due i Francesco - per la vita della Chiesa di oggi. Perciò si va di gioia in gioia. Non solo “da fede a fede” (Rom. 1, 17), ma da gioia a gioia.
Però c’è una differenza: la gioia della Gaudium et Spes era la gioia che la Chiesa rinveniva nel mondo e che dichiarava di voler condividere con gli uomini del nostro tempo e soprattutto con i poveri.
La gioia della Evangelii Gaudium è invece la gioia che la Chiesa vuole dare agli uomini del nostro tempo e soprattutto ai poveri, ed è la gioia del Vangelo.
Qui la gioia è vista come bene da procurare, da acquistare; in questo senso la gioia, la felicità, non è una cosa che capita, che può arrivare, ma è un progetto, è uno scopo, è l’oggetto della ricerca umana.
La gioia così intesa non è pertanto un fatto solo personale e privato, secondo i canoni dell’ideologia liberale, ma è un bene pubblicamente riconosciuto, che sta a cuore alla società, tanto è vero che il diritto al perseguimento della felicità è sancito dalle Costituzioni, a cominciare dalla Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776; tanto è vero che il crearne le condizioni è il compito alto della politica in quanto essa sia ordinata al bene comune (il “bonum humanum simpliciter”, come diceva il padre costituente Giuseppe Dossetti); tanto è vero che il rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto la impediscono è la ragion d’essere della democrazia sostanziale, come sta scritto nell’art. 3 della Costituzione italiana.
La felicità è anche la promessa e il fine stesso delle religioni, o almeno del cristianesimo e del Dio cristiano, e non è solo una felicità per l’altra vita, perché anzi il Dio di cui parla Francesco non vuole che si rinunci nemmeno a un giorno di felicità sulla terra, come dice proprio all’iniziola Evangelii Gaudium citando il Siracide: “Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene… Non privarti di un giorno felice” (Sir. 14, 11-14), cioè - vuol dire - amatevi, non solo amate gli altri, amatevi con la stessa tenerezza con cui ama voi il Dio che vi è padre.
Ora, qual è la gioia che secondo il progetto del pontificato di Francesco la Chiesa dovrebbe arrecare, come suo specifico dono, all’umanità del nostro tempo?
Io credo che sia la gioia di poter tornare a credere.
...
Leggi tutto: