mercoledì 25 giugno 2014

"La coscienza morale in gioco" di Bruno Forte


"La coscienza morale in gioco" 
di mons. Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto


Tre avvenimenti recenti, di natura molto diversa, mi inducono a proporre una riflessione che si muove fra cronaca e storia, volta ad evidenziare gli aspetti della coscienza morale che sono in gioco in essi e che riguardano ognuno di noi. 
Il primo è la terribile vicenda del giovane uomo di Motta Visconti che ha ucciso la moglie e i due figlioletti, confessando poi di averlo fatto perché li sentiva come una gabbia imposta alla sua libertà. Lo stesso assassino sembra abbia invocato il massimo della pena per sé, mostrando di avere almeno un barlume di consapevolezza della gravità del male compiuto. Molti hanno parlato di un "raptus" di follia omicida, anche se lo stesso autore del delitto ha riconosciuto la premeditazione. L'atrocità del fatto suscita immensa pietà verso le vittime, ponendo al contempo la domanda su come sia stato possibile che nella coscienza di una persona all'apparenza normale abbia potuto maturarsi un simile proposito. Interrogativi come questo non trovano facili risposte: soprattutto non devono far spazio a giudizi sommari, tanto in senso colpevolista, quanto in direzione della pietà che lo stesso carnefice suscita per aver distrutto con le proprie mani i beni più preziosi della propria esistenza. Un aspetto emerge da questa vicenda, e cioè l'immane potenzialità del male che ogni essere umano è capace di compiere, e con essa quella linea d'ombra fra luce e tenebra in cui si muovono le scelte del libero arbitrio.
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Sia pur in termini più temperati, la lotta fra male e bene si affaccia in altri tristissimi fatti di cronaca degli ultimi tempi: mi riferisco alla corruzione e al latrocinio che sono emersi dalle inchieste sulla realizzazione di opere che avrebbero dovuto essere fiore all'occhiello dell'iniziativa pubblica e dell'imprenditoria del nostro Paese. Si tratta da una parte degli scandali connessi a Expo 2015, dall'altra delle tangenti pagate ai corrotti nelle opere relative al Modulo Sperimentale Elettromeccanico, progettato per la difesa di Venezia e della laguna dalle acque alte. È perfino incredibile che personaggi potenti, cui non mancava nulla, abbiano mostrato un'avidità speculare all'estendersi del loro potere. Anche qui viene da chiedersi come sia stato possibile che l'ostentazione di pubbliche virtù e la dichiarata volontà di servizio al bene comune potessero collegarsi così sfrontatamente con la voracità di guadagni facili e smisurati. È il tarlo della corruzione, male dagli effetti devastanti: la corruzione «uccide», ha affermato Papa Francesco in diverse occasioni. 
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Un terzo evento accaduto nelle ultime settimane, precisamente l'8 giugno, può aiutarci a riconoscere alcune prospettive di luce e di speranza riguardo alla vittoria del male, che sembra devastare le coscienze e dominare la scena della storia: è l'incontro di preghiera promosso in Vaticano da Papa Francesco con la partecipazione dei Presidenti di Israele e della Palestina, Shimon Peres e Abu Mazen. Il valore unico di quest'avvenimento sta nel cambiamento di prospettiva che esso introduce rispetto a ogni precedente ricerca "ufficiale" della pace in Medio Oriente: il Vescovo di Roma non ha deresponsabilizzato nessuno rispetto al dovere di lavorare per la pace e di combattere e vincere il male dell'odio che avvelena tutti, ricordando che «per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all'incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza». Il Il fatto, poi, che l'incontro sia stato proposto e realizzato come momento di preghiera all'unico Dio di tutti i credenti, introduce quel cambio di piano di cui c'era e c'è immenso bisogno: mettersi insieme al cospetto dell'Eterno vuol dire riconoscere i propri limiti e la propria debolezza, misurare il bene della pace da cercare non solo sul proprio interesse, ma su quello di tutti, e specialmente dei poveri, e impegnarsi nella profondità della propria coscienza davanti al giudizio ultimo, cui nulla sfugge, a essere costruttori di un mondo più giusto per tutti.
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