L’occhio vuole
la sua parte
(ma forse gliene diamo troppa…)
di Erri De Luca
Mi è caro nelle storie sacre il dettaglio dei piedi. Il primo gesto di ospitalità era di procurare al viandante acqua per lavarli, olio per ristorarli. Nell’Antico e nel Nuovo Testamento la premura verso la parte più umile del corpo mostra l’importanza del resto, della presenza fisica. Il tatto, l’imposizione delle mani, scatenano l’energia dei miracoli. Gesù tocca e risana, tocca e moltiplica. Quando deve consegnare la sua eredità ai discepoli, lo fa a una tavola imbandita, dividendo pane e vino.
Perché la pietanza, la bevanda, sono opere da onorare attraverso il gusto che permette di apprezzarle. Nel deserto di Sinai piove manna, scaturisce acqua, arrivano pure le proteine sotto forma di enormi stormi di quaglie.
E il naso ha la sua parte: nel libro Esodo/Shmot è detto con insistenza che dai sacrifici prescritti sull’altare si leva un profumo gradito alle narici del Creatore. Ma il più prestigioso senso della Scrittura Sacra è l’udito. I profeti ricevono in ascolto i discorsi divini da riportare nel mondo e nessuno di loro prende appunti, chiede una ripetizione. Essi semplicemente ricordano tutto, non per prodigio, ma perché le parole a quel tempo avevano un peso e s’incidevano nella membrana acustica dei presenti. Gesù non lascia scritto, lascia detto e questo basta e avanza a produrre quattro Vangeli, più altri apocrifi, scritti a distanza di tempo da chi, venuto dopo, ha raccolto e custodito i racconti a voce...
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