martedì 14 settembre 2010

Il gesto da continuare

Nulla deve inaridire la solidarietà, neanche le ingiustizie

Ci si potrebbe chiedere perché. Perché una catastrofe umanitaria, a detta dell’Onu «più grave dello tsumani», con 21 milioni di sfollati e 10 milioni di senzatetto, un quinto del Pakistan sepolto dal fango, raccolti distrutti, a un mese di distanza raggiunga l’Occidente come una debole eco. Perché gli allarmi delle organizzazioni di soccorso, che hanno raccolto sì e no un quarto degli aiuti necessari, non faccia breccia nei nostri notiziari. Eppure anche solo i numeri, dal Pakistan, sono terribili: metà degli alluvionati sono bambini e, di questi, quasi tre milioni hanno meno di cinque anni. Molti non hanno più una casa, e neanche tre su dieci hanno acqua potabile da bere. Questo significa epidemie. Tuttavia, l’attenzione del mondo non si accende.
Forse perché quello del Pakistan è uno tsunami lento, non vistoso come un’onda di maremoto, e non colpisce l’immaginazione? O forse perché, istintivamente, associamo al nome del Pakistan quello del terrorismo islamico, della regione che incuba i taleban e li spinge verso l’Afghanistan e oltre, contro l’Occidente?



UNICEF Emergenza Pakistan, la situazione aggiornata

Vedi i nostri post precedenti:
EMERGENZA PAKISTAN
Emergenza alluvioni in Pakistan, India e Cina
Pakistan: appelli delle organizzazioni per le vittime dell'alluvione