In tempi di penuria di guide, di maestri di vita, di autorità morali, in tanti — non solo cattolici — guardano a lui. All'inquilino del primo piano di piazzetta Vescovado. Al biblista di scuola martiniana giunto a Brescia il 14 ottobre del 2007 e impostosi per la cultura vasta, l'intelligenza acuta, la misura e la nettezza delle prese di posizione su temi spinosi. Monsignor Luciano Monari, che compirà 70 anni il prossimo 28 marzo, non si sottrae a questo ruolo. Senza protagonismo. Senza rinunciare a uno sguardo paterno ma critico sulla "sua" Chiesa. E sulla terra che l'ha adottato, e che lui ha adottato, da quasi cinque anni.
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La fede cristiana ai tempi della crisi implica un forte senso di responsabilità individuale e comunitaria. Responsabilità significa «tenere conto degli effetti che le nostre azioni hanno su tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti, non essere narcisisti, camminare verso un rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà».
Così il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, in una intervista pubblicata ieri sulle pagine bresciane del Corriere. Quasi un manifesto tracciato dal vescovo di origini modenesi (è nato a Sassuolo 69 anni fa), biblista allievo del cardinal Martini, che da quattro anni guida la diocesi che ha dato i natali a Paolo VI: un vivaio del cattolicesimo liberale e democratico, un possibile snodo del nuovo protagonismo dei cattolici nella vita pubblica italiana.
Intelligenza, autocritica e responsabilità. Per il vescovo monsignor Luciano Monari, che ieri ha incontrato i giornalisti nella ricorrenza del patrono San Francesco di Sales dopo aver celebrato la tradizionale messa nella chiesa del centro pastorale Paolo VI, sono questi gli ingredienti di una comunicazione credibile e fondata sulla verità.