domenica 15 dicembre 2013

Omelia di don Angelo Casati nella 3ª Domenica di Avvento



Omelia di don Angelo Casati 


nella 3ª Domenica di Avvento
Anno A - 15 dicembre 2013 





Is 35, 1-6.8-10
Sal 145
Gc 5, 7-10
Mt 11, 2-11


Ecco io vorrei dirvi, a commento di queste letture, della fatica e della gioia di credere.

Anche della fatica, della mia fatica a credere.

Per uno come me, uno che non ha la stoffa del Battista, a volte tentato di scandalizzarsi di Gesù - "Beato" diceva "chi non si scandalizza di me", per uno come me che fa fatica in certi giorni a credere, sono di consolazione queste parole del Battista: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?"

Dunque anche il Battista, anche la roccia che sfidava il vento del deserto, colui che, al dire di Gesù, è anche più di un profeta, anche lui non fu al riparo dal dubbio. Eppure, pensate, tempo prima, lo aveva con forza indicato come il Messia: "Ecco l'agnello di Dio". Il "veniente" era lui. Abbiamo giorni in cui proclamiamo, anche con fierezza, la fede. Ma non tutti i giorni sono uguali, ne abbiamo altri in cui siamo scossi, messi alla prova dal dubbio.

E come non poteva non esserlo Giovanni, lui che aveva annunciato il Messia con immagini prevalentemente minacciose? Voi ricordate il vangelo della scorsa domenica. Il Messia avrebbe finalmente separato il grano dalla paglia. Tentazione sempre risorgente nella chiesa. Tentazione che anche oggi, per falso zelo, attraversa gruppi di credenti. Ed ecco che cosa sente dire di Gesù, di suo cugino, ora che è in carcere. Colui che lui aveva indicato come Messia non separa i giusti dai peccatori, fedele al principio che le mele marce fanno marcire anche le buone, anzi!, anzi cerca i peccatori, mangia con loro, passa la voce che lui è amico di pubblicani e peccatori. Ecco lo sconcerto.

Aveva detto del Messia: "Brucerà la pula con fuoco inestinguibile" E lui, ai discepoli che invocano fuoco sulla città del rifiuto, muove rimprovero e dice: "Non sapete di che spirito siete" . Ma dove è mai questo Messia che brucia, che usa la scure e sega gli alberi? Dove è mai? E la domanda, perdonate, si ingigantiva nelle ombre del carcere. Dove è mai?

Vedete la fatica di credere. Un conto è la fede dei libri. Un conto è la fede nella vita, a confronto con le domande e gli interrogativi della vita. La fede che si confronta con la vita non può essere se non una fede interrogante, una fede in ricerca: "Sei tu, Signore, o dobbiamo attenderne un altro?"

Non vi sfiora mai questo interrogativo, quando vi soffermate a pensare che cosa è mai cambiato dopo duemila anni di cristianesimo sulla terra, se pensate alla lentezza e alle contraddizioni in mezzo a cui cresce il regno di Dio? Persistiamo a puntare gli occhi in questa direzione o dobbiamo rivolgerci ad altro, ad altri?

E Gesù come risponde? Non rimanda alle parole. Rimanda ai fatti, rimanda alle opere. Ciò che conta non sono le parole vuote. Ne facciamo ampio uso! Ciò che conta sono le opere. Ma quali? Perché a volte, lo diciamo anche noi: "che conta sono le opere". Ma non so se ci avete pensato: l'espressione è equivoca, perché ci sono opere ed opere. E Gesù, senza arretrare di un centimetro, persiste a dire al Battista che le opere del Messia, sono proprio quelle di cui lui sente parlare e per le quali si scandalizza. Ed ecco il punto, la divaricazione che fa scandalo: non sono opere minacciose, ma opere di consolazione, di guarigione. Ecco la gioia di credere.

Vi parlavo di una fatica, ma ora diciamo anche della gioia. È il Messia che si china sulla sofferenza degli umani e la solleva. È il Messia che ha occhi e cuore per la debolezza umana, per l'infinita debolezza che segna l'umanità, sull'infinita stanchezza, che veniva segnalata da Isaia in una delle messe feriali di questa settimana. Scriveva: "Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono". Ed ecco viene il Signore a irrobustire le mani fiacche - le nostre! - a rendere salde le ginocchia vacillanti - le nostre! -. È bellissimo, è questo che dà gioia al cuore.
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