Il rapporto deformato con lo spazio. Ma anche il torpore malinconico, l’inerzia, la noia: le riflessioni spirituali del monaco Enzo Bianchi e le interpretazioni nella storia dell’arte.
A come accidia. O, come la chiama Enzo Bianchi, acedia, prendendo di peso il vocabolo greco che significa “senza cura”. Uno sbadiglio potrebbe essere la sua icona. I suoi seguaci? I pigri, quelli che ciondolano in giro tutto il santo giorno senza combinare niente. Noia, insomma. Un vizio, se possibile, più pericoloso degli altri perché in apparenza può sembrare vago e indefinibile. Esprime un forte disagio esistenziale. Un tempo l’acedia era “il demone del mezzogiorno” che tentava nell’ora più calda i monaci delle prime comunità in Egitto. Oggi, in Occidente, l’accidia è il demone notturno che minaccia ciascuno di noi col suo vuoto, rapporto deformato con lo spazio
Ci sono altri modi di definirla: indifferenza, disinteresse, apatia. Ma non ci si deve scherzare: l’acedia può portare diritti all’Inferno. Dante immerge gli accidiosi nella palude Stige: neanche si vedono, sotto la melma, ma se ne intuisce la presenza dal gorgogliare dell’acqua. Stanno in posizione orizzontale così come li rappresenta nel suo Inferno William Blake, poeta e pittore simbolista inglese dell’Ottocento. San Tommaso d’Aquino, nella Summa theologiae, sottolinea come l’accidia possa portare alla paralisi interiore...
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