venerdì 14 settembre 2012

Viaggio Apostolico in Libano di Benedetto XVI - "La preghiera non si perde" di Marina Corradi



Non sembrerebbe un momento granché propizio, questo, per una visita del Papa in Libano... 
Il testo della Udienza di mercoledì scorso, dedicato alla preghiera nel libro dell’Apocalisse, suona singolarmente vicino a quel può avere nell’anima un cristiano pellegrino per tormentati Paesi. La strada per saper leggere i fatti della storia, ha esordito il Papa, è «il rapporto costante con Cristo». Solo in questo rapporto – che è poi la preghiera – impariamo a vedere le cose in modo nuovo. Cristo «guida a una lettura più profonda della storia»: e lo fa anzitutto invitandoci a «considerare con realismo il presente»...
secondo Benedetto XVI proprio dal rapporto con Cristo viene la spinta a uno sguardo realista. Ma come si fa a tenere questo sguardo? Chi scrive tornò, anni fa, da un viaggio per gli orfanotrofi di un Paese dell’Est, annientata dalla quantità di dolore incontrata. Soli in sé stessi, guardare e reggere il male e il dolore è impossibile. Eppure «come cristiani siamo chiamati a non perdere mai la speranza, a credere fermamente che l’apparente onnipotenza del Male si scontra con la vera onnipotenza, che è quella di Dio 
Occorre dunque credere davvero nella Croce, e nella pietra di sepolcro divelta – in Cristo risorto. Non però in uno sforzo eroico della volontà. Invece, dice il Papa, è proprio la preghiera che alimenta in noi «questa visione di profonda speranza». La speranza dunque nasce nel rapporto con Cristo; come quando un padre prende un bambino per mano, e quello lo segue anche per una strada buia, dove da solo non andrebbe mai. 
In virtù di questo rapporto con Cristo, «come cristiani non possiamo mai essere pessimisti»; nella certezza di un padre che conduce la storia, per i suoi tormentati e straziati sentieri, verso un destino misterioso ma buono. Pregare, dunque – questa attività agli occhi del mondo così immateriale, così astratta, inutile – come vertice del realismo. Pregare, e come? Nella fatica, nella povertà, di quale preghiera saremo capaci, se non monca, o zoppa? Ma «tutte le nostre preghiere», ha assicurato Benedetto «vengono quasi purificate e raggiungono il cuore di Dio. Non esistono preghiere inutili; nessuna va perduta». 
Nessuna preghiera che apra almeno uno spiraglio a Cristo, va perduta. E in questa certezza sovrana il successore di Pietro, a 85 anni, parte, pellegrino in una regione sofferente sotto a mali opprimenti, sotto a una violenza cieca. Quasi implicitamente chiedendo, per questa missione fra uomini a noi estranei, da noi lontani, preghiere. Povere, magari; o balbettanti. Quel che sappiamo fare. Non importa: nessuna, dice il Papa, andrà perduta.
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