lunedì 15 aprile 2013

"Perché fare il governo è ormai un dovere etico" di Bruno Forte

Una lettera scritta col cuore in mano. 
Un grido di allarme, una sollecitazione etica, un invito al coraggio dell'agire personale e alla speranza. È così che vorrei fossero lette le riflessioni che seguono, immaginandole indirizzate da un mittente preciso - la nostra gente, in particolare quella umile e segnata più di tutti dalle conseguenze della crisi che stiamo attraversando -, a un non meno preciso destinatario, identificabile in ciascuno dei senatori e dei deputati eletti a rappresentarci. Se mi si chiedesse a che titolo scrivo questa lettera, non esiterei a rispondere che non ne ho altro che quello di essere un vescovo, pastore come tanti. Un vescovo quotidianamente immerso nella vita del suo popolo e al quale giungono per le vie più diverse espressioni di bisogno, richieste di sostegno. Un pastore al quale arrivano sempre più testimonianze di sofferenza per il lavoro che viene a mancare, per quello che non si è mai trovato, per la materiale impossibilità di molte famiglie di arrivare a fine mese e per la tentazione della disperazione, che va prendendo piede nel cuore di molti adulti e di non pochi giovani. Non ho titoli di potere politico, non sono uomo di parte, se non per il voler stare dalla parte delle donne e degli uomini reali, i cui volti non sono numeri né casi generali, ma trasparenza e riflesso di storie di vita, di dolore, di desideri, di amori, di ferite e di speranze. Parlo da cuore a cuore, osando rivolgermi non alla classe politica in generale, ma alla coscienza di ciascuno dei nostri Parlamentari, quale che sia il gruppo di appartenenza e il complesso di ragioni e d'interessi che si senta autorizzato a rappresentare. Non si tratta da parte mia di ispirarmi all'antico adagio, che riconosce nel singolo le possibilità positive e nell'insieme del gruppo il gioco dei condizionamenti e dei veti incrociati ("senatores boni viri, senatus mala bestia"…)...