venerdì 30 giugno 2017

Papa Francesco 29/06/2017 Omelia: "Chiediamoci se siamo cristiani da salotto oppure apostoli in cammino, che confessano Gesù con la vita perché hanno Lui nel cuore." Angelus: "Pietro e Paolo dimostrano e dicono a noi, oggi, che il Signore è sempre al nostro fianco, cammina con noi, non ci abbandona mai." (foto, testi e video)

SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Piazza San Pietro
Giovedì, 29 giugno 2017

SANTA MESSA E BENEDIZIONE DEI PALLI
PER I NUOVI METROPOLITI

Nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, Papa Francesco sosta in preghiera davanti alla tomba di San Pietro insieme all'arcivescovo di Telmessos Job, che guida una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, inviata da Bartolomeo I.




Il Santo Padre si sposta quindi in piazza San Pietro per presiedere la Messa concelebrando con i 5 nuovi cardinali e 32 dei 36 arcivescovi nominati negli ultimi 12 mesi, per i quali ha benedetto e consegnato i palli.
Il pallio, è una striscia di lana bianca che si porta avvolta sulle spalle a ricordare la pecora che il pastore porta sulle spalle come fatto da Cristo ed è pertanto simbolo del compito pastorale di chi lo indossa e segnala inoltre una stretta vicinanza alla Sede Apostolica.


Il testo integrale dell'omelia

La Liturgia di oggi ci offre tre parole essenziali per la vita dell’apostolo: confessione, persecuzione, preghiera.

La confessione è quella di Pietro nel Vangelo, quando la domanda del Signore da generale diventa particolare. Infatti Gesù dapprima chiede: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Da questo “sondaggio” emerge da più parti che il popolo considera Gesù un profeta. E allora il Maestro pone ai discepoli la domanda davvero decisiva: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 15). A questo punto risponde solo Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16). Ecco la confessione: riconoscere in Gesù il Messia atteso, il Dio vivente, il Signore della propria vita.

Questa domanda vitale Gesù la rivolge oggi a noi, a tutti noi, in particolare a noi Pastori. È la domanda decisiva, davanti alla quale non valgono risposte di circostanza, perché è in gioco la vita: e la domanda della vita chiede una risposta di vita. Perché a poco serve conoscere gli articoli di fede se non si confessa Gesù Signore della propria vita. Oggi Egli ci guarda negli occhi e chiede: “Chi sono io per te?”. Come a dire: “Sono ancora io il Signore della tua vita, la direzione del tuo cuore, la ragione della tua speranza, la tua fiducia incrollabile?”. Con San Pietro, anche noi rinnoviamo oggi la nostra scelta di vita come discepoli e apostoli; passiamo nuovamente dalla prima alla seconda domanda di Gesù, per essere “suoi” non solo a parole, ma coi fatti e nella vita.

Chiediamoci se siamo cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo, oppure apostoli in cammino, che confessano Gesù con la vita perché hanno Lui nel cuore. Chi confessa Gesù sa che non è tenuto soltanto a dare pareri, ma a dare la vita; sa che non può credere in modo tiepido, ma è chiamato a “bruciare” per amore; sa che nella vita non può “galleggiare” o adagiarsi nel benessere, ma deve rischiare di prendere il largo, rilanciando ogni giorno nel dono di sé. Chi confessa Gesù fa come Pietro e Paolo: lo segue fino alla fine; non fino a un certo punto, ma fino alla fine, e lo segue sulla sua via, non sulle nostre vie. La sua via è la via della vita nuova, della gioia e della risurrezione, la via che passa anche attraverso la croce e le persecuzioni.

Ecco la seconda parola, persecuzioni. Non solo Pietro e Paolo hanno dato il sangue per Cristo, ma l’intera comunità agli inizi è stata perseguitata, come ci ha ricordato il Libro degli Atti degli Apostoli (cfr 12,1). Anche oggi in varie parti del mondo, a volte in un clima di silenzio – non di rado silenzio complice –, tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali, spesso senza il doveroso impegno di chi potrebbe far rispettare i loro sacrosanti diritti.

Vorrei sottolineare soprattutto quanto l’Apostolo Paolo afferma prima di «essere – come lui scrive – versato in offerta» (2 Tm 4,6). Per lui vivere era Cristo (cfr Fil 1,21), e Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,1), che ha dato la vita per lui (cfr Gal 2,20). Così, da discepolo fedele, Paolo ha seguito il Maestro offrendo anche lui la vita. Senza la croce non c’è Cristo, ma senza la croce non c’è nemmeno il cristiano. Infatti, «è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali» (Agostino, Disc. 46,13), come Gesù. Sopportare il male non è solo avere pazienza e tirare avanti con rassegnazione; sopportare è imitare Gesù: è portare il peso, portarlo sulle spalle per Lui e per gli altri. È accettare la croce, andando avanti con fiducia perché non siamo soli: il Signore crocifisso e risorto è con noi. Così, con Paolo possiamo dire che «in tutto siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati» (2 Cor 4,8-9).

Sopportare è saper vincere con Gesù alla maniera di Gesù, non alla maniera del mondo. Ecco perché Paolo – lo abbiamo sentito – si ritiene un vincitore che sta per ricevere la corona (cfr 2 Tm 4,8) e scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (v. 7). L’unica condotta della sua buona battaglia è stata vivere per: non per se stesso, ma per Gesù e per gli altri. Ha vissuto “correndo”, cioè senza risparmiarsi, anzi consumandosi. Una cosa dice di aver conservato: non la salute, ma la fede, cioè la confessione di Cristo. Per amore suo ha vissuto le prove, le umiliazioni e le sofferenze, che non vanno mai cercate, ma accettate. E così, nel mistero del dolore offerto per amore, in questo mistero che tanti fratelli perseguitati, poveri e malati incarnano anche oggi, risplende la forza salvifica della croce di Gesù.

La terza parola è preghiera. La vita dell’apostolo, che sgorga dalla confessione e sfocia nell’offerta, scorre ogni giorno nella preghiera. La preghiera è l’acqua indispensabile che nutre la speranza e fa crescere la fiducia. La preghiera ci fa sentire amati e ci permette di amare. Ci fa andare avanti nei momenti bui, perché accende la luce di Dio. Nella Chiesa è la preghiera che ci sostiene tutti e ci fa superare le prove. Lo vediamo ancora nella prima Lettura: «Mentre Pietro era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). Una Chiesa che prega è custodita dal Signore e cammina accompagnata da Lui. Pregare è affidargli il cammino, perché se ne prenda cura. La preghiera è la forza che ci unisce e sorregge, il rimedio contro l’isolamento e l’autosufficienza che conducono alla morte spirituale. Perché lo Spirito di vita non soffia se non si prega e senza preghiera non si aprono le carceri interiori che ci tengono prigionieri.

I Santi Apostoli ci ottengano un cuore come il loro, affaticato e pacificato dalla preghiera: affaticato perché chiede, bussa e intercede, carico di tante persone e situazioni da affidare; ma al tempo stesso pacificato, perché lo Spirito porta consolazione e fortezza quando si prega. Quanto è urgente nella Chiesa avere maestri di preghiera, ma prima di tutto essere uomini e donne di preghiera, che vivono la preghiera!

Il Signore interviene quando preghiamo, Lui che è fedele all’amore che gli abbiamo confessato e ci sta vicino nelle prove. Egli ha accompagnato il cammino degli Apostoli e accompagnerà anche voi, cari Fratelli Cardinali, qui riuniti nella carità degli Apostoli che hanno confessato la fede con il sangue. Sarà vicino anche a voi, cari Fratelli Arcivescovi che, ricevendo il pallio, sarete confermati a vivere per il gregge, imitando il Buon Pastore, che vi sostiene portandovi sulle spalle. Lo stesso Signore, che ardentemente desidera vedere tutto riunito il suo gregge, benedica e custodisca il Patriarca Ecumenico, il caro fratello Bartolomeo, e la Delegazione che ha qui inviato in segno di comunione apostolica.

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ANGELUS

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

I Padri della Chiesa amavano paragonare i santi Apostoli Pietro e Paolo a due colonne, sulle quali poggia la costruzione visibile della Chiesa. Entrambi hanno suggellato con il proprio sangue la testimonianza resa a Cristo con la predicazione e il servizio alla nascente comunità cristiana. Questa testimonianza è messa in luce dalle Letture bibliche della liturgia odierna, Letture che indicano il motivo per cui la loro fede, confessata e annunciata, è stata poi coronata con la prova suprema del martirio.

Il Libro degli Atti degli Apostoli (cfr 12,1-11) racconta l’evento della prigionia e della conseguente liberazione di Pietro. Egli sperimentò l’avversione al Vangelo già a Gerusalemme, dove era stato rinchiuso in prigione dal re Erode «col proposito di farlo comparire davanti al popolo» (v. 4). Ma fu salvato in modo miracoloso e così poté portare a termine la sua missione evangelizzatrice, prima nella Terra Santa e poi a Roma, mettendo ogni sua energia al servizio della comunità cristiana.

Anche Paolo ha sperimentato ostilità dalle quali è stato liberato dal Signore. Inviato dal Risorto in molte città presso le popolazioni pagane, egli incontrò forti resistenze sia da parte dei suoi correligionari che da parte delle autorità civili. Scrivendo al discepolo Timoteo, riflette sulla propria vita e sul proprio percorso missionario, come anche sulle persecuzioni subite a causa del Vangelo.

Queste due “liberazioni”, di Pietro e di Paolo, rivelano il cammino comune dei due Apostoli, i quali furono mandati da Gesù ad annunciare il Vangelo in ambienti difficili e in certi casi ostili. Entrambi, con le loro vicende personali ed ecclesiali, dimostrano e dicono a noi, oggi, che il Signore è sempre al nostro fianco, cammina con noi, non ci abbandona mai. Specialmente nel momento della prova, Dio ci tende la mano, viene in nostro aiuto e ci libera dalle minacce dei nemici. Ma ricordiamoci che il nostro vero nemico è il peccato, e il Maligno che ci spinge ad esso. Quando ci riconciliamo con Dio, specialmente nel Sacramento della Penitenza, ricevendo la grazia del perdono, siamo liberati dai vincoli del male e alleggeriti dal peso dei nostri errori. Così possiamo continuare il nostro percorso di gioiosi annunciatori e testimoni del Vangelo, dimostrando che noi per primi abbiamo ricevuto misericordia.

Alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli, rivolgiamo la nostra preghiera, che oggi è soprattutto per la Chiesa che vive a Roma e per questa città, di cui Pietro e Paolo sono i patroni. Essi le ottengano il benessere spirituale e materiale. La bontà e la grazia del Signore sostenga tutto il popolo romano, perché viva in fraternità e concordia, facendo risplendere la fede cristiana, testimoniata con intrepido ardore dai santi Apostoli Pietro e Paolo.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

questa mattina, qui in piazza, ho celebrato l’Eucaristia con i cinque Cardinali che ho creato nel Concistoro di ieri, e ho benedetto i Palli degli Arcivescovi Metropoliti nominati in quest’ultimo anno, provenienti da diversi Paesi. Rinnovo il mio saluto e il mio augurio a loro e a quanti li hanno accompagnati in questo pellegrinaggio. Li incoraggio a proseguire con gioia la loro missione al servizio del Vangelo, in comunione con tutta la Chiesa. Nella stessa celebrazione ho accolto con affetto i Membri della Delegazione venuta a Roma a nome del Patriarca Ecumenico, il carissimo fratello Bartolomeo. Anche questa presenza è segno dei fraterni legami esistenti tra le nostre Chiese.

Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni e singoli fedeli provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, specialmente dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Bolivia, dall’Indonesia e dal Qatar. Saluto gli studenti delle scuole cattoliche di Salbris (Francia), di Osijek (Croazia) e di Londra.

Il mio saluto oggi va soprattutto a voi, fedeli di Roma, nella festa dei santi Patroni della Città! A tutti i fedeli di Roma un grande applauso! Per tale ricorrenza la “Pro Loco” romana ha promosso la tradizionale Infiorata, realizzata da diversi artisti e dai volontari del Servizio Civile. Grazie per questa iniziativa e per le belle rappresentazioni floreali! E desidero ricordare anche lo spettacolo pirotecnico che avrà luogo stasera a Piazza del Popolo.

A tutti auguro una buona festa. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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Charlie nel nostro cuore #charliesfight




IL CUORE LACERATO DEI GENITORI

Non si può scrivere, aggiungere ancora parole e pensieri alla vicenda del piccolo Charlie senza un macigno sul cuore, le mani che tremano e gli occhi lucidi. Non si può, se ci è rimasta un po’ di umanità, utilizzarla per attaccare, polemizzare, tifare contro qualcuno

Si può però e si deve, invece, cercare di vivere – kivjakôl, “se così si potesse dire”, secondo l’espressione ebraica che indica i limiti del linguaggio umano quando deve parlare del mistero di Dio – un po’ dell’angoscia mortale dei suoi genitori, pensando, se siamo credenti, che ci troviamo di fronte appunto ad un mistero come quello del Venerdì Santo.

Non abbiamo la competenza né medica né giuridica per entrare nel merito del complesso iter clinico-giudiziario di questa vicenda, su cui molto è stato già scritto. Restano però le angosciose, laceranti domande che moltissimi si sono fatti: perché a Charlie viene impedito di continuare a vivere fino al termine naturale della sua malattia? Perché parlare di “accanimento terapeutico” che prolunga le sofferenze, quando è impossibile dimostrarlo “al di là di ogni ragionevole dubbio”? Perché combattere con tale accanimento (qui il termine sì che è indicato) la volontà, l’amore, l’abnegazione dei suoi genitori? Perché chiudere ogni porta, ogni spiraglio, ogni tentativo anche apparentemente inutile per un caso che per la sua rarità e gravità esce da tutti gli schemi precostituiti? Perché rifiutare addirittura ciò che i genitori chiedevano nel loro straziante ultimo appello, potere almeno portare Charlie a casa, fargli un bagnetto, distendersi assieme sul sofà?

Tutto questo è, come si sono espressi i vescovi inglesi, heartrending: fa piangere il cuore. E proseguono: «Noi speriamo e preghiamo perché i genitori di Charlie nei prossimi giorni e mesi possano trovare alfine pace. Chiediamo a tutti i cattolici di pregare per Charlie, la sua famiglia, chi si è preso cura di lui. Purtroppo, malattie terminali prolungate fanno parte della condizione umana, ma non dovremmo mai agire con la deliberata intenzione di porre fine a una vita umana, anche se alle volte dobbiamo riconoscere i limiti di ciò che si può fare, accudendo con umanità la persona malata fino al sopraggiungere della sua morte naturale».

In questi casi il crinale è stretto, le scelte al limite dell’umana comprensione. Non facciamoci dominare però, come ci richiama continuamente papa Francesco, dalla “cultura dello scarto”.

Londra. Altre ore di vita per Charlie, i genitori ottengono «proroga»

I genitori avevano chiesto altro tempo per potersi accomiatare dal piccolo prima che i medici stacchino la spina. Veglie di preghiera in tutta Europa.


Una piccola «proroga» per Charlie. Secondo quanto scrive il sito web del Daily Mail, i medici del Great Ormond Street Hospital hanno concesso ai genitori del bambino un tempo addizionale per potersi accomiatare dal figlioletto, prima che la decisione irrevocabile di staccare la spina dei macchinari che lo tengono in vita venga messa in atto. «Stiamo creando ricordi preziosi che porteremmo con noi per sempre. Per favore - sono le parole dei genitori - rispettate la nostra privacy mentre ci prepariamo a dare il saluto finale a nostro figlio Charlie».

Per Charlie Gard, in ogni caso, sono le ultime ore di vita. Secondo quanto hanno riferito i genitori, le autorità sanitarie dell'ospedale avevano deciso di spegnere venerdì 30 giugno la macchina per la ventilazione assistita che tiene in vita da ottobre il bambino inglese di 10 mesi.

Una decisione che ha impresso un’accelerazione drammatica alla vicenda del bambino affetto da una rara malattia del mitocondrio (solo 16 i malati censiti in tutto il mondo) che pur non facendone ancora un paziente in fase terminale ha autorizzato medici e tribunali – che avrebbero dovuto tutelare la sua vita – a farlo morire anzitempo contro la volontà dei genitori, ipotizzando che ogni prosecuzione delle terapie configurerebbe accanimento terapeutico.

Una decisione tremenda, che mamma e papà avrebbero voluto in qualche modo attutire portando il figlio a morire a casa, richiesta alla quale però l’ospedale si è opposto. «Abbiamo promesso al nostro piccolo ogni giorno che l’avremmo riportato a casa» ha detto la mamma in un drammatico video pubblicato sul Daily Mail. «Vogliamo fargli fare un bagnetto a casa – ha aggiunto il papà –, coricarlo nella culla dove non ha mai dormito, ma adesso tutto questo ci viene negato. Avevamo detto di essere disponibili a trasferirlo in un centro di assistenza per malati terminali, a nostre spese.Ormai sappiamo il giorno in cui nostro figlio morirà, ma non ci dicono come questo accadrà». La procedura dovrebbe prevedere una sedazione profonda e poi il distacco del ventilatore. L'effetto sarebbe una morte per soffocamento, pur in un paziente sedato.
Una foto della famiglia Gard tratta dal profilo Facebook dei genitori
Una foto della famiglia Gard tratta dal profilo Facebook dei genitori
È l’ultimo affronto a una famiglia che voleva semplicemente esercitare la sua libertà di scelta sulle terapie (tanto spesso, e invano, evocata a casa nostra, con i suoi cantori che si sono ben guardati dall’intervenire sul caso di Charlie) portando il bambino negli Stati Uniti per tentare una cura sperimentale. Ma la Corte europea ha negato questa possibilità assecondando i verdetti precedenti di tre tribunali inglesi: l'11 aprile in primo grado, il 25 maggio in appello con il verdetto della Corte Suprema di Londra l'8 giugno). Intanto la mamma di Charlie ha annunciato che la somma raccolta grazie a una spontanea colletta internazionale (1,3 milioni di sterline pari a un milione e mezzo di euro) per pagare il viaggio e le cure negli Usa sarà devoluta a famiglie con situazioni analoghe a quella di suo figlio.

Ma il sostegno di migliaia di persone che in tutto il mondo si sono riconosciute sotto la definizione di "Charlie's Army" (l'esercito di Charlie, diventato anche un hashtag per fare rete si Twitter) non sembrano intenzionate a fermarsi qui, tale è l'impatto di una vicenda che come poche altre ha messo in luce la distanza che si sta creando tra medicina e diritto e le istanze più profondamente umane.

È una commovente mobilitazione globale di solidarietà, affetto e preghiera quella che intanto stringe in un abbraccio Charlie e i suoi genitori Chris e Connie, protagonisti loro malgrado di una vicenda umana, clinica e giudiziaria che ha scosso l’Inghilterra e l’opinione pubblica dei Paesi come l’Italia dove è circolata la drammatica vicenda del bimbo davanti alla quale i medici si sono arresi decretando il distacco della macchina che consente al piccolo di respirare vedendo poi confermata questa decisione in tutti i gradi di giudizio a Londra e, martedì, anche a Strasburgo. È stata la scioccante decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di non opporsi alla morte di Charlie procurata con la sospensione della ventilazione assistita a suscitare l’impegno a organizzare iniziative di preghiera. Per raccoglierle e farle conoscere è stato aperto un sito – http://pray4charlie.com – dal quale emerge con immediata evidenza come la quasi totalità delle proposte è scaturita dal cuore dell’Italia.

Una risposta che fa molto riflettere sulla sensibilità del nostro popolo verso la vita nascente e la sua tutela come forma di umanità più fragile e bisognosa di protezione. Tra adorazioni eucaristiche e Rosari, colpisce la presenza di ospedali (è il caso del Policlinico di Modena) accanto a un nugolo di parrocchie e santuari, da Parma a Rimini, da Genova a Trento, a Brescia a La Spezia, da Torino a Savona. Tra le altre iniziative, colpisce la presenza di Lourdes con una Via Crucis e della cattedrale di Tirana, accanto al Seminario di Tournai in Francia.

Un pensiero a Charlie, invitando la platea a un momento di raccoglimento per il piccolo e per la famiglia, anche dal presidente della Cei Gualtiero Bassetti, ospite della Festa di Avvenire a Matera. "Questa straziante vicenda tocca l'anima di ogni persona e non può lasciare nessuno nell'indifferenza. Ogni azione che pone fine a una vita è una falsa concezione della libertà. Ogni vita dall'inizio alla fine va accolta e difesa".

"Siamo vicini a lui, a sua mamma, a suo papà e a tutti quelli che, fino a oggi, lo hanno curato e hanno lottato con lui. Per loro, e per quanti sono chiamati a decidere del loro futuro, innalziamo al Signore della vita una preghiera perché "nulla vada perdutò": così mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita.

È "disumano arrivare a stabilire chi ha diritto a vivere e chi no". Don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio per la pastorale della Salute della Cei, segue con grande preoccupazione la vicenda. E avverte: «Il problema è che il caso rischia di fare scuola, aprendo strade di morte". Il sacerdote sottolinea come con questa vicenda si tocchi con mano "la crisi antropologica denunciata da papa Francesco con la cultura dello scarto. Si fissano parametri su ciò che è vita e dignità e su ciò che non lo è, questa è disumanità. Stiamo andando verso il principio di autodeterminazione dove i diritti individuali ("che talvolta sono solo desideri") devono essere garantiti dallo Stato". 
 (fonte: Avvenire)

CONCISTORO - 5 nuovi cardinali - Gesù chiama a guardare la realtà delle sofferenze - Papa Francesco (Testo e video)

CONCISTORO - Creati 5 nuovi cardinali
Gesù chiama a guardare la realtà delle sofferenze
Gesù “cammina davanti a voi” 
e vi chiede di seguirlo decisamente sulla sua via.
Vi chiama a servire come Lui e con Lui. 
A servire il Padre e i fratelli.
Papa Francesco


CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
PER LA CREAZIONE DI 5 NUOVI CARDINALI

CAPPELLA PAPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana - Mercoledì, 28 giugno 2017


Papa Francesco: “…hos Venerabiles Fratres creamus…
“Creiamo cardinali di Santa Romana Chiesa questi nostri fratelli…”.

Dopo sette mesi il Papa pronuncia ancora una volta questa formula in latino presiedendo il Concistoro ordinario pubblico, in San Pietro, per la creazione di cinque nuovi cardinali. Tanta l’emozione dei neo porporati: Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako in Mali, Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona in Spagna, Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma in Svezia; Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vescovo titolare di Acque nuove di Proconsolare, vicario apostolico di Paksé in Laos; Gregorio Rosa Chávez, vescovo titolare di Mulli, ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador in El Salvador.

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Ecco il testo dell'omelia:

«Gesù camminava davanti a loro». Questa è l’immagine che ci viene dal Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 10,32-45), e che fa da sfondo anche all’atto che stiamo compiendo: un Concistoro per la creazione di alcuni nuovi Cardinali. 

Gesù cammina decisamente verso Gerusalemme. Sa bene che cosa lo attende e ne ha parlato più volte ai suoi discepoli. Ma tra il cuore di Gesù e i cuori dei discepoli c’è una distanza, che solo lo Spirito Santo potrà colmare. Gesù lo sa; per questo è paziente con loro, parla loro con franchezza, e soprattutto li precede, cammina davanti a loro. 

Lungo il cammino, i discepoli stessi sono distratti da interessi non coerenti con la “direzione” di Gesù, con la sua volontà che è un tutt’uno con la volontà del Padre. Ad esempio – abbiamo sentito – i due fratelli Giacomo e Giovanni pensano a come sarebbe bello sedere alla destra e alla sinistra del re d’Israele (cfr v. 37). Non guardano la realtà! Credono di vedere e non vedono, di sapere e non sanno, di capire meglio degli altri e non capiscono… 

La realtà invece è tutt’altra, è quella che Gesù ha presente e che guida i suoi passi. La realtà è la croce, è il peccato del mondo che Lui è venuto a prendere su di sé e sradicare dalla terra degli uomini e delle donne. La realtà sono gli innocenti che soffrono e muoiono per le guerre e il terrorismo; sono le schiavitù che non cessano di negare la dignità anche nell’epoca dei diritti umani; la realtà è quella di campi profughi che a volte assomigliano più a un inferno che a un purgatorio; la realtà è lo scarto sistematico di tutto ciò che non serve più, comprese le persone. 

E’ questo che Gesù vede, mentre cammina verso Gerusalemme. Durante la sua vita pubblica Egli ha manifestato la tenerezza del Padre, risanando tutti quelli che erano sotto il potere del maligno (cfr At 10,38). Adesso sa che è venuto il momento di andare a fondo, di strappare la radice del male, e per questo va risolutamente verso la croce. 

Anche noi, fratelli e sorelle, siamo in cammino con Gesù su questa strada. In particolare mi rivolgo a voi, carissimi nuovi Cardinali. Gesù “cammina davanti a voi” e vi chiede di seguirlo decisamente sulla sua via. Vi chiama a guardare la realtà, a non lasciarvi distrarre da altri interessi, da altre prospettive. Lui non vi ha chiamati a diventare “principi” nella Chiesa, a “sedere alla sua destra o alla sua sinistra”. Vi chiama a servire come Lui e con Lui. A servire il Padre e i fratelli. Vi chiama ad affrontare con il suo stesso atteggiamento il peccato del mondo e le sue conseguenze nell’umanità di oggi. Seguendo Lui, anche voi camminate davanti al popolo santo di Dio, tenendo fisso lo sguardo alla Croce e alla Risurrezione del Signore. 

E allora, per intercessione della Vergine Madre, invochiamo con fede lo Spirito Santo, perché colmi ogni distanza tra i nostri cuori e il cuore di Cristo, e tutta la nostra vita diventi servizio a Dio e ai fratelli.

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Omelia integrale





Chi sono i nuovi 5 cardinali creati da Papa Francesco?
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Servizio TV2000




L'opinione di Luis Badilla sul Concistoro

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Il Concistoro integrale



giovedì 29 giugno 2017

Lettera aperta ai quattro cardinali dei “Dubia” di Stephen Walford

Lettera aperta ai quattro cardinali dei “Dubia”
di Stephen Walford *



Eminenze, Signori Cardinali, 

ho deciso di scrivere questa lettera aperta in risposta ai vostri ripetuti tentativi di avvicinamento al nostro Santo Padre, Papa Francesco, per le questioni originariamente sollevate nei vostri cinque “dubia”. Scrivo mosso dallo spirito d’amore per la Chiesa e, soprattutto, per la sua unità sotto la cura e protezione del nostro amato Papa. Desidero inoltre affermare che, in relazione alla questione dell’accesso ai Sacramenti per alcuni divorziati risposati, non ho alcun interesse diretto. Sono stato benedetto con un matrimonio di vent’anni e cinque figli, e non ho parenti o amici che rientrano in questa categoria molto delicata. La mia unica preoccupazione risiede nel benessere spirituale di queste anime speciali che il Signore ha messo accanto a me come fratelli e sorelle nella fede. 

Vorrei cominciare affrontando le preoccupazioni espresse nei vostri “dubia”. Sembra che, in relazione al primo “dubium”, abbiate una certa difficoltà ad accettare i due autentici interventi di Papa Francesco nei quali afferma che, in alcuni casi, la disciplina dei sacramenti è stata cambiata: in primo luogo, in risposta alla domanda di Francis Rocca sul volo da Lesbo a Roma il 16 aprile 2016 e, in secondo luogo, il 5 settembre 2016, quando elogiò il documento contenente i criteri fondamentali presentato dai Vescovi Argentini che afferma che «non c’è altra interpretazione» del capitolo VIII di Amoris laetitia. Per quanto riguarda gli altri quattro “dubia”, sono confuso sul perché abbiate sentito la necessità di porre queste domande. In nessuna parte di Amoris laetitia Papa Francesco ha cambiato qualcuno di questi insegnamenti. 
Permettetemi di fare qualche esempio. Al punto 295 di Amoris laetitia, il Santo Padre ripete l’insegnamento di San Giovanni Paolo II sulla «legge della gradualità» in contrapposizione alla «gradualità della legge» e inoltre afferma: «Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione». Mentre al punto 311, Papa Francesco dice: «È vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa», riferendosi al divorzio come ad un male (n. 246). Va anche notato che il Santo Padre ribadisce l’Humanae Vitae: «Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato di generare una nuova vita». 

Per quanto riguarda la coscienza, al punto 37, il Papa sostiene che le coscienze devono essere «formate» e aggiunge che più le coppie ascoltano Dio e seguono i suoi comandamenti facendosi accompagnare spiritualmente, «tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente» (p. 222). Al punto 303 si legge: «Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata». Se esiste uno sviluppo dottrinale in termini di coscienza, esso si riferisce all’insegnamento magisteriale del Papa (n. 303), e cioè al fatto che una persona può avere una «certa sicurezza morale» per quanto riguarda la «risposta generosa» che può dare a Dio in quel momento della sua vita, nel caso in cui non sia in grado di rispondere obiettivamente alla «proposta generale del Vangelo». 

Anche qui per ben due volte, il Santo Padre fa riferimento al fatto che la «risposta generosa» non debba essere vista come ideale oggettivo. Al n. 305, Papa Francesco afferma l’esistenza di un peccato oggettivamente grave - definendolo «una situazione oggettiva di peccato» - tuttavia sceglie di affrontarla in relazione all’aspetto più importante della colpa soggettiva, così come aveva fatto la Congregazione per la Dottrina della Fede sotto il cardinale Joseph Ratzinger. Vorrei richiamare la vostra attenzione sui numerosi documenti chiave in cui questo concetto viene spiegato: La norma morale di Humanae Vitae e Il compito pastorale, Homosexualitatis problema, e Persona humana. In ogni caso, si può affermare che Papa Francesco non ha cambiato il magistero sul peccato grave. 

Eminenze, un’attenta lettura di Amoris laetitia rivela tutto quello che avete chiesto nei “dubia”: 

1) Gli insegnamenti sull’indissolubilità del matrimonio rimangono. 
2) Ogni persona deve sforzarsi di seguire gli insegnamenti morali della Chiesa. 
3) Il divorzio è un male e l’adulterio è sempre male. Anche se la colpa può essere ridotta o cancellata del tutto. 
4) Le coscienze devono essere formate. Nessuna parte del testo può indurre chicchessia a giungere alla conclusione di poter fare come meglio crede. 
5) In nessun modo Papa Francesco suggerisce che le unioni irregolari siano un’opzione alternativa “buona” al matrimonio originale. Tuttavia, non si può negare l’opera della grazia in atto in alcune di queste unioni. 

Quindi, ciò che rimane è un disaccordo con il cambiamento apportato dal Papa in merito alla disciplina dei sacramenti. Papa Francesco ha forse cambiato la dottrina? No. È piuttosto chiaro che coloro i quali mostrano una situazione irregolare debbano essere convertiti. E anche se non lo dice, il presupposto è che queste anime si siano verosimilmente macchiate di peccato mortale. 

Se il Papa stesse predicando una falsa misericordia, avrebbe accolto qualunque persona divorziata e risposata a ricevere il Signore, indipendentemente dallo stato spirituale. Al contrario, l’interesse del Papa e la sua preoccupazione pastorale sono per quelle anime che amano profondamente il Signore, ma si trovano in una situazione estremamente difficile; e per questo mi sento di dire che Francesco è un Papa molto coraggioso, inviato dallo Spirito Santo in questa epoca anche per affrontare la realtà di una Chiesa e un mondo feriti che non possono essere abbandonati. 

Per quanto riguarda la richiesta di Giovanni Paolo II di «vivere come fratello e sorella», il realismo ci dice che questa situazione ideale non sempre è possibile. Ricordiamo il magnorum est di Papa Gregorio II, che afferma quanto questo sia possibile solo in caso di grande virtù morale. Tuttavia, anche nel caso di un completo fallimento in tal senso, l’autentica teologia morale ci dice che la colpa può essere minima o addirittura inesistente: «L’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore» (Sam 16,7). 

Eminenze, 
vorrei richiamare la vostra attenzione sugli insegnamenti trovati in diversi documenti magisteriali di grande importanza. In Donum Veritatis (n. 17) leggiamo: «Si deve dunque tener conto del carattere proprio di ciascuno degli interventi del Magistero e della misura in cui la sua autorità è coinvolta, ma anche del fatto che essi derivano tutti dalla stessa fonte e cioè da Cristo che vuole che il suo Popolo cammini nella verità tutta intera. Per lo stesso motivo le decisioni magisteriali in materia di disciplina, anche se non sono garantite dal carisma dell’infallibilità, non sono sprovviste dell’assistenza divina, e richiedono l’adesione dei fedeli». 

Nella sua enciclica Satis Cognitum Papa Leone XIII ha affermato: «Le parole metaforiche di legare e di sciogliere indicano il diritto di far leggi e insieme il potere di giudicare e di punire. Detto potere si afferma così ampio e di tanta virtù, che qualunque cosa venga da esso decretata verrà da Dio confermata. Pertanto esso è sommo e del tutto libero, come quello che non ha superiore in terra: abbraccia tutta la Chiesa e tutte le cose che ad essa furono affidate». 

Suggerirei umilmente che non si può giungere ad altra conclusione se non quella che Papa Francesco – essendo il beneficiario del carisma dello Spirito Santo che lo assiste anche nel magistero ordinario (come ha insegnato San Giovanni Paolo II) - ha legittimamente reso possibile il ricevimento della Santa Comunione da parte dei divorziati risposati i cui casi sono stati attentamente considerati, nelle cui anime sia all’opera la grazia dello Spirito Santo, e ove sia presente un sincero sforzo verso la santità. Se non riusciamo ad accettare questa premessa, allora non stiamo accettando gli insegnamenti dei Papi precedenti. Se c’è una cosa che la Tradizione ci insegna è che esiste una ermeneutica della continuità nel comprendere l’autorità spirituale del papato in questioni di fede e di morale e, come sottolinea il Concilio Vaticano I: «Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapendo che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore». 

Nella Apostolicae Sedis Primatus Papa Innocenzo III affermò: «Il Signore insinua manifestamente che i successori di Pietro non devieranno mai, in nessun momento, dalla fede cattolica, ma piuttosto richiameranno gli altri e rafforzeranno anche gli esitanti». Mentre Papa Benedetto XVI disse: «Il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il Popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale» (Omelia per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 2010). 

Nella lettera del 25 aprile 2017 avete dichiarato di respingere quelle affermazioni che non considerano Papa Francesco il vero successore di San Pietro – un’ammissione che induce a pensare che siate perfettamente a conoscenza dell’atteggiamento di molti che guardano a voi come una guida – e quindi, tenendo conto degli insegnamenti sopra esposti, non esiste la possibilità di una correzione formale. In termini di azioni personali come la correzione di San Paolo verso San Pietro, il cui comportamento, secondo San Paolo, era contrario a quello di un Papa, oppure alla peccaminosità dei Papi medievali, allora sì, è possibile una correzione, ma in relazione a questioni di fede o di morale insegnata come parte del magistero non è possibile. 

Eminenze, 

se non vi dispiace, vorrei porvi alcune domande che forse potrebbero aiutarvi a vedere il carisma di Papa Francesco in modo nuovo: 

1) Era scandaloso il fatto che Dio usasse una prostituta pagana impenitente, Rahab, per aiutare «la storia della salvezza»? 

2) Era scandaloso il fatto che Gesù rimanesse in attesa di una donna adultera presso il pozzo di Giacobbe e che le concedesse immediatamente la grazia dell’evangelizzazione? Era scandaloso il fatto che non le dicesse di lasciare l’uomo con cui stava o di vivere come fratello e sorella? 

3) Era scandaloso il fatto che Gesù avesse inserito un nuovo canone nella legge di Mosè per salvare una donna adultera dalla sentenza che meritava? In questo caso, lo spirito della legge ha superato quello della legge scritta per portarla alla salvezza? 

4) Che cosa otteniamo spiritualmente nel combattere contro quelle anime piene di grazia appartenenti ai divorziati e risposati che sinceramente desiderano l’unione sacramentale con Gesù? Crediamo che non sia possibile ottenere nulla per loro? Le parole di Gesù: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37) non valgono dunque per loro? 

5) Che cosa è cambiato dall’affermazione del Santo Papa Pio IX, secondo cui i matrimoni civili per i cattolici sono «nient’altro che un disonorevole e letale concubinaggio» (Allocuzione Acerbissimum vobiscum), a Papa Benedetto XVI che afferma che le sofferenze di queste persone sono un «dono per la Chiesa» (Incontro Mondiale delle Famiglie, 2 giugno 2012)? 

Dobbiamo renderci conto che nel mondo reale - dove la maggioranza di noi laici vive e lavora - i vecchi metodi di conversione non funzionano più. La gente ha bisogno di testimoni di amore e misericordia in grado di offrire una ragione per credere. Non abbiamo altra scelta se non quella di incontrare le persone dove si trovano attualmente e cominciare a lavorare da lì. Non possiamo predicare l’inferno a persone che considerano l’eternità del paradiso come qualcosa di noioso e inutile. L’amore e la compassione sono le chiavi che il Signore ha usato per sbloccare i cuori, e questo Papa Francesco l’ha capito. Le dottrine sono inutili se le anime non sono prima toccate dalla grazia di Dio. Non vedo motivo di temere la veridicità di qualsiasi dottrina. Quello che vedo è un Papa mosso da un sincero realismo cristiano; un Papa che ha preso a cuore le parole narrate nella parabola del banchetto di nozze: «Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia” (Lc 14,23)». Questo è il tempo della misericordia, un tempo che richiede misure speciali, ma anche dei rischi. Credo fermamente che il Signore voglia questo da noi poiché così facendo affermiamo: «Signore, faremo tutto il possibile per aiutare le anime deboli e peccaminose a riempire la tua casa». E non dimentichiamoci mai che noi tutti siamo niente senza la Divina Misericordia. 

Concludo chiedendovi umilmente di rivedere le vostre posizioni. Che ne siate a conoscenza o meno, ma esiste una frangia crescente di tradizionalisti e persino di alcuni cattolici conservatori che vi vedono a capo di coloro che rifiutano questo papato. So per esperienza che alcuni di essi sono profondamente inquietanti. L’abuso di molti, inclusi quelli che gestiscono siti web e blog tradizionalisti rivolti al Santo Padre e ai suoi fedeli, è a dir poco satanico. Voi siete i loro modelli e questa è una situazione intollerabile. In realtà, non c’è alcuna confusione ma solo un palese rifiuto e sfiducia verso il Papa legittimo e i suoi insegnamenti magisteriali. Se tutti i cardinali avessero accettato e difeso il chiaro insegnamento di Papa Francesco, il fuoco del dissenso non sarebbe stato alimentato. Nel desiderio di una Chiesa Unita intorno a Pietro, è fondamentale affermare che il Papa ha l’autorità, ratificata in cielo, per apportare modifiche disciplinari per il bene di alcune anime divorziate risposate e pertanto, vi chiedo di porre fine a questa situazione accettando la costante tradizione della Chiesa, che i Papi sono infallibili in questioni di fede e di morale, frutto incarnato di una specifica preghiera di Gesù stesso: «Ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32). 

Festa del Sacro Cuore di Gesù, 23 giugno 2017 

* Stephen Walford è un teologo e vive a Southampton, in Inghilterra, con sua moglie Paula e cinque bambini. Ha studiato alla Bristol University e ha scritto due libri: “Heralds of the Second Coming: Our Lady, the Divine Mercy, and the Popes of the Marian Era from Bl Pius IX to Benedict XVI” (Angelico Press), e “Communion of Saints: The Unity of Divine Love in the Mystical Body of Christ” (Angelico Press). È autore di diversi articoli e pubblicazioni su temi escatologici e mariologici. È anche un insegnante e un pianista
(Fonte: Vatican Insider)


La sindrome di Stoccolma dei 4 cardinali “sessantottini”
di Andrea Grillo

“La nostra coscienza ci spinge”: così si intitola il testo della lettera, stesa dal Card. Caffarra, a nome proprio e degli altri 3 cardinali dubbiosi. Gustoso è il fatto che la “coscienza cardinalizia” si mobiliti solo per escludere la rilevanza della coscienza personale ed ecclesiale. La coscienza dei cardinali sostituisce e scavalca la coscienza comune: decisamente contro il dettato di AL 37. Ma che cosa dice questa lettera? Possiamo riassumerla in 4 dichiarazioni:

a) si premette che i 4 cardinali sono fedeli alla autorità del Papa (andava detto, visto quello che segue);

b) si indicano Vescovi, pastori e intere Conferenze Episcopali come sostenitrici di affermazioni che “approvano ciò che il magistero della Chiesa non ha mai approvato” (ed è evidente che la abitudine alla censura del prossimo diventa paradossale quando pretende di sostituirsi alle autorità preposte…);

c) si esaltano “laici” – questi sì obbedienti e fedeli, non come i pastori, i Vescovi e le Conferenze episcopali inaffidabili – che vorrebbero garantiti i sacramenti contro questi “abusi”. E si segnala la prestazione dei 6 laici impegnati a maggio in un convegno nella “piccola sala di un hotel” (ma presentato come un evento epocale);

d) si domanda di essere ricevuti per discutere sui “dubia” già presentati e sulla “confusione” in cui AL avrebbe precipitato la Chiesa, e in primis i parroci;

Ciò che sorprende, in questa lettera, è la perdita completa di contatto tra i 4 cardinali e la realtà ecclesiale. Il cammino sinodale, il confronto tra le diverse opinioni, la elaborazione del testo di AL e la sua iniziale recezione: tutto viene risolto in una posizione risentita e negativa, autoreferenziale e senza respiro.

La coscienza dei cardinali li “spinge”: a che cosa? A resistere sulle posizioni acquisite, che vengono scambiate come le “verità di sempre”. E qui vorrei dire, con tutta la necessaria chiarezza, che sono davvero stupito di come questi 4 cardinali siano caduti nel peggiore errore di ciò che loro chiamano “modernismo”. Essi hanno talmente combattuto il moderno, che sono rimasti vittime di una vera e propria “sindrome di Stoccolma”: si sono lasciati talmente segnare dallo scontro con il pensiero soggettivistico, da averne assunto uno dei lati più problematici, ossia la identificazione della propria coscienza soggettiva con la realtà.

Questo è evidente almeno per tre motivi:

a) Con tutta la buona volontà, è ben difficile che Vescovi e intere Conferenze episcopali abbiano assunto decisioni erronee, mentre laici fedeli sarebbero custodi della verità. Questa è una rappresentazione caricaturale della dialettica ecclesiale. Ed è una sorta di “protesta sessantottina” – i laici liberi contro la struttura oppressiva – fatta propria da menti reazionarie. Ma è una assolutizzazione della (loro) coscienza soggettiva contro la evidenza della realtà;

b) La esaltazione del Seminario di studio tenuto a Roma da “6 laici di tutti i continenti” è a sua volta una preoccupante “campagna pubblicitaria” – nel peggior stile postmoderno – contro ogni evidenza teologica e pastorale. I “6 laici”, proprio con i loro discorsi tenuti al Seminario di studio, hanno dimostrato di essere teologicamente incompetenti e ecclesialmente irrilevanti, senza alcun vero collegamento con il cammino ecclesiale, con il dibattito teologico e con la logica del buon senso. Ed è allarmante (anzitutto per loro) che i 4 cardinali preferiscano i deliri infondati di 6 sconosciuti al cammino sinodale di una Chiesa.

c) Infine – e anche questo non può essere taciuto – la difesa che il card- Caffarra fa di quella che chiama “tradizione intangibile” – contro la quale si sarebbero mossi non solo Vescovi e Conferenze, ma lo stesso testo di AL – altro non è che la custodia ostinata della “collezione dei propri testi”: Familiaris Consortio e Veritatis Splendor sono infatti in buona misura il frutto del pensiero e della scrittura dello stesso Card. Caffarra. E se umanamente è comprensibile che ognuno si leghi a filo doppio ai propri testi, ci si affezioni e li veda come “passi insuperabili” nella storia del mondo, proprio per questo motivo ognuno, soprattutto se è un cardinale, dovrebbe anche considerare eccessivo che i propri testi pretendano di essere il punto di arrivo definitivo della Tradizione e della Scrittura. Una moderazione della coscienza e un supplemento di temperanza sarebbero auspicabili, per non compromettere non solo il giudizio sulla persona, ma anche quello sulla funzione cardinalizia, che non può mai ridurre la “voce della coscienza” alla testarda difesa dei propri diritti d’autore
(Fonte: dal blog "Come se non")

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Omelia di p. Aurelio Antista (VIDEO) - 25.06.2017 - XII domenica del Tempo Ordinario / A



Omelia di p. Aurelio Antista

 XII domenica del Tempo Ordinario (A)  -
25.06.2017


Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto



... Gesù è il missionario del Padre, è l'inviato del Padre e Lui associa a sé in questo compito anche i suoi discepoli... 
Questa missione che Gesù affida ai suoi discepoli riguarda anche noi, coinvolge anche noi... e per noi parlare di missione concretamente significa chiederci come stare in questo mondo da credenti, da cristiani? La risposta può essere questa: siamo chiamati ad abitare questo mondo con lo stile di Gesù, con la libertà di Gesù, con la sua coerenza di vita. L'unico fondamento essenziale, irrinunciabile per la nostra missione, per il nostro essere cristiani che testimoniano la propria fede nella vita, l'unico fondamento è l'essere innamorati del Signore...
Vivere da cristiani non è una passeggiata, essere missionari del Vangelo in questo mondo non equivale a fare i turisti, lo diceva proprio oggi Papa Francesco alla preghiera dell'Angelus... essere cristiani significa vivere del Signore e portarlo con noi, annunciarlo con la nostra vita, esser cristiani coerenti comporta un andare controcorrente rispetto alla mentalità del mondo...

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«I cristiani sono uomini e donne “controcorrente” ... senza fauci, senza artigli, senza armi. Ma la violenza mai. Per sconfiggere il male, non si possono condividere i metodi del male... » Papa Francesco Udienza Generale 28/06/2017 (Foto, testo e video)

 Mercoledì 28 giugno 2017 


L’abbraccio di un pastore. Un incontro intimo, vicino, quello di Papa Francesco, questa mattina, con un gruppo di donne separate e divorziate. Madri di famiglia, ragazze in cerca di una seconda opportunità dopo la crisi e la rottura del loro matrimonio, donne che hanno recuperato una stabilità proprio grazie alla Chiesa che ha offerto loro un posto. Il Papa le ha ricevute questa mattina presto in Vaticano per circa 95 minuti. Provenivano dall’arcidiocesi di Toledo, in Spagna, ed è stato il Pontefice stesso a volerle conoscere. 
La notizia dell’incontro è passata quasi in sordina, né appariva tra gli impegni ufficiali dell’agenda papale. Se n’è venuto a conoscenza solo dopo, grazie alle testimonianze di alcune partecipanti. L’idea dell’appuntamento è nata alcuni mesi fa, ad aprile, quando l’arcivescovo di Toledo Braulio Rodríguez ha inviato una lettera al Papa in cui riportava l’esperienza di questa particolare comunità di fedeli, che si riunisce mensilmente nella parrocchia di San Juan de la Cruz per l’adorazione al Santissimo e per condividere temi comuni in un ambiente fraterno. Francesco è rimasto colpito dalla missiva e ha chiesto di incontrare questo gruppo di donne qui a Roma. Oggi sono riuscite finalmente ad arrivare e, oltre al Papa, hanno incontrato anche il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per Laici, Famiglia e Vita. 
«È stata un’esperienza unica in cui abbiamo trovato un padre che ci ha ascoltato con gentilezza e semplicità assoluta», racconta Esperanza Gómez-Menor, una delle donne presenti.
...


Alla vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, papa Francesco ha continuato durante l’Udienza generale di mercoledì 28 giugno 2017, l'ultima prima della pausa estiva, le sue catechesi sulla speranza cristiana, soffermandosi in particolare sulla speranza “come forza dei martiri”.
Sulla jeep del Papa durante il giro sono saliti 4 bambini, durante il percorso, come sempre ha accarezzato e baciato tanti piccoli.











La Speranza cristiana - 28. La Speranza, forza dei martiri

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi riflettiamo sulla speranza cristiana come forza dei martiri. Quando, nel Vangelo, Gesù invia i discepoli in missione, non li illude con miraggi di facile successo; al contrario, li avverte chiaramente che l’annuncio del Regno di Dio comporta sempre una opposizione. E usa anche un’espressione estrema: «Sarete odiati – odiati - da tutti a causa del mio nome» (Mt 10,22). I cristiani amano, ma non sempre sono amati. Fin da subito Gesù ci mette davanti questa realtà: in una misura più o meno forte, la confessione della fede avviene in un clima di ostilità.

I cristiani sono dunque uomini e donne “controcorrente”. E’ normale: poiché il mondo è segnato dal peccato, che si manifesta in varie forme di egoismo e di ingiustizia, chi segue Cristo cammina in direzione contraria. Non per spirito polemico, ma per fedeltà alla logica del Regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù.

E la prima indicazione è la povertà. Quando Gesù invia i suoi in missione, sembra che metta più cura nello “spogliarli” che nel “vestirli”! In effetti, un cristiano che non sia umile e povero, distaccato dalle ricchezze e dal potere e soprattutto distaccato da sé, non assomiglia a Gesù. Il cristiano percorre la sua strada in questo mondo con l’essenziale per il cammino, però con il cuore pieno d’amore. La vera sconfitta per lui o per lei è cadere nella tentazione della vendetta e della violenza, rispondendo al male col male. Gesù ci dice: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (Mt 10,16). Dunque senza fauci, senza artigli, senza armi. Il cristiano piuttosto dovrà essere prudente, a volte anche scaltro: queste sono virtù accettate dalla logica evangelica. Ma la violenza mai. Per sconfiggere il male, non si possono condividere i metodi del male.

L’unica forza del cristiano è il Vangelo. Nei tempi di difficoltà, si deve credere che Gesù sta davanti a noi, e non cessa di accompagnare i suoi discepoli. La persecuzione non è una contraddizione al Vangelo, ma ne fa parte: se hanno perseguitato il nostro Maestro, come possiamo sperare che ci venga risparmiata la lotta? Però, nel bel mezzo del turbine, il cristiano non deve perdere la speranza, pensando di essere stato abbandonato. Gesù rassicura i suoi dicendo: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt 10,30). Come dire che nessuna delle sofferenze dell’uomo, nemmeno le più minute e nascoste, sono invisibili agli occhi di Dio. Dio vede, e sicuramente protegge; e donerà il suo riscatto. C’è infatti in mezzo a noi Qualcuno che è più forte del male, più forte delle mafie, delle trame oscure, di chi lucra sulla pelle dei disperati, di chi schiaccia gli altri con prepotenza… Qualcuno che ascolta da sempre la voce del sangue di Abele che grida dalla terra.

I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio: non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti.

Questa fedeltà allo stile di Gesù – che è uno stile di speranza – fino alla morte, verrà chiamata dai primi cristiani con un nome bellissimo: “martirio”, che significa “testimonianza”. C’erano tante altre possibilità, offerte dal vocabolario: lo si poteva chiamare eroismo, abnegazione, sacrificio di sé. E invece i cristiani della prima ora lo hanno chiamato con un nome che profuma di discepolato. I martiri non vivono per sé, non combattono per affermare le proprie idee, e accettano di dover morire solo per fedeltà al vangelo. Il martirio non è nemmeno l’ideale supremo della vita cristiana, perché al di sopra di esso vi è la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’apostolo Paolo nell’inno alla carità, intesa come l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’Apostolo Paolo nell’inno alla carità: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). Ripugna ai cristiani l’idea che gli attentatori suicidi possano essere chiamati “martiri”: non c’è nulla nella loro fine che possa essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio.

A volte, leggendo le storie di tanti martiri di ieri e di oggi - che sono più numerosi dei martiri dei primi tempi -, rimaniamo stupiti di fronte alla fortezza con cui hanno affrontato la prova. Questa fortezza è segno della grande speranza che li animava: la speranza certa che niente e nessuno li poteva separare dall’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo (cfr Rm 8,38-39).

Che Dio ci doni sempre la forza di essere suoi testimoni. Ci doni di vivere la speranza cristiana soprattutto nel martirio nascosto di fare bene e con amore i nostri doveri di ogni giorno. Grazie.

Guarda il video della catechesi

Saluti:
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, i martiri sono quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve; essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace. Il Signore vi benedica!
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana.
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Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di Roma. Cari giovani, dal coraggio dei martiri, sul cui sangue si fonda la Chiesa, imparate a testimoniare il Vangelo e i valori in cui credete; cari ammalati, l’amore degli Apostoli per il Signore sia la vostra speranza nella prova del dolore; cari sposi, insegnate ai vostri figli la passione per la virtù e la dedizione senza riserve per Dio e per i fratelli! 


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