Abbà
Omelia di don Antonio Savone
Martedì I settimana di Quaresima
Sal 33
Mt 6,7-15
Dopo essere stati messi in guardia dal Signore Gesù circa il rischio dell’ostentazione nella nostra vita, oggi siamo condotti nel cuore della vita cristiana. Lo specifico della vita cristiana è una preghiera e non anzitutto una dottrina. Pregare è vivere secondo il vangelo. La lieta notizia per noi è che la preghiera è relazione. Il Vangelo non si riassume in una verità, anzitutto, ma in una relazione. Questa lieta notizia risuona ancora una volta in una cultura come la nostra che ha perso la fiducia ed è non poche volte caratterizzata da relazioni arrabbiate. A questa nostra cultura è consegnato un volto, quello del Padre. A lui puoi rivolgerti proprio come farebbe un bambino con suo padre, con fiducia, osando.
Abbà è la parola chiave del Vangelo, una parola che Gesù ha ripetuto continuamente, ma in in modo unico nel momento della scelta decisiva, nel momento in cui la prospettiva è quella della morte. Ripetere abbà in quel momento è il segno della fiducia che abita nel cuore del Signore, la consapevolezza, cioè, che la vita non affonderà nel nulla, ma fra le braccia di un amore. Fra le braccia di un amore affonda ogni esistenza, anche la mia. Il Padre nostro lo si capisce proprio in questa situazione limite.
Abbà è il nome proprio di Dio ed esprime un Dio che sta in mezzo a noi con bontà, misericordia, tenerezza.
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Il Padre nostro non è una formula ma uno stile. Gesù ci ha consegnato un modo di stare davanti a Dio che presuppone un modo di stare con gli altri e di vivere nel mondo.
È possibile mettersi alla scuola della preghiera di Gesù se abbiamo imparato a frequentare la scuola della vita. E della vita bisogna sentire fino in fondo la passione e l’avventura.
Per questo il Padre nostro non è una preghiera per tutti, ma una preghiera per chi ha imparato a mettere Dio al centro della sua esistenza, ha imparato a chinarsi sulle ferite dell’umanità. “Voi quando pregate, dite: Padre!”. Può ripetere queste parole chi si sforza di vivere come discepolo alla sua sequela.
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