sabato 25 gennaio 2014

"Sulla via di Damasco" di Antonio Savone


"Sulla via di Damasco" 
di Antonio Savone



Paolo è colui che per primo ha provato a dare un assetto alla teologia cristiana.
Uomo moderno, Paolo, la cui forza risiede proprio nella capacità di tenere insieme da una parte la sua integrità (uomo integro, non rigido) dall’altra l’insicurezza della sua posizione. 
Uomo complesso, che ben riflette il nostro tempo. 
Molto diverso da Pietro: segno che il modo di esprimere la fede non è unico ma personale, proprio di ciascuno di noi. 
Un uomo che si può incontrare solo nella misura in cui ci si apre all’universalità. Egli appartiene a tre mondi e a tre culture: ebraica, greca e romana. Cresciuto in un ambiente familiare, intellettuale e religioso in cui si incrociavano il mondo semitico, quello greco e quello latino, si trovò senz’altro favorito nell’assumere un atteggiamento di apertura ad altri mondi culturali. Forse proprio per questa sua molteplice appartenenza Paolo viene chiamato dal Signore ad essere segno di una salvezza offerta a tutti, giudei o greci. E per fare questo ha accettato il rischio di porsi su una barca instabile pur di raggiungere tutti, gettando una rete nell’oceano abitato da qualunque tipo di pesce, in nome di quell’agàpe che nessuno esclude. 
Un ministero, quello di Paolo, eterogeneo e accogliente. Fu lui il massimo artefice dell’apertura della prima comunità cristiana a quelli di fuori. Fu lui a intraprendere un coraggioso tentativo di dialogo culturale con il mondo greco come attesta il suo discorso nell’Areopago (At 17,22-31). Senz’altro uomo di più grandi visioni e dal respiro immenso. 

SAULO SI RACCONTA: DA PERSECUTORE A CONFESSORE 

Chi è Saulo? È lui stesso a fornirci qualche indicazione qua e là nelle sue lettere: “Circonciso l’ottavo giorno… ebreo figlio di ebrei; riguardo alla legge, fariseo” (Fil 3,5); “Io sono nato a Tarso in Cilicia, ma allevato in questa città (Gerusalemme) e istruito ai piedi di Gamaliele per oltre cinque anni nell’esatta conoscenza della legge dei nostri padri, pieno di zelo per Dio” (At 22,3); “Per zelo, persecutore della Chiesa di Dio, e in quanto alla giustizia della legge, irreprensibile” (Fil 3,6). Ma tutte queste cose che per me erano un guadagno, io le ho stimate invece una perdita per amore di Cristo…” (Fil 3,7-8). 
Un forte elemento di rottura fa da spartiacque nella vicenda di Paolo: l’incontro con Gesù di Nazaret sulla via di Damasco segna l’abbandono di tutto il suo passato e l’apertura a nuove prospettive religiose per sé ma anche per gli altri. 
La sua esistenza nettamente divisa in due da un incontro che lo ha trasformato. Non ha conosciuto come accade alla maggior parte di noi un percorso graduale che è andato perfezionandosi nel tempo. Per lui la prospettiva è mutata radicalmente e per sempre. O il sistema religioso che si rifaceva a Mosè e alla legge o Cristo. Prima era legato anima e corpo al primo campo, dopo Damasco ha sostenuto il secondo contro il primo. 
Cosa accadde a Damasco? E chi era il Paolo in cammino verso Damasco? Uno che, sulle basi di una forte ortodossia religiosa, acquisita a Gerusalemme, intravedeva nel movimento che faceva capo a Gesù di Nazaret un grande rischio per l’identità giudaica. Come era possibile sostenere che per essere giusti davanti a Dio bisognava credere in Gesù Messia crocifisso, che si doveva ritenere solo scandalo e maledizione? 
A Damasco accade un riconoscimento: prima ancora che essere Paolo a riconoscere il Signore è il Signore stesso che riconosce Paolo. “Saulo, Saulo…”: Paolo si sente riconoscere come persona al di là di quello che egli stava facendo, che sia stato buono o cattivo. Lì, in quell’essere chiamato per nome, c’è tutta la fiducia di Dio per lui, nonostante andasse a perseguitare i cristiani. Resterà cieco per tre giorni: un’esperienza di buio per ripensare la sua storia. Egli scopre di non sapere chi è Dio, nonostante gli studi e tutto il suo impegno nella religione. Altro è Dio. Avrà bisogno di un fratello, Anania, per farsi aiutare a trovare Dio che lo chiama. Anania è il segno che il cambiamento non è solo interiore, in termini solo individualistici, ma all’interno di una comunità dove gli altri non sono accidentali ma fondamentali per aprirsi al Dio rivelato da Gesù. Forse possiamo comprendere da qui l’insistenza di Paolo nell’invitare le comunità a ricercare la comunione fraterna e l’unità...