domenica 30 aprile 2023

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO in UNGHERIA 28 - 30 APRILE 2023 - Budapest 29/04/2023: Incontro con i giovani (cronaca, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
in UNGHERIA

28 - 30 APRILE 2023



Sabato 29 aprile 2023

BUDAPEST

16:30 Incontro con i giovani presso la “Papp László Budapest Sportaréna”
18:00 Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica

INCONTRO CON I GIOVANI

“Papp László Budapest Sportaréna” (Budapest)




















Papa Francesco è arrivato poco dopo le 16:00 alla Papp Laszlo Budapest Sportarena, il più grande palazzetto dello sport al coperto di Budapest, nel XIV distretto della capitale ungherese, dove lo attendono i giovani.
All’inizio il Pontefice, con la golfcar elettrica e tra le ovazioni dei presenti, ha fatto il giro del palazzetto che può contenere fino a 12.500 persone. Francesco è stato accolto dal vescovo incaricato per la pastorale giovanile, mons. Ferenc Palanki, vescovo di Debrecen-Nyíregyháza, che ha pronunciato un indirizzo di benvenuto e che gli ha consegnato alcuni doni, tra questi anche il Cubo di Rubik, che il Papa ha sollevato sorridendo tra gli applausi delle migliaia di giovani presenti nel palazzetto dello sport. Il celebre gioco fu inventato nel 1974 dal professore di architettura e scultore ungherese Erno Rubik. L'atmosfera come sempre negli incontri con i giovani è stata festosa e non sono mancati canti e danze. Sono seguite le testimonianze di quattro giovani alle cui domande il Papa ha risposto con un lungo discorso che ha toccato tanti punti.


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DISCORSO DEL SANTO PADRE


Dicsértessék a Jézus Krisztus! [Sia lodato Gesù Cristo!]

Cari fratelli e sorelle, vorrei dirvi köszönöm! [grazie!] Grazie per la danza, grazie per il canto, per le vostre testimonianze coraggiose, e grazie a ciascuno per essere qui: sono felice di stare con voi! Grazie.

Mons. Ferenc ci ha detto che la gioventù è tempo di grandi domande e di grandi risposte. È vero, ed è importante che ci sia qualcuno che provochi e ascolti le vostre domande, e che non vi dia risposte facili, risposte preconfezionate, ma vi aiuti a sfidare senza paura l’avventura della vita in cerca di risposte grandi. Le risposte preconfezionate non servono, non fanno felici. Così, infatti, faceva Gesù. Bertalan, hai detto che Gesù non è un personaggio di un libro di fiabe o il supereroe di un fumetto, ed è vero: Cristo è Dio in carne e ossa, è il Dio vivo che si fa vicino a noi; è l’Amico, il migliore degli amici, è il Fratello, il migliore dei fratelli, ed è molto bravo nel porre domande. Nel Vangelo, infatti, Lui, che è il Maestro, prima di dare risposte, fa domande. Penso a quando si trova davanti quella donna adultera contro cui tutti puntavano il dito. Gesù interviene, quelli che la accusavano se ne vanno e Lui rimane solo con lei. Allora con delicatezza le chiede: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv 8,10). Lei risponde: «Nessuno, Signore!» (v. 11). E così, mentre lo dice, capisce che Dio non vuole condannare, ma perdonare. Mettete questo nella testa: Dio non vuole condannare, ma perdonare. Dio perdona sempre. Come si dice in ungherese “Dio perdona sempre”? [il traduttore lo dice in ungherese e il Papa lo fa ripetere ai giovani] Non dimenticatevi! Lui è pronto a rialzarci ad ogni nostra caduta! Con Lui perciò non dobbiamo mai avere paura di camminare e andare avanti nella vita. Pensiamo anche a Maria Maddalena, che al mattino di Pasqua fu la prima a vedere Gesù risorto – e aveva una storia quella donna!, ma è stata la prima a vederlo. Lei era in lacrime accanto alla tomba vuota e Gesù le domanda: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15). E così, toccata sul vivo, Maria di Magdala apre il cuore, gli racconta le sue angosce, rivela i suoi desideri e il suo amore: “Dov’è il Signore?”.

E guardiamo al primo incontro di Gesù con quelli che diventeranno i suoi discepoli. Due di loro, indirizzati da Giovanni Battista, gli vanno dietro. Il Signore si volta e fa un’unica domanda: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Anch’io faccio una domanda, e ognuno risponda nel cuore, in silenzio. La mia domanda è: “Che cosa cercate? Che cosa cercate nella vita? Che cosa cerchi nel tuo cuore?”. In silenzio, ognuno risponde dentro di sé. Che cosa cerco io? Gesù non fa tanta predica, no, fa strada, fa la strada insieme a ognuno di noi; Gesù cammina vicino a ognuno di noi. Non vuole che i suoi discepoli siano scolari che ripetono una lezione, ma che siano giovani liberi e camminino, compagni di strada di un Dio che ascolta, che ascolta i loro bisogni ed è attento ai loro sogni. Poi, dopo parecchio tempo, due giovani discepoli scivolano malamente – i discepoli di Gesù sono scivolati tanto! – e fanno a Gesù una richiesta sbagliata, cioè di poter stare alla sua destra e alla sua sinistra quando Lui diventerà Re –volevano arrampicarsi, questi! Ma è interessante vedere che Gesù non li rimprovera per aver osato, non dice loro: “Come vi permettete, smettete di sognare queste cose!”. No, Gesù non abbatte i loro sogni, ma li corregge sul modo di realizzarli; accetta il loro desiderio di arrivare in alto – è buono questo – ma insiste su una cosa, da ricordare bene: non si diventa grandi scavalcando gli altri, ma abbassandosi verso gli altri; non a discapito degli altri, ma servendo gli altri (cfr Mc 10,35-45). [chiede al traduttore di ripetere l’ultima frase in ungherese] Avete capito? Vedete, amici, Gesù è felice che raggiungiamo grandi traguardi, non ci vuole pigri e poltroni, non ci vuole zitti e timidi, ci vuole vivi, attivi, protagonisti, protagonisti della storia. E non svaluta mai le nostre aspettative ma, al contrario, alza l’asticella dei nostri desideri. Gesù sarebbe d’accordo con un vostro proverbio, che spero di pronunciare bene: Aki mer az nyer [Chi osa vince].

Voi potete domandarmi: come si fa ad essere vincitori nella vita? Ci sono due passaggi fondamentali, come nello sport: primo, puntare in alto; secondo, allenarsi. Puntare in alto. Dimmi, hai un talento? Di sicuro ce l’hai, tutti l’abbiamo! Non metterlo da parte pensando che per essere felice basti il minimo indispensabile: un titolo di studio, un lavoro per guadagnare, divertirsi un po’… No, metti in gioco quello che hai! Hai una buona qualità? Investi su quella, senza paura, vai avanti! Senti nel cuore che hai una capacità che può far bene a tanti? Senti che è bello amare il Signore, creare una famiglia numerosa, aiutare chi è bisognoso? Vai avanti, non pensare che siano desideri irrealizzabili, ma investi sui grandi traguardi della vita! Questo è il primo, puntare in alto. E il secondo: allenarsi. Come? In dialogo con Gesù, che è il miglior allenatore possibile. Lui ti ascolta, Lui ti motiva, Lui crede in te, sai?, Gesù crede in te!, sa tirar fuori il meglio di te. E sempre invita a fare squadra: mai da soli ma con gli altri: questo è molto importante. Se tu vuoi maturare e crescere nella vita, vai avanti facendo squadra nella comunità, vivendo esperienze comuni. Penso, ad esempio, alle Giornate Mondiali della Gioventù, e colgo l’occasione per invitarvi alla prossima, che sarà in Portogallo, a Lisbona, all’inizio di agosto. Oggi invece c’è la grande tentazione di accontentarsi di un cellulare e di qualche amico – poca cosa, per favore! Ma, anche se questo è ciò che fanno tanti, anche se fosse quello che ti va di fare, non fa bene. Tu non puoi chiuderti in un gruppettino di amici e dialogare soltanto con il cellulare: questa è una cosa – permettetemi la parola – un po’ stupida.

C’è poi un elemento importante per allenarsi e tu, Krisztina, ce lo hai ricordato dicendo che tra mille corse, tanta frenesia e velocità, c’è una cosa essenziale che manca oggi ai giovani, e pure agli adulti. Hai detto: «Non ci concediamo tempo per il silenzio nel rumore, perché abbiamo paura della solitudine e poi ogni giorno finiamo per essere stanchi». Lo hai detto tu, Krisztina: grazie. Vorrei dirvi: in questo non abbiate paura di andare controcorrente, di trovare un tempo di silenzio ogni giorno per fermarvi e pregare. Oggi tutto vi dice che bisogna essere veloci, efficienti, praticamente perfetti, come delle macchine! Ma, cari, noi non siamo macchine! E poi ci accorgiamo che spesso finiamo la benzina e non sappiamo cosa fare. Fa tanto bene sapersi fermare per fare il pieno, per ricaricare le batterie. Ma attenzione: non per immergersi nelle proprie malinconie o rimuginare sulle proprie tristezze, non per pensare a chi mi ha fatto questo o quello, facendo teorie su come si comportano gli altri; no, questo non fa bene! Questo è un veleno, questo non si fa.

Il silenzio è il terreno su cui coltivare relazioni benefiche, perché permette di affidare a Gesù ciò che viviamo, di portargli volti e nomi, di gettare in Lui gli affanni, di passare in rassegna gli amici e dire una preghiera per loro. Il silenzio ci dà la possibilità di leggere una pagina di Vangelo che parla alla nostra vita, di adorare Dio ritrovando così la pace nel cuore. Il silenzio permette di prendere in mano un libro che non sei costretto a leggere, ma che ti aiuta a leggere l’animo umano, di osservare la natura per non stare solo a contatto con cose fatte dagli uomini e scoprire la bellezza che ci circonda. Ma il silenzio non è per incollarsi ai cellulari e ai social; no, per favore: la vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo, la vita avviene nel mondo! Per favore, non virtualizzare la vita! Lo ripeto: non virtualizzare la vita, che è concreta. Capito?

Il silenzio, dunque, è la porta della preghiera e la preghiera è la porta dell’amore. Dóra, vorrei ringraziarti perché hai parlato della fede come di una storia d’amore – è bello questo, è la tua esperienza –, dove ogni giorno affronti le difficoltà dell’adolescenza, ma sai che c’è Qualcuno con te, Qualcuno per te, e che quel Qualcuno, Gesù, non ha paura di superare con te ogni ostacolo che incontri. La preghiera aiuta a fare questo, perché è dialogo con Gesù, così come la Messa è incontro con Lui, e la Confessione è l’abbraccio che si riceve da Lui. Mi viene in mente il vostro grandissimo musicista Ferenc Liszt. Durante la pulitura del suo pianoforte furono trovati dei grani del rosario che forse, rompendosi, erano caduti dentro lo strumento. È un indizio che ci fa pensare come, prima di un componimento o di un’esecuzione, magari anche dopo un momento di divertimento al pianoforte, fosse abituale per lui pregare: parlava al Signore, parlava alla Madonna di ciò che amava e metteva la sua arte e i suoi talenti nella preghiera. Pregare non è noioso! Siamo noi a renderlo noioso. Pregare è un incontro, un incontro con il Signore: è bello questo. E quando pregate, non abbiate paura di portare a Gesù tutto quello che passa nel vostro mondo interiore: gli affetti, i timori, i problemi, le aspettative, i ricordi, le speranze, tutto, anche i peccati. Lui capisce tutto. La preghiera è dialogo di vita, la preghiera è vita. Bertalan, oggi non hai avuto vergogna di raccontare a tutti l’ansia che a volte ti paralizza e le fatiche nell’avvicinarti alla fede. Che bello quando si ha il coraggio del vero, che non è mostrare di non aver mai paura, ma aprirsi e condividere le proprie fragilità con il Signore e con gli altri, senza nascondere, senza camuffare, senza indossare maschere. Grazie per la tua testimonianza, Bertalan, grazie! Il Signore, come racconta a ogni pagina il Vangelo, non fa grandi cose con persone straordinarie, ma con persone vere, limitate come noi. Invece, chi si basa sulle proprie capacità e vive di apparenze per sembrare a posto, tiene lontano Dio dal cuore perché si occupa di sé stesso soltanto. Gesù con le sue domande, con il suo amore, con il suo Spirito, ci scava dentro per fare di noi persone vere. E oggi c’è tanto bisogno di persone vere! Vi dico una cosa: sai qual è il pericolo oggi? Di essere una persona finta. Per favore, mai persona finta, sempre persona vera, con la propria verità! “Eh, Padre, io mi vergogno perché la mia realtà non è buona, sa, Padre, io ho delle mie cose dentro…”. Guarda avanti, al Signore, abbi coraggio! Il Signore ci vuole così come siamo, come siamo adesso, ci vuole bene così. Coraggio e avanti! Non spaventatevi delle vostre miserie.

E a questo proposito, ci ha colpito quanto hai detto tu, Tódor, a partire dal tuo nome, che porti in onore del beato Teodoro, un grande confessore della fede che richiama a non vivere di mezze misure. Hai voluto “far suonare la sveglia”, dicendo che lo zelo per la missione è anestetizzato dal nostro vivere nella sicurezza e nell’agio, mentre a non molti chilometri da qui la guerra e la sofferenza sono all’ordine del giorno. Ecco allora l’invito: prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace. Lasciamoci scomodare da questo, chiediamoci, ciascuno di noi: io che cosa faccio per gli altri, che cosa faccio per la società, che cosa faccio per la Chiesa, che cosa faccio per i miei nemici? Vivo pensando al mio bene o mi metto in gioco per qualcuno, senza calcolare i miei interessi? Per favore, interroghiamoci sulla nostra gratuità, sulla nostra capacità di amare, amare secondo Gesù, cioè di amare e servire.

Cari amici, c’è un’ultima cosa che vorrei condividere con voi, una pagina di Vangelo che riassume quanto ci siamo detti. Un anno e mezzo fa ero qui per il Congresso Eucaristico; nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 6, c’è una bella pagina eucaristica che ha al centro un giovane. Racconta di un ragazzo che era nella folla ad ascoltare Gesù. Probabilmente sapeva che l’incontro sarebbe andato per le lunghe ed era stato previdente: aveva portato con sé il pranzo – voi avete portato un panino? Ma Gesù sente compassione per la folla – erano più di 5.000 – e la vuole sfamare; allora, nel suo stile, fa domande ai discepoli per sbloccare le loro energie. Chiede a uno di loro come fare e arriva una risposta “da ragioniere”: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (Gv 6,7). Come a dire: matematicamente impossibile. Un altro, nel frattempo, vede quel ragazzo e fa una constatazione, ma ancora una volta pessimistica: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). Invece a Gesù quei cinque pani e due pesci bastano, bastano e avanzano per compiere il famoso miracolo della moltiplicazione dei pani. Ognuno di noi, le piccole cose che abbiamo, anche i nostri peccati, a Gesù bastano. E noi cosa dobbiamo fare? Lasciarle nelle mani di Gesù: ecco, questo basta.

Però il Vangelo non racconta un particolare, che lascia alla nostra immaginazione: come avranno fatto i discepoli a convincere quel giovane a dare tutto ciò che aveva? Forse gli avranno chiesto di mettere a disposizione il suo pranzo e lui si sarà guardato attorno, vedendo migliaia di persone. E forse, come loro, avrà risposto dicendo: “Non basta, perché chiedete a me e non ve ne occupate voi, che siete i discepoli di Gesù? Chi sono io?”. Allora, magari, gli avranno detto che era Gesù stesso a chiederne. E Lui fa una cosa straordinaria: si fida. Quel ragazzo, che aveva il pranzo per sé, si fida, dà tutto, non tiene nulla per sé. Era venuto per ricevere da Gesù e si trova a dare a Gesù. Ma così avviene il miracolo. Nasce dalla condivisione: la moltiplicazione operata da Gesù comincia dalla condivisione di quel giovane con Lui e per gli altri. Il poco di quel ragazzo nelle mani di Gesù diventa molto. Ecco dove porta la fede: alla libertà di dare, all’entusiasmo del dono, al vincere le paure, a mettersi in gioco! Amici, ciascuno di voi è prezioso per Gesù, e anche per me! Ricordati che nessuno può prendere il tuo posto nella storia del mondo, nella storia della Chiesa, nessuno può prendere il tuo posto, nessuno può fare quello che solo tu puoi fare. Aiutiamoci allora a credere che siamo amati e preziosi, che siamo fatti per cose grandi. Preghiamo per questo e incoraggiamoci in questo! E ricordatevi anche di fare del bene a me con la vostra preghiera. Köszönöm! [grazie!]

Guarda il video

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Terminato l’incontro di festa, il Pontefice si è recato nella nunziatura apostolica dove ha avuto un incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù, i cui contenuti saranno noti nei prossimi giorni.

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Vedi anche i post precedenti:



Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV Domenica di Pasqua - A

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


IV Domenica di Pasqua - A
30 Aprile 2023 

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, il Signore Gesù è l’Agnello, che ha donato la sua vita per noi e proprio per questo può presentarsi a noi come il Pastore Buono e Bello, che merita tutta la nostra fiducia e il nostro ascolto. A Lui con grande libertà eleviamo le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/  Guidaci, o Signore, nostro Agnello e Pastore

Lettore

- O Signore Buon Pastore, rendi il cuore della tua Chiesa libero da ogni forma di idolatria ed attento alla tua voce, che la chiami a vivere con Te un rapporto di profonda intimità e di reciproca appartenenza. Apri gli occhi di noi tuoi discepoli, perché siamo in grado di vedere la bellezza della tua vita donata per amore e di saper rispondere con lo stesso amore con il quale tu ci ami. Preghiamo.

- O Signore Buon Pastore, dona alla tua Chiesa pastori che sappiano essere un degno riflesso di Te, che sei l’unico e vero Pastore. Abbi pietà e converti il cuore di tutti quei pastori – come i presbiteri, i genitori, i maestri, gli educatori – che tante volte si comportano come estranei, ladri, briganti e mercenari, e non come persone che si dedicano con cura e servizio disinteressato a svolgere il loro ministero o il loro compito. Preghiamo.

- Tu, o Signore, sei il Pastore che non si stanca mai di chiamare per nome ogni uomo ed ogni donna. Spingi tutti ad uscire da quei recinti, in cui preferiamo rintanarci. Apri Tu la porta di ogni cuore umano, perché sia pronto ad abbandonare paure, egoismi, deliri di onnipotenza, per camminare con Te sulle vie del mondo, costruendo relazioni pienamente umane. Preghiamo.

- Tu che sei la Porta accogliente, ti preghiamo, o Signore, per il nostro Paese e per tutta l’Europa, impegnata a costruire muri, a recintare con filo spinato le proprie frontiere, a dare soldi a dittatori e criminali, purché trattengano in ogni modo il flusso migratorio. Non si vuole ascoltare il grido degli emarginati e delle vittime, ma quel grido, o Signore, è la tua voce, che chiama l'Europa intera alla sua responsabilità. Perdonaci e convertici. Preghiamo.

- Davanti a te, o Signore, ci ricordiamo dei nostri parenti ed amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche dei genitori e insegnanti che hanno educato i figli a ricercare il Senso della vita; ci ricordiamo dei catechisti e operatori pastorali che hanno curato la crescita umana e di fede dei bambini, degli adolescenti e dei giovani a loro affidati; ci ricordiamo, infine, dei parroci, di tutti i presbiteri e dei religiosi e religiose che hanno svolto con dedizione e cura il loro servizio pastorale in mezzo al popolo di Dio. Su tutti, o Signore, fa’ risplendere la Bellezza del tuo Volto di Pastore Buono e compassionevole. Preghiamo.


Per chi presiede

O Cristo Buon Pastore, ascolta le nostre preghiere e rendici attenti alla tua chiamata, perché seguendo la tua voce possiamo vivere la comunione con te e con i nostri fratelli. Te lo chiediamo perché sei nostro Signore e Fratello, oggi e sempre, nei secoli dei secoli. AMEN.


VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO in UNGHERIA 28 - 30 APRILE 2023 - Budapest 29/04/2023: Visita ai bambini malati - Incontro con poveri e rifugiati - Visita alla Comunità greco-cattolica (cronaca, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
in UNGHERIA

28 - 30 APRILE 2023


Sabato 29 aprile 2023

BUDAPEST

08:45 Visita privata ai Bambini dell’Istituto “Beato László Batthyány-Strattmann”
10:15 Incontro con i poveri e con i rifugiati presso la Chiesa di Santa Elisabetta d'Ungheria
11:30 Visita alla Comunità greco-cattolica nella Chiesa greco-cattolica “Protezione della Madre di Dio”

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VISITA AI BAMBINI DELL'ISTITUTO “BEATO LÁSZLÓ BATTHYÁNY-STRATTMANN”


Francesco abbraccia i bimbi malati di Budapest:
"Grazie per la vostra tenerezza"

Il primo impegno del Papa nella sua seconda giornata in Ungheria è la visita all’Istituto cattolico per ciechi e Casa speciale per bambini Beato László Batthyány-Strattmann. Con i piccoli assistiti dalla struttura il Pontefice si intrattiene per qualche momento, poi rivolge a tutti un breve saluto. E ricordando la preghiera francescana di pace dice: far camminare la realtà, questo è Vangelo puro


Al Papa vengono mostrati strumenti didattici

Comincia all’Istituto cattolico per ciechi e Casa speciale per bambini Beato László Batthyány-Strattmann la seconda giornata in Ungheria di Papa Francesco. Il Pontefice arriva intorno alle 8.45. Ad accoglierlo, in quella che per tanti bambini ipovedenti o con bisogni educativi speciali è una vera e propria dimora, è il direttore del centro, György Inotay, che gli mostra alcune aule della struttura. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Francesco viene accompagnato quindi in una sala in sedia a rotelle, che non desta curiosità o stupore fra le tante altre dei bambini con disabilità gravi che nell’istituto vengono non solo curati e assistiti, ma anche educati e avviati ad una professione. Ci sono anche ragazzi, prima in affidamento, ai quali la Casa Beato László Batthyány-Strattmann ha dato una professione, formandoli come infermieri. Il direttore del centro saluta il Papa con la preghiera francescana di pace, poi vengono eseguiti alcuni canti. Francesco ascolta abbracciando con il suo sguardo i piccoli, poi ringrazia tutti “per l’accoglienza e la tenerezza”.

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Il Papa tra i bambini e i ragazzi della Casa Beato László Batthyány-Strattmann

Lo scambio dei doni

Al Pontefice la Casa Beato László Batthyány-Strattmann offre alcuni doni, tra questi una borsa a tracolla - blu e bianca per richiamare la bandiera dell’Argentina, la patria di Francesco, e gialla e bianca come i colori del Vaticano -, e poi una coroncina del Rosario, ancora gialla e bianca, con una croce tau in frassino bianco che è stata intagliata dal direttore dell’istituto. Vengono consegnate anche una lettera in scrittura Braille, una in italiano e una lettera con la storia della guarigione di un bambino cieco raccontata da monsignor Miklós Beer, vescovo emerito di Vác. Francesco ricambia donando una scultura, realizzata a Lecce, della Madonna che scioglie i nodi, alla quale è particolarmente devoto.

La Madonna che scioglie i nodi donata dal Papa

Nel lasciare l’istituto il Papa si ferma a salutare un centinaio di bambini e giovani di una parrocchia vicina, dedicata a San Laszlo, che lo attendevano con preghiere e canti lungo la strada. Insieme a loro alcuni abitanti della zona radunatisi per incontrare il Pontefice.
(fonte: Vatican News, articolo diTiziana Campisi 29/04/2023)


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PAROLE A BRACCIO DEL SANTO PADRE


Grazie tante a tutti voi per l’accoglienza e la tenerezza. Grazie per i vostri canti, per i gesti, per i vostri occhi. Grazie, Signor Direttore, perché Lei ha voluto cominciare quest’atto con la preghiera di San Francesco, che è un programma di vita. Perché sempre il Santo chiede la grazia che dove non c’è qualcosa che io possa fare qualcosa, quando manca qualcosa io posso fare qualcosa. In un cammino dalla realtà come è, portare avanti, far camminare la realtà. E questo è Vangelo puro. Gesù è venuto a prendere la realtà com’era e portarla avanti. Sarebbe stato più facile prendere le idee, le ideologie e portarle avanti senza tenere conto della realtà. Questo è il cammino evangelico, questo è il cammino di Gesù. E questo è quello che Lei Signor Direttore ha voluto esprimere con la preghiera di San Francesco. Grazie. E grazie a tutti voi!


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INCONTRO CON I POVERI E CON I RIFUGIATI PRESSO LA CHIESA DI SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA

Nel suo secondo giorno in terra ungherese il Papa incontra i poveri e i rifugiati all’interno della chiesa dedicata proprio alla santa, dove si sono riuniti in circa 600, dentro, e un migliaio fuori, nel piazzale antistante. Francesco ascolta i canti tzigani dei rom, e Libertango di Astor Piazzolla, ma soprattutto le testimonianze di chi ha vissuto sofferenze e privazioni, di chi è fuggito dalla guerra, di chi è senza casa, di chi è rimasto solo, segnato da povertà e fragilità e ringrazia la Chiesa ungherese per il servizio accanto a chi vive il disagio.









Musicisti rom suonano per il Papa nella chiesa di Santa Elisabetta a Budapest

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DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono felice di essere qui in mezzo a voi. Grazie, Mons. Antal, per le sue parole di benvenuto e grazie per aver ricordato il generoso servizio che la Chiesa ungherese svolge per e con i poveri. I poveri e i bisognosi – non dimentichiamolo mai – sono al cuore del Vangelo: Gesù, infatti, è venuto, «a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Essi, allora, ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di “egoismo spirituale”, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione. Vera fede, invece, è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma San Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente (cfr 1 Cor 13,1-13).

Il linguaggio della carità. È stata la lingua parlata da Santa Elisabetta, verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto. Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero. È una bella immagine della fede: chi “si lega a Dio”, come fece San Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché «se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).Santa Elisabetta, figlia di re, era cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, in un ambiente lussuoso e privilegiato; eppure, toccata e trasformata dall’incontro con Cristo, ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno. Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità.

Ce ne ha parlato anche Brigitta, che ringrazio per la sua testimonianza. Tante privazioni, tanta sofferenza, tanto duro lavoro per cercare di andare avanti e di non far mancare il pane ai suoi figli e, nel momento più drammatico, il Signore le è venuto incontro per soccorrerla. Ma – l’abbiamo ascoltato dalle sue stesse parole – come è intervenuto il Signore? Egli, che ascolta il grido di chi è povero, «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati» e «rialza chi è caduto» (Sal 146,7-8), non arriva quasi mai risolvendo dall’alto i nostri problemi, ma si fa vicino con l’abbraccio della sua tenerezza ispirando la compassione di fratelli che se ne accorgono e non restano indifferenti. Brigitta ce l’ha detto: ha potuto sperimentare la vicinanza del Signore grazie alla Chiesa greco-cattolica, a tante persone che si sono prodigate per aiutarla, incoraggiarla, trovarle un lavoro e sostenerla nei bisogni materiali e nel cammino della fede. Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire “patire con”. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono.

E a questo proposito esprimo la mia gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità. E grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina. Ho ascoltato con commozione la testimonianza di Oleg e della sua famiglia; il vostro “viaggio verso il futuro” – un futuro diverso, lontano dagli orrori della guerra – è iniziato in realtà con un “viaggio nella memoria”, perché Oleg ha ricordato la calorosa accoglienza ricevuta in Ungheria anni fa, quando venne a lavorare come cuoco. La memoria di quella esperienza lo ha incoraggiato a partire con la sua famiglia e a venire qui a Budapest, dove ha trovato generosa ospitalità. Il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza, incoraggia a intraprendere nuovi percorsi di vita. Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: e questa è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile. L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza – è una peste l’indifferenza! – e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa.

Tante persone, purtroppo, anche qui, sono letteralmente senza casa: molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare. Zoltàn e sua moglie Anna ci hanno offerto la loro testimonianza su questa grande piaga: grazie per le vostre parole. E grazie per aver accolto quella mozione dello Spirito Santo che vi ha portato, con coraggio e generosità, a costruire un centro per accogliere persone senza fissa dimora. Mi ha colpito sentire che, insieme ai bisogni materiali, prestate attenzione alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo. Anna ci ha detto che «è Gesù, la Parola vivente, che guarisce i loro cuori e le loro relazioni, perché la persona si ricostruisce dall’interno»; rinasce, cioè, quando sperimenta che agli occhi di Dio è amata e benedetta. Questo vale per tutta la Chiesa: non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone! La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità.

Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Tu non puoi aiutare un altro guardando da un’altra parte. Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare: tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare. Toccare e guardare. E così tu toccando e guardando incominci un cammino, un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto bisognoso, quanto bisognosa sei tu dello sguardo e della mano del Signore.

Fratelli e sorelle, vi incoraggio a parlare sempre il linguaggio della carità. La statua in questa piazza raffigura il miracolo più famoso di santa Elisabetta: si racconta che il Signore una volta trasformò in rose il pane che portava ai bisognosi. È così anche per voi: quando vi impegnate a portare il pane agli affamati, il Signore fa fiorire la gioia e profuma la vostra esistenza con l’amore che donate. Fratelli e sorelle, vi auguro di portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.


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INCONTRO CON LA COMUNITA' GRECO-CATTOLICA

Al termine dell'incontro, dalla chiesa di Santa Elisabetta d'Ungheria il Papa raggiunge sulla sedia a rotelle la piccola e vicina chiesa di rito bizantino "Protezione della Madre di Dio", sempre in Piazza delle Rose a Budapest. Lì si svolge il breve incontro con la comunità greco-cattolica ungherese, che rappresenta il 5% dei fedeli ungheresi. Il Pontefice viene accolto all'ingresso dall'arcieparca di Hajdudorog, monsignor Fülöp Kocsis; insieme, sulle note di un canto, si recano davanti all'Iconostasi. L'arcieparca pronuncia un indirizzo di saluto: "Con la sua visita di oggi abbiamo una forte conferma che siamo membri uguali della famiglia cattolica e promettiamo di impegnarci nel portare a tutti un messaggio di unità e di fraternità", dice a Papa Francesco. Ricorda quindi i "nostri martiri" morti "non solo per la loro fede cristiana, ma soprattutto per la loro fedeltà alla Chiesa cattolica: invece che piegarsi ai dettami della violenza comunista, sono rimasti fedeli alla Chiesa cattolica e, per questo, sono morti. Pertanto - dice Kocsis - nessuno può dubitare che, pur cercando di rimanere fedeli alle nostre radici orientali, noi non desideriamo separarci, ma intendiamo diventare un ponte tra le due Chiese sorelle, poiché, in un certo senso, apparteniamo ad entrambe". La breve visita si conclude con un momento di preghiera con la comunità, la benedizione e il canto finale. Il Papa fa quindi ritorno nella Nunziatura.

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"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 24 - 2022/2023 anno A

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


IV Domenica di Pasqua (ANNO A)

Vangelo:



Tutto il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è indirizzato ai capi della religione, a coloro che, ciechi (9,40), pretendono di ergersi a guide del popolo. Gesù, invece, proclama se stesso «Porta e Pastore» (10,11): porta attraverso la quale possiamo entrare nella Vita, pastore che guida e conduce il gregge fuori dalle tenebre della morte verso la pienezza di vita. Solo Gesù, la Porta e il Pastore, è il modello da ascoltare e da seguire. Noi, invece, preferiamo farci abbindolare da altri sedicenti pastori e obbediamo ad altre voci. Succubi dei tanti imbonitori che fanno da cassa di risonanza ai molti idoli, seguiamo falsi pastori che ci rendono schiavi e ci consegnano alla morte. Purtroppo per noi, «fino a quando non sperimentiamo nella nostra carne quanto sia male ciò cui aspiriamo come a sommo bene, non possiamo avere salvezza». Se, invece, ascoltiamo la voce del Pastore Bello, se realmente ci lasciamo guidare da Lui, verremo condotti fuori dai recinti di morte di coloro che pretendono di essere pastori, ma sono soltanto dei vili mercenari (politici, religiosi...), verso i pascoli della piena libertà. Solo lui siamo chiamati a seguire, solo lui siamo chiamati ad ascoltare: Gesù, il Pastore Bello e Buono (10,11), l'unico Pastore che insegna con la Parola e con la vita ad amare, servire e perdonare.


sabato 29 aprile 2023

IO SONO LA TUA PORTA - Cristo è porta aperta... Non si sta fermi sulla porta, si passa oltre. Ognuno entrerà, uscirà e troverà futuro. - IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

IO SONO LA TUA PORTA
 

Cristo è porta aperta...
Non si sta fermi sulla porta, si passa oltre. 
Ognuno entrerà, uscirà e troverà futuro.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Gv 10,1-10

per i social

IO SONO LA TUA PORTA

Cristo è porta aperta... Non si sta fermi sulla porta, si passa oltre. Ognuno entrerà, uscirà e troverà futuro.

Sono venuto perché abbiano la vita, vita in abbondanza.
La chiave di volta della mia fede. Fonte a cui ritorno, parole piene di sole. Venuto a portare vita, non un sistema di pensiero, una vita piena, abbondante, potente, viva; vita ‘cento volte tanto’ dirà a Pietro, cento volte più forte. Vita in HD, in alta definizione.

La prova ultima della bontà della fede cristiana sta nella sua capacità di comunicare vita, umanità piena, futuro; di creare in noi il desiderio di ulteriore vita, eterna, indistruttibile, fatta di cose che meritano di non morire mai.

Al tempo di Gesù i pastori erano soliti condurre il loro gregge in un recinto per la notte, un solo recinto e un solo guardiano servivano per molte greggi. Al mattino, ciascun pastore tornava al recinto, gridava il suo richiamo e le sue pecore, solo le sue, riconoscendone la voce, lo seguivano (B. Maggioni).

E le conduce fuori. Anzi: “le spinge fuori”. Non un Dio dei recinti ma uno che apre spazi, pastore di libertà e non di paure. Che mi spinge fuori dal mio piccolo buco di abitudini, a tentare passi nuovi, pascoli nuovi. Le pecore non tornano sui pascoli di ieri, pena la fame e l’inedia, l’erba è finita, sono “gregge in uscita”, incamminato, che ha fiducia nel pastore e anche nella storia, nera di ladri e di deserti, ma bianca di sentieri, e verde di pascoli nuovi.

Il pastore cammina davanti alle pecore. Non abbiamo un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini. Non un pastore alle spalle, che grida o agita il bastone, ma uno che precede e convince, con il suo andare tranquillo, che la strada è sicura.

Le pecore ascoltano la sua voce. E lo seguono. Basta la voce, non servono grida, perché si fidano e si affidano. Perché lo seguono? Semplice, per non morire. Quello che cammina davanti, che sa il mio nome, non è un ladro di felicità o di libertà. Io sono la porta: non un muro, o un vecchio recinto, dove tutto gira e rigira e torna sui suoi giri. Cristo è porta aperta, buco nella rete, passaggio, transito, per cui va e viene la vita di Dio. Non si sta fermi sulla porta, si passa oltre. Infatti: Ognuno entrerà, uscirà e troverà pascolo. Troverà futuro.

“Amo le porte aperte che fanno entrare notti e tempeste, polline e spighe. Libere porte che rischiano l’errore e l’amore. Amo le porte aperte di chi invita a varcare la soglia. Amo le porte aperte: buchi nella rete, brecce nei muri, di chi ha fatto voto di libertà, strade per tutti noi. Amo le porte aperte di Dio” (Francesco Fiorillo).

Lui, pieno di futuro, mi rassicura: provvede manna per quarant’anni di deserto, pane per cinquemila, anfore colme fino all'orlo, pelle di primavera per il lebbroso, pietra rotolata via per Lazzaro, profumo che riempie la casa.

L'asse attorno alla quale danza il Vangelo è vita piena da parte di Dio, che un verso di Giuseppe Centore canta così: “Tu sei per me/ segretamente/ ciò ch'è la primavera per i fiori!”. Fioritura dell’essere.


per Avvenire 

Gesù chiama per nome donandoci la vita  (...)

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