venerdì 13 marzo 2015

2 anni con Papa Francesco /2


Ricorre il secondo anno dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio che il 13 marzo del 2013 venne eletto Papa al secondo giorno di Conclave prendendo il nome – per la prima volta nella storia della Chiesa - di Francesco. Su questo importante anniversario,Roberto Piermarini ha intervistato padre Federico Lombardi, direttore della Radio Vaticana e della Sala Stampa vaticana:

D. Padre Lombardi, quali immagini rimangono di questo secondo anno di pontificato di Papa Francesco? 
R. - In un flusso infinito di immagini è difficile sceglierne qualcuna. Io ne volevo però ricordare tre. La prima è l’abbraccio a tre davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme con il Rabbino e con il leader musulmano. Quindi un momento simbolico fondamentale del dialogo e della pace nel viaggio del Papa in Terra Santa, in un punto assolutamente cruciale per la pace nel mondo. 
Una seconda immagine che è rimasta impressa a tutti è quando Papa Francesco, al termine della grande cerimonia nella cattedrale ortodossa a Istanbul, a Costantinopoli, chiede, in un certo senso, la benedizione del patriarca e si inchina davanti a lui. Quindi il momento della fraternità e del dialogo ecumenico, il grande desiderio dell’unità dei cristiani. 
E poi una terza immagine che non è una singola immagine ma una serie di immagini, che il Papa stesso ha evocato più volte, è durante il grande viaggio nelle Filippine: queste folle di persone piene di affetto, desiderose di vedere il Papa, di amarlo, di manifestare il loro entusiasmo che presentano i bambini. Quindi, questo senso di gioia, di speranza di fronte al Papa, di un popolo che guarda al suo futuro con speranza presentandogli i bimbi e le nuove generazioni dell’Asia e dell’umanità.
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È quasi una vocazione seguire il Papa giorno dopo giorno. Dietro le quinte, con discrezione. Senza invadere la sfera privata, ma senza che nulla sfugga nel racconto al mondo. Monsignor Dario Viganò, direttore del Centro televisivo vaticano, dice della commozione che spesso prende gli operatori e del grande stupore che, pure in questo secondo anno di pontificato, continua a contagiare anche chi, per professione, lavora accanto a papa Francesco.

- Un ciclone. Dopo il primo anno avete preso un po’ le misure? 
«Dopo la prima fase di assestamento che ci ha aiutato non solo a conoscere il Papa e a farci conoscere ma anche a capire che rapporto lui ha con la Tv, cosa ne pensa, in questo secondo anno abbiamo cominciato a codificare un po’ le regie “stile Francesco”, abbiamo cioè cercato di dare regole narrative agli incontri del Papa, sapendo che oggi siamo di fronte a quello che chiamo “eventizzazione” del quotidiano». 

- E cioè? 
«Quando si pensa a un media event, a un grande evento mediale, è necessario studiare e progettare una vera strategia. Nel caso di papa Francesco, invece, la sua forza – forza paradossale nella fragilità perché è un uomo che parla anche lentamente e con poca voce, per esempio, ma che ha la forza degli occhi, dello sguardo, del corpo – fa sì che ogni incontro quotidiano diventi un evento. Ricordiamo l’idea di far distribuire un libricino con la dottrina cattolica dai senzatetto: così, un momento del tutto ordinario diventa un evento mediale. Con le conseguenze che ne derivano. È proprio il gesto, l’imprevedibilità che scombina l’agenda dei media». 
- Difficile star dietro a tutto? 
«Non c’è spazio per le distrazioni: gli operatori sanno essere discreti e molto disponibili perché il Papa non è l’uomo del protocollo rigido, piuttosto dell’incontro. Siamo sempre con lui, anche nelle cose inaspettate, ed è una grande fortuna perché possiamo poi documentare al mondo anche questi momenti così estemporanei e così importanti. 
Penso per esempio alle immagini al muro di separazione di Betlemme, che non avremmo mai avuto se non ci fosse sempre un nostro operatore con il Papa. Gli operatori del Ctv sono grandi professionisti, ma vivono il loro lavoro come una vocazione, con passione. Dunque, da un lato la fatica per non poter mai abbassare la soglia di attenzione, ma dall’altro anche la responsabilità, che è gioia, di poter raccontare al mondo il Papa».

- Il Papa si è abituato a stare sempre sulla scena?
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