'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino
Vangelo: Mt 25,31-46
"In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Come ogni credente in Gesù di Nazareth, anche noi da sempre attendiamo la sua venuta, ci sforziamo di scorgere le sue orme sul nostro cammino, imploriamo il suo ritorno: "Maranathà/Vieni Signore !". Ma i nostri occhi sono come impediti di vederlo: "Signore, quando ti abbiamo visto ?" Eppure per vedere il Signore ci vuole poco, è sufficiente dirigere il nostro sguardo verso coloro che stanno in basso, coloro che portano sulle loro spalle tutto il peso della dolorosa storia dell'uomo: sono i 'piccoli/oi microi', il sacramento vivente e santo per mezzo del quale il Figlio dell'uomo, da sempre, si rende presente in mezzo a noi. Porsi accanto come fratelli, diventare loro compagni di viaggio, condividere "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce"(GS 1), prendersene cura, è il solo e unico modo che abbiamo per 'impiegare i talenti' (25,14-30) che ci sono stati consegnati. Cuore di questa splendida e unica pericope è proprio Gesù, il Figlio dell'uomo, che identifica se stesso con gli ultimi, con coloro che soffrono: affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Accogliere loro significa accogliere lui, e con lui accogliamo la nostra salvezza. In tantissimi nella Chiesa hanno speso, e ancora oggi spendono, la loro vita per gli ultimi, gli oppressi, gli anawim di JHWH. L'amore di Camillo de Lellis, di don Bosco, di don Cafasso, di Madre Teresa di Calcutta, per i diseredati della terra "è stato il linguaggio più universale e comprensibile, che abbia parlato al mondo di ieri e di oggi del mistero di Dio e dell'uomo" (S.Fausti).
Solo se amiamo i nostri fratelli possiamo dire di amare Dio, ci realizzeremo come figli suoi solamente se viviamo come fratelli.
Saremo "benedetti" o "maledetti" solamente in forza del nostro amore - dato o negato - ai fratelli che sono nella sofferenza, coscienti che non saremo noi a salvare i poveri, ma i poveri a salvare noi.