domenica 27 aprile 2014

Omelia di don Angelo Casati - II Domenica di Pasqua (A)



Omelia di don Angelo Casati
II Domenica di Pasqua 
Anno A - 27 aprile 2014




At 2,42-47
Sal 117
1 Pt 1,3-9
Gv 20, 19-31



C'è un modo di raccontare la Risurrezione in qualche misura fantastico, miracoloso: un rovesciamento improvviso -quasi automatico delle situazioni- un cammino trionfante, dirompente. Così si racconta a volte la Risurrezione, e così si racconta a volte la Pentecoste: un rombo come di vento ed ecco le porte si aprono. Non dico che non ci sia del vero in questo modo di raccontare. E' il modo di raccontare di chi corre in avanti e anticipa il futuro.
In realtà -se stiamo al vangelo che oggi abbiamo ascoltato- il cammino della risurrezione ci appare meno dirompente: conosce avvicinamenti, resistenze, pause, gradualità. C'è un po' di enfasi in una certa predicazione che va sostenendo che come si fa presente Gesù, il Risorto, come viene lo Spirito, ecco le porte si aprono, si spalancano.

L'evangelista Giovanni dice che otto giorni dopo, otto giorni dopo la Risurrezione, le porte erano ancora chiuse! Eppure avevano visto il Signore fermarsi in mezzo a loro, avevano ricevuto lo Spirito: "Ricevete lo Spirito Santo" aveva detto, alitando su di loro. Ebbene le porte erano ancora chiuse! Le porte -le porte chiuse- sono come un simbolo: simbolo della durezza di una situazione, che ancora permane. Noi oggi ci lamentiamo degli insuccessi della fede. Pensate ai discepoli, agli apostoli che non riescono a convincere uno di loro. Eppure erano stati testimoni oculari del Risorto, l'avevano sentito dire: "Pace a voi". Aveva mostrato loro le ferite. E avevano gioito al vedere il Signore.

Non erano riusciti. E le porte erano ancora chiuse: la povertà delle nostre parole a dire, a testimoniare, e la resistenza del cuore a credere. Le porte chiuse! E questo Gesù, il Risorto, che viene a porte chiuse -non si vuol certo dire che viene alla maniera dei fantasmi-. Si vuol dire che nonostante i nostri ostacoli, nonostante le nostre resistenze, viene! Nonostante le nostre porte chiuse! E questo ci consola: tu, Signore, non ti fermi davanti alle nostre porte chiuse. E ci porti una parola di pace: "Pace a voi". E ci mostri le mani e il costato. E c'è bisogno di pace. Voi mi capite, certo di una pace anche dalla guerra e non possiamo non guardare con preoccupazione il riaccendersi di focolai di guerra in questi giorni.

Ma c'è bisogno di pace dentro di noi, una pace che liberi anche noi -come un giorno gli apostoli- dalle paure, dalle paure che ci bloccano dentro. A volte mi capita di pensare che i discepoli erano barricati sì anche per la paura dei Giudei, ma forse erano anche barricati dentro da un'altra paura, ancora più devastante, che era la paura per come avevano reagito, per come si erano comportati nei giorni della cattura e della crocifissione del loro maestro. Bloccati, come a noi succede, dalla delusione verso se stessi, una delusione che genera inquietudine, genera frustrazione, genera paura.

E Gesù che, come prima parola, dice una parola di pace. E anche la Chiesa dovrebbe dire come prima parola sempre questa: non una parola di condanna, ma di pace: "Non temere, va in pace".
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