venerdì 5 dicembre 2014

"Semplicità del Natale" di Carlo Maria Martini



In questa prima settimana di Avvento durante la quale in molte famiglie si comincia ad allestire il presepio per prepararsi al Natale, pubblichiamo questa meditazione del cardinal Carlo Maria Martini, tratta dal libro:
Carlo Maria Martini – Pietro Messa, 
L'infinito in una culla. San Francesco e la gioia del Natale.




"Semplicità del Natale" 
del cardinale Carlo Maria Martini



Il presepio è qualcosa di molto semplice, che tutti i bambini capiscono. E’ composto magari di molte figurine disparate, di di­versa grandezza e misura: ma l'essenziale è che tutti in qualche modo tendono e guardano allo stesso punto, alla capanna dove Ma­ria e Giuseppe, con il bue e l'asino, attendono la nascita di Gesù o lo adorano nei primi momenti dopo la sua nascita.

Come il presepio, tutto il mistero del Natale, della nascita di Ge­sù a Betlemme, è estremamente semplice, e per questo è accompa­gnato dalla povertà e dalla gioia.

Non è facile spiegare razionalmen­te come le tre cose stiano insieme. Ma cerchiamo di provarci.

Il mistero del Natale è certamente un mistero di povertà e di im­poverimento: Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri.

Tutto qui è povero, semplice e umile, e per questo non è difficile da comprendere per chi ha l'occhio della fede: la fede del bambino, a cui appartiene il Regno dei cieli. Come ha detto Gesù: «Se il tuo occhio è semplice anche il tuo corpo è tutto nella luce» (Mt6, 22).

La semplicità della fede illumina tutta la vita e ci fa accetta­re con docilità le grandi cose di Dio. La fede nasce dall'a­more, è la nuova capacità di sguardo che viene dal sentirsi molto amati da Dio.

Il frutto di tutto ciò si ha nella parola dell'evangeli­sta Giovanni nella sua prima lettera, quando descrive quella che è stata l'esperienza di Maria e di Giuseppe nel presepio: «Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani il Verbo della vita, perché la vita si è fatta visibile». E tutto questo è avvenuto perché la nostra gioia sia perfetta. Tutto è dunque per la nostra gioia, per una gioia piena (cfr. 1 Gv l, 1- 3). Questa gioia non era solo dei contemporanei di Gesù, ma è anche nostra: anche oggi questo Verbo della vita si rende visibile e tangibile nella nostra vita quotidiana, nel prossimo da amare, nella via della Croce, nella preghiera e nell'eucaristia, in particolare nell' eucaristia di Natale, e ci riempie di gioia.

Povertà, semplicità, gioia: sono parole semplicissime, elementari, ma di cui abbiamo paura e quasi vergogna.

Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene, perché sono sempre tante le cose per cui preoccuparsi, sono tante le situazioni sbagliate, ingiuste. Come po­tremmo di fronte a ciò godere di vera gioia? Ma anche la semplicità non va bene, perché sono anche tante le cose di cui diffidare, le cose complicate, difficili da capire, sono tanti gli enigmi della vita: come potremmo di fronte a tutto ciò godere del dono della semplicità? E la povertà non è forse una condizione da combattere e da estirpare dalla terra?

Ma gioia profonda non vuol dire non condividere il dolore per l'ingiustizia, per la fame del mondo, per le tante sofferenze delle persone.

Vuol dire semplicemente fidarsi di Dio, sapere che Dio sa tutte queste cose, che ha cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede. Ed è così che nasce lo spirito di po­vertà: nel fidarsi in tutto di Dio. In Lui noi possiamo godere di una gioia piena, perché abbiamo toccato il Verbo della vita che risana da ogni malattia, povertà, ingiustizia, morte.
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