giovedì 24 ottobre 2013

Il funerale di Lea Garofalo. Don Ciotti: “Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla!"

Molto più che le parole hanno parlato molto chiaramente i gesti. Durante il funerale di Lea Garofalo sabato scorso a Milano ci sono stati segni profondi che hanno segnato l'anima. In quella piazza si è toccato con mano che anche i segni di morte possono diventare semi di vita nuova.

“Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla”. Sono le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che oggi a Milano ha officiato i funerali civili di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa nel 2009 dall’ex compagno e boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco. Una piazza Beccaria gremita ha accolto il feretro tra le bandiere colorate che Libera ha dedicato alla vittima di mafia. “Ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose – ha aggiunto don Ciotti – dico, contribuite a cercare la verità. Noi non vi lasceremo soli”. Il prete antimafia si è poi commosso quando ha ammesso: ”Abbiamo tanto dolore dentro, perché non ce l’abbiamo fatta a salvarla”. Una commozione che ha coinvolto tutti i presenti quando la figlia di Lea Garofalo, Denise Cosco, è intervenuta con un messaggio audio trasmesso dalla località protetta in cui si trova. “Ringrazio tutti”, ha esordito, prima di terminare con un commosso “Ciao mamma!”. In piazza anche Marisa Garofalo, sorella di Lea: “È giusto che Lea abbia un funerale dignitoso, ringrazio il sindaco Giuliano Pisapia, don Luigi Ciotti e il sindaco di Petilia Policastro“. “In effetti – ha aggiunto – mia sorella questa vicinanza non l’ha mai avuta in vita e ciò provoca anche rabbia. Forse con un decimo di queste attenzioni e di questo affetto oggi sarebbe ancora in vita”. Nel corso della cerimonia è stato letto un messaggio che la donna aveva scritto al Presidente Giorgio Napolitano quattro anni fa, prima del fatale attentato che la raggiunse nonostante il programma di protezione. Lea non riuscì mai a spedire la lettera al Capo dello Stato, dove si presentava come “una mamma disperata, allo stremo delle forze”. “Mi trovo
 con mia figlia, isolata da tutto e da tutti”, scriveva al Presidente della Repubblica. “Ho perso ogni
 prospettiva di futuro ma sapevo a cosa andavo incontro con la 
mia scelta. Non posso
 cambiare il corso della mia triste storia, ma vorrei con questa
 mia richiesta di aiuto che lei rispondesse alla decine di
 persone nelle mie stesse condizioni. La prego, ci 
dia un segnale di speranza” (fonte: Il fatto quotidiano)
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... Davvero una giornata di emozioni e di dignità civile, guidata da questa “meraviglia di gioventù”, come ha detto dal palco don Ciotti. Con tanti ragazzi, naturalmente. Se qui si è parlato solo di ragazze, è perché la loro rivolta civile ha un senso particolare. Il potere più maschilista e totalitario ha pensato che uccidere e bruciare una donna fosse un fatto privato, giustificato dalle leggi dell’onore. Le ragazze invece dicono che è un grande fatto pubblico.
Nelle loro speranze, la sconfitta della ‘ndrangheta in Lombardia partirà dalle donne. Destinate a ubbidire e invece ribelli. Destinate a tacere e invece testimoni collettive. L’antimafia con gli occhi lucidi ha, ancora una volta, un orgoglio femminile.


 Ai funerali di Lea Garofalo parla, dal luogo segreto nel quale è sottoposta a sorveglianza speciale, anche la figlia: "Per me è un giorno triste, ma la forza me l'hai data tu, se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti. Ciao"


"Ciao mamma. Grazie".

E' stata un'esperienza immensa, credetemi. I funerali di Lea Garofalo resteranno uno dei fatti più importanti, esemplari, una delle più grandi svolte nella storia della lotta alla mafia, e non solo al nord. Chi non ha vissuto la temperie vera, le sofferenze e i coraggi di questa lotta può non capirlo. Ma è così: come i lenzuoli bianchi a Palermo nel '92 ("e che ci fanno i lenzuoli alla mafia? Il solletico..."), come la fiaccolata muta del 3 settembre dell'83 per ricordare il prefetto dalla Chiesa ("e che ci fanno le processioni alla mafia? Sai che paura..."), come l'intitolazione di via dello Stadio a Pippo Fava a Catania il 5 gennaio dell'85 ("e che ci fa alla mafia una targa di cartone messa da quattro carusi?"). 
Bisognerebbe ripassarla tutta la storia di Lea per capire piazza Beccaria. Le sue paure, il suo colloquio drammatico con don Ciotti ("se mi capita qualcosa lei non deve mai lasciare sola mia figlia"), la sua scomparsa, la denuncia di Denise, la sua vita di ragazza braccata e clandestina...