martedì 27 gennaio 2015

Il giorno della Memoria: dopo 70 anni perché ricordare?


Ricorre il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, il giorno della Memoria, istituito dieci anni fa dall’Onu. Non mancano interrogativi attorno a quest’anniversario, perché talvolta si ha l’impressione che le celebrazioni siano di circostanza, poco partecipate a livello popolare. Alcuni hanno sollevato il rischio di una «ipertrofia della memoria», per il moltiplicarsi di eventi, per lo più di carattere politico o accademico, con scarsa incidenza nella cultura e nella coscienza dei popoli. Tuttavia, ricordare è un imperativo. È necessario far sì che il Giorno della Memoria non si riduca a una rievocazione del passato, ma ci interroghi anche sul presente...

Auschwitz, nel 2015, può apparire lontano. Poche settimane fa è morto uno degli ultimi sopravvissuti romani alla Shoah, Enzo Camerino, che il 16 ottobre 1943 fu deportato, appena quattordicenne. Recentemente, aveva preso a raccontare in modo semplice la sua storia, per trasmetterla ai giovani, ai quali ripeteva le parole che il padre gli disse nel lager: «Non odiare mai». È un insegnamento da non disperdere. Come trasmettere alle nuove generazioni la memoria della Shoah, ora che anche gli ultimi testimoni scompaiono? Le visite delle scuole ad Auschwitz hanno un grande significato. I media possono dare un contributo. Soprattutto, però, c’è bisogno di legare la memoria della guerra e della Shoah alla realtà del nostro tempo, per capire come il razzismo e l’antisemitismo siano stati elementi di una catastrofe per l’Europa e come, oggi, sia urgente ritrovare il filo di una società in cui tutti possano vivere insieme in modo pacifico...

È possibile ancora pregare dopo Auschwitz?
Nel 1967, il filosofo ceco Milan Machovec chiese al teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz se i cristiani potessero ancora pregare dopo Auschwitz. Metz rispose: “Possiamo pregare dopo Auschwitz perché la gente ha pregato ad Auschwitz" . Quindi, sì è possibile pregare perché ebrei e cristiani sono morti recitando lo Shema' Jisra'el ed invocando il Padre nostro.
È possibile pregare soprattutto per il cristiano che fonda la possibilità della sua preghiera nella situazione di silenzio e di abbandono da parte di Dio, sull'invocazione che Gesù ha fatto sulla croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27, 46).
È possibile, perché nell’inferno dei lager è proseguita la storia della santità, da Edith Stein a Dietrich Bonhoeffer, a san Massimiliano Maria Kolbe, ai tanti ebrei e cristiani che sono stati modelli luminosi di vita e spiritualità come Etty Hillesum, senza nome e senza senza volto.
Di fronte al degenerare della violenza umana, in ogni sua forma, c’è da chiedersi allora se è ancora vivo il senso di umanità nell’uomo, se è ancora vivo il desiderio di rapporto con la realtà di Dio. Allora la domanda da fare non è “dov’era Dio ad Auschwitz?” ma “dov’era l’uomo?”. (fonte: Aleteia)