lunedì 24 settembre 2012

“E Dio vide che era cosa buona” Meravigliarsi HOREB 62 - N. 2 del 2012

“E Dio vide che era cosa buona”
Meravigliarsi

HOREB 62 - N. 2 del 2012


TRACCE DI SPIRITUALITÀ
A CURA DEI CARMELITANI

Il cactus è lì con i suoi fiori aperti, bellissimi. È uno spettacolo che si ripete e ogni volta sorprende, stupisce. Meraviglia che questa pianta, cresce anche in luoghi aridi, e raggiunge quattro metri di altezza e spesso anche di più, tutta tronco, totalmente ricoperta di spine, se la tocchi in modo maldestro ti lascia il segno, riesca a produrre fiori così luminosi, che in certo senso fanno luce alla notte.
Il fiore del cactus la possiamo considerare cifra di una bellezza nascosta negli anfratti della vita. Nei volti che ci scivolano addosso o perché andiamo di corsa perché abbiamo premura o perché ci fanno paura e ci chiudiamo in un autismo sociale, in una nicchia dorata che ci soffoca. È bellezza nascosta nelle relazioni quotidiane, che comunque viviamo, ma che spesso rimangono superficiali e strettamente tecniche, professionali, negli avvenimenti quotidiani che diamo sempre per scontati, perché spinosi, e per questo non riusciamo a cogliere questa bellezza e non ci meravigliamo di niente.
Il fatto che non ci meravigliamo più è un brutto segnale, è come se stessimo di fronte a un mondo impoverito, defraudato
Eppure, nella notte di questa vita, se stiamo attenti, vigilanti, c’è sempre un fiore, degli sprazzi di luce, lì dove meno ce lo aspettiamo, che ci  aprono in modo nuovo al cammino della vita.
Se ne incrociato nelle periferie di città, che strutturalmente hanno del disumano, ma lì si incontrano persone che ti stupiscono per la loro umanità. Se ne incontrano in ospedale tra gli ammalati che ti meravigliano perché vivono con grande dignità il dolore, la precarietà, il limite e l’esperienza della morte.
Crediamo che ritorneremo a meravigliarci se, come ci ricorda l’apostolo Pietro, lasceremo esplodere “l’umano nascosto nel cuore”; e questo sarà possibile se impareremo a rischiare uscendo da noi stessi ma anche dal coro abituale per sentire le voci che ci sono fuori, sono tante, bellissime, uniche e ricche di mistero. Questo chiede di liberarci da ogni certezza e di metterci al servizio della vita, di ciò che viene, accettando di essere sempre in qualche misura ignoranti, alla ricerca, con tanta sete di imparare dagli altri.
Se faremo questo esodo facilmente ritorneremo ad osservare e a restare stupiti per un filo d’erba che stranamente riesce a farsi strada e a nascere nel cemento.
È questa la prospettiva in cui vogliamo collocare la monografia del presente quaderno...

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