mercoledì 30 settembre 2015

Paure, povertà e populismi. I cambiamenti della nostra società nel dialogo tra Enzo Bianchi e Massimo Cacciari.(VIDEO)

Paure, povertà e populismi. 
I cambiamenti della nostra società 
nel dialogo tra Enzo Bianchi e Massimo Cacciari.
(VIDEO)

estratto della puntata televisiva "Di martedì" 

condotta da Giovanni Floris

trasmessa da LA7 il 29.09.2015



"Le nuove generazioni mancano di fiducia nel futuro, mancano di fiducia nella politica, mancano di fiducia nella società... la crisi economica ha reso la situazione debolissima, fragile, però dobbiamo confessare che prima di questa crisi economica esiste una crisi culturale, crisi antropologica potremmo dire e la società dovrebbe avere la capacità di produrre degli anticorpi soprattutto attraverso l'azione della politica, invece questa azione sembra astenica, debole e di conseguenza i giovani fanno davvero fatica ad avere fiducia, ad avere speranza, manca un orizzonte sociale che sia condiviso. Tutto questo rende la situazione molto pesante per le nuove generazioni, ma poi tutti in qualche misura sono toccati da questa mancanza di speranza. E ci sono poi quelli che di fronte ai motivi di paura, ai motivi di crisi diventano davvero degli impresari della paura, l'aumentano, non permettono di razionalizzarla e di assumerla e tutto questo crea delle situazioni che sono sempre più chiuse, asfittiche soprattutto per le nuove generazioni ..." (Enzo Bianchi)

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I POVERI PARLANO ALL’ONU di Raniero La Valle

I POVERI PARLANO ALL’ONU

di Raniero La Valle 



Terra, casa, lavoro, il “minimo assoluto” che deve essere assicurato a tutti: questa è l’esigenza fondamentale che il papa è andato a piantare il 25 settembre scorso nel cuore dell’assemblea delle Nazioni Unite. Che il mondo, che le Nazioni si misurino su questo, che a ciò si rivolgano diritto, politica ed economia, ha invocato papa Francesco.
Ma questa richiesta non è venuta prima di tutto da lui. Era stata già prima formulata dai poveri che avevano scelto terra casa e lavoro come parole d’ordine per l’incontro mondiale dei movimenti popolari che si era tenuto in Vaticano nell’ottobre 2014 nell’aula del Vecchio Sinodo. Papa Francesco li aveva invitati per mostrare alla Chiesa e ai popoli “un grande segno”, e cioè che “i poveri non solo subiscono l’ingiustizia, ma lottano contro di essa”, e per incoraggiarli a continuare questa lotta: “Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che in generale si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete”. E offrendo la sua voce come eco alla loro, Francesco aveva fatto sue quelle parole d’ordine, ciò che non voleva dire che “il papa è comunista”, perché “l’amore per i poveri è al centro del Vangelo”
Terra casa e lavoro diventavano così parole del papa perché, diceva, “quello per cui lottate sono diritti sacri”.

Il grido degli esclusi
Ma, come accade per quelle dei poveri, neanche le parole del papa furono allora ascoltate: meglio ignorarle che dover discutere se il papa fosse comunista. E allora Francesco ci tornò in un secondo incontro con i movimenti popolari, questa volta a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9 luglio scorso, e disse loro: “La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra: le famose “tre t”: terra, casa, lavoro (in spagnolo: tierra, techo, trabajo) per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina, e in tutta la terra”. E aggiunse che c’era poco tempo, perché “sembra che il tempo stia per finire” quando non solo ci combattiamo tra noi, ma siamo giunti ad accanirci contro la nostra casa.

Nemmeno quella volta papa Francesco fu ascoltato. I poveri non sono ascoltati. “Che cosa posso fare io, si chiedeva allora il papa mettendosi al loro posto, “raccoglitore di cartone, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice?”. Chi mi ascolta? “Che cosa posso fare – continuava il papa - io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori?. Cosa posso fare io, contadina, indigeno, pescatore che appena appena posso resistere all’asservimento delle grandi imprese? Che cosa posso fare io dalla mia borgata, dalla mia baracca, dal mio quartiere, dalla mia fattoria quando sono quotidianamente discriminato ed emarginato? Che cosa può fare questo studente, questo giovane, questo militante, questo missionario che calca quartieri e luoghi con un cuore pieno di sogni, ma quasi nessuna soluzione ai suoi problemi?” E il papa stesso rispondeva: “Potete fare molto. Potete fare molto! Oserei dire che il futuro dell'umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle “tre t”; d’accordo? - lavoro, casa, terra –“.
D’accordo. Ma se è in gioco il futuro dell’umanità, bisogna porre il problema là dove il futuro dell’umanità si decide, bisogna che il grido soffocato nelle periferie echeggi sul tetto del mondo lì dove, almeno in prospettiva, risiede il potere della comunità organizzata delle Nazioni, bisogna andare ad alzare questo grido all’ONU.
E alla fine il papa è arrivato a New York, portandosi dietro questo grido, come attraverso un lungo pellegrinaggio, come per un suo personale anno santo della misericordia, dalle periferie del mondo fino al centro dell’ordinamento internazionale, dal basso della vita reale all’alto della rappresentanza politica. E in questa salita il grido si è arricchito, si è rivestito di nuovi contenuti e nel discorso all’ONU si è volto a una più grande lotta per tutto ciò che è umano.
La terra, ad esempio, come è stata evocata a New York, non vuol dire solo la zolla coltivata dal contadino. Nel diritto alla terra è significato il diritto non solo a quel mezzo di produzione, ma a tutti i mezzi di produzione, anche immateriali, come i saperi, che sono necessari al lavoro umano e che consentono agli “uomini e donne concreti” di sottrarsi alla povertà, di “essere degni attori del loro stesso destino”, ciò che “suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche per le bambine (escluse in alcuni luoghi) –“.
E non solo il diritto alla terra, anche i diritti alla casa e al lavoro si sono arricchiti nel discorso alle Nazioni di nuovi significati, perché questo “minimo assoluto” a tutti dovuto, oltre ai suoi tre nomi a livello materiale, ha anche “un nome a livello spirituale: libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa e gli altri diritti civili”.

Un’altra antropologia
Ma la terra vuol dire immediatamente per il papa anche la “casa comune”, l’ambiente fisico della nostra esistenza, che dobbiamo preservare e migliorare sia contro “l’irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale” e contro gli eccessi di una tecnologia fuori controllo, sia contro l’esclusione e l’inequità, che porta i più poveri ad essere “scartati dalla società” e nel medesimo tempo li obbliga a “vivere di scarti”; essi sono i più vulnerabili nel “soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente”. E qui papa Francesco ha ripreso al Palazzo di Vetro tutta la linea della “Laudato sì”, per la quale la crisi ecologica è una crisi globalmente umana, essendo indisgiungibili l’uomo e l’ambiente, ambedue fatti di terra, per così dire “connaturali”, per cui “qualsiasi danno all’ambiente è un danno all’umanità”. Questa è la ragione per cui si può parlare di un nuovo diritto, finora inedito, che è in capo ad ogni donna e uomo di questo pianeta, che è, dice il papa, “il diritto all’esistenza della stessa natura umana”.
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martedì 29 settembre 2015

RIPLASMARE “L’UMANO NASCOSTO NEL CUORE” (1Pt 3,4) - HOREB n. 71 - 2/2015

RIPLASMARE “L’UMANO NASCOSTO NEL CUORE” (1Pt 3,4)


HOREB n. 71 - 2/2015


TRACCE DI SPIRITUALITÀ 

A CURA DEI CARMELITANI




«Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti – ma piuttosto, l’umano nascosto nel cuore, un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio» (1Pt 3,3-4). 

Così scriveva Pietro nella sua prima lettera, rivolgendosi alle donne. Riteniamo che l’esortazione dell’apostolo sia invito a riflettere non solo alle donne ma anche agli uomini, di tutti i tempi, perché c’è un “umano”, cioè, un desiderio di accoglienza, di tenerezza, di mitezza e di pace, presente nell’intimo di ogni persona che spesso viene soffocato dalla corazza che ognuno si ritaglia. Consentire a questo “umano” di determinare le nostre scelte e di affiorare nei nostri volti e nei nostri gesti è urgente, anche oggi, se vogliamo che la nostra storia abbia una svolta, un futuro. 

L'esperienza quotidiana, infatti, ci mette davanti il dramma dell'uomo che, nonostante le grandi conquiste, resta sull'orlo dell'abisso, della disperazione, e la tragedia di un’umanità divisa tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra efficienti e scarti. 

Questa situazione del mondo, ovviamente, non è dovuta al caso, ma è frutto di scelte ben precise, del passato e di oggi, ed è alla base del fenomeno della trasmigrazione di popoli dai paesi più poveri verso i paesi dove c’è maggiore benessere. 

Di fronte a questo fenomeno migratorio, sgretolato l’umano, si sta determinando “un naufragio delle coscienze” e, condizionati dalla paura, da una propaganda elettorale volgare, e dall’ignoranza, i verbi che spesso ritornano sulle labbra di molti sono: “bombardare”, “affondare”, “distruggere”, “respingere”. 

E allora è urgente recuperare l’umano, lasciandosi interpellare dal volto di Gesù, che ha fatto suo il volto del forestiero dell’affamato, del nudo, e lasciarsi interpellare, modificare, arricchire, ridefinire dal volto dell’altro, un volto che non ha barriere confessionali, politiche, sociali, di razza. 

Dall’esperienza umana di Gesù scaturisce un invito a saper guardare con lucidità i frammenti di storia, come spazio in cui Dio costruisce il Regno, a saper crescere nella consapevolezza che il Dio in cui crediamo è un Dio che non si è rifiutato di attraversare anche le tragiche esperienze di oscurità e di solitudine che segnano la vita di ogni uomo e che l’evento dell’Incarnazione e della Croce è in definitiva, lo spazio per il recupero della radicalità cristiana come annuncio di una forma storica di esistenza, caratterizzata dalla piena condivisione del destino umano per rendere trasparente l’amore gratuito e fedele di un Dio che, in Gesù uomo, ha dato totalmente se stesso per la vita degli uomini. 

Dentro questo orizzonte si muovono gli articoli della monografia.
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CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)

La risposta dell’intoccabile di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe / 2
Resistere senza maledire, scoprire la «libertà del letame»

La risposta dell’intoccabile
di Luigino Bruni 







“La nostra civiltà attuale, scesa dal Nord e dall’Occidente, ha visto il sole e l’azzurro; non ha visto le tenebre del mare, il fango secco, i deserti di sabbia gialla, le rocce spaccate, le fiumane asciutte, il groviglio dei cespugli polverosi, la crudeltà della luce, il sale e il sudore, i gridi e il silenzio, la rapida putrefazione. In questo veder male, in questa illusione, sta la nostra cultura, che è per questo – di fronte alla morte e quindi alla vita – il ritratto dell’impotenza.”.
(Sergio Quinzio Cristianesimo dell’inizio e della fine)

La ricchezza, ogni ricchezza umana, tutta la nostra ricchezza, è prima di tutto dono. Veniamo al mondo nudi, e iniziamo il nostro cammino sulla terra grazie alla gratuità di due mani che ci raccolgono quando ci affacciamo sul mondo. Riceviamo in dono l’eredità di millenni di civiltà, di genialità, di bellezza, che ci vengono donati senza alcun merito nostro. Nasciamo dentro istituzioni che c’erano prima che arrivassimo, che ci accudiscono, proteggono, amano. Il nostro merito è sempre sussidiario al dono, ed è molto più piccolo. E noi invece continuiamo a creare ingiustizie crescenti in nome della meritocrazia, e a vivere come se la ricchezza e i consumi potessero cancellare la nudità dalla quale veniamo e che ci attende sempre fedele nei crocicchi di tutte le strade della vita.

Satana (“l’oppositore”) perde la sua prima sfida, perché nonostante il suo vento impetuoso che spazzò via tutti i beni di Giobbe, questi non maledisse Dio: «In tutta questa vicenda Giobbe non peccò né mai lanciò attacchi contro Dio» (1,22). Ma il Satana non è ancora convinto della gratuità della fede di Giobbe, e così chiede a Dio il permesso di provarlo nell’ultimo bene rimasto: il corpo. E così, in una nuova assise della corte celeste, prende la parola e chiede ancora: «Pelle per pelle: per salvarsi la vita l’uomo è disposto a tutto. Perciò prova un po’ a stendere la tua mano e a colpirlo nelle ossa e nella carne: scommetto che ti scaglierà in faccia maledizioni» (2,4-5). Dio gli risponde ancora: «Ecco, lo metto nelle tue mani». Satana allora «colpì Giobbe con un morbo maligno che lo avvolse dalla pianta dei piedi fino alla testa. Giobbe prese un coccio per grattarsi e sedette in mezzo all’immondizia» (2,7-8).

La sventura di Giobbe giunge fino al limite del possibile. Gli rimane sola la nuda vita. Ma, come Giobbe, solo quando siamo dentro il tracollo totale scopriamo risorse sconosciute che ci fanno capaci di sopportare sofferenze che prima di viverle pensavamo fossero insopportabili. Una fortezza che ci potrà sorprendere anche quando ci scopriremo capaci di morire, quando per tutta la vita avevamo pensato di non esserne capaci.
...
Giobbe da ricco e potente si ritrova sventurato, impuro, e quindi intoccabile, fuori da tutte le caste sociali. È questa ancora oggi la triste sorte di imprenditori, dirigenti, lavoratori, politici, sacerdoti, che caduti in rovina si ritrovano non solo impoveriti, ma seduti su un cumulo di macerie che include anche famiglia, amici, salute. E subito finiscono anche tra gli impuri fuori dal villaggio, allontanati e emarginati da club, associazioni, circoli, confinati in discariche sociali e relazionali, scansati da tutti e non toccati per il terrore di restare anch’essi contagiati dalla loro rovina.
Ma Giobbe, sulla cenere e il letame, con il coccio, non maledì Dio. Continuò a essere giusto. Non c’è gratuità più grande di chi spera e vuole che Dio esista e che sia giusto anche quando nella sua vita personale non vede più né i segni della sua presenza né quelli della sua giustizia. Giobbe continua a cercare la verità e la giustizia. Una ricerca disperata, che ha un valore etico e spirituale immenso quando pensiamo che nell’Antico Testamento (Giobbe incluso) l’idea dell’esistenza di una vita dopo la morte è molto rarefatta, quasi inesistente. Il luogo dove YHWH vive e dove si può incontrare la sua benedizione è questa terra, non un altro. La lotta di Giobbe abbraccia allora ogni essere umano che voglia apprendere il mestiere del vivere senza accontentarsi delle risposte semplici, neanche di quelle semplicissime dell’ateismo. Giobbe, in ogni tempo, continua a lottare anche per loro.
...
La scommessa tra Satana e Elohim non è vinta da nessuno dei due: il vero vincitore è Giobbe, che “costringerà” Dio stesso a liberarsi a sua volta dalla logica retributiva, economica, contrattuale. A chiedergli di diventare ai suoi occhi d’uomo ciò che è: Altro. Grazie a Giobbe, uomo fedele anche senza reciprocità, Dio deve allora continuare ad amarci anche quando noi smettiamo di farlo. Può, e deve, essere presente in un mondo che non lo vuole, non lo vede, non lo desidera più.

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La risposta dell’intoccabile di Luigino Bruni  (PDF)




Leggi anche il post già pubblicato:
- Un uomo di nome Giobbe / 1 Nudo è il dialogo con Dio



lunedì 28 settembre 2015

Papa Comunista? Credo di non avere detto una cosa che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa - Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/9

Papa Comunista? Credo di non avere detto una cosa 
che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa
Papa Francesco  

VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/9



Benedizione alla città all’esterno della Cattedrale di Santiago

Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo Santiago-Washington, D.C.

22 settembre 2015





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Benedizione alla città di Santiago



Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo Santiago-Washington, D.C.


" ..Nei discorsi che ho fatto a Cuba, sempre ho fatto accenno alla Dottrina sociale della Chiesa. Le cose che si devono correggere le ho detto chiaramente, non “profumatamente”, “soft”. Ma anche riguardo alla prima parte della sua domanda: più di quello che ho scritto duramente, che ho scritto nell’Enciclica, e anche nella Evangelii gaudium, sul capitalismo selvaggio o liberale, io non ho detto: tutto sta scritto lì. Non ricordo di aver detto qualcosa di più di quello. Non so, se Lei ricorda, me lo faccia ricordare… Ho detto quello che ho scritto, che è abbastanza! E’ abbastanza, è abbastanza. E poi, è quasi lo stesso che ho detto alla sua collega: tutto questo è nella Dottrina. Ma qui a Cuba – questo forse chiarirà un po’ la sua domanda – il viaggio è stato un viaggio molto pastorale con la comunità cattolica, con i cristiani, anche con quelle persone di buona volontà e per questo i miei interventi sono stati omelie… Anche con i giovani – che erano giovani credenti e non credenti e, fra i credenti, di diverse religioni – è stato un discorso di speranza, anche di incoraggiamento al dialogo tra loro, di andare insieme, cercare quelle cose che ci accomunano e non quelle che ci dividono, fare ponti… E’ stato un linguaggio più pastorale. Invece, nell’Enciclica si dovevano trattare cose più tecniche, e anche queste che Lei ha menzionato. Ma se Lei si ricorda qualcosa che avevo detto nell’altro viaggio, forte, me la dica, perché davvero, non ricordo.
..

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Conferenza stampa durante il volo Santiago-Washington





Guarda anche i post già pubblicati sulla visita a Cuba:

- "Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri spazi di libertà.Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri centri di umanità."Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/8


Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) - XXVI Domenica del T.O. (B) - 27.09.2015


Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO)


XXVI Domenica del T.O. (B) 


27.09.2015



Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto


... Gesù vuole aprire con i suoi discepoli di ieri ed anche con noi, noi che veniamo ad ascoltare la Sua Parola, noi che vogliamo incontrare Lui... un dialogo un po' particolare; il Signore è interessato a far emergere la distanza che c'è tra i nostri pensieri e il Suo pensiero...
Gesù lo diceva ieri ai discepoli, ma lo dice questa sera a noi: state attenti, con la tua religiosità, con il tuo perbenismo, con il tuo sentirti a posto... possibilmente il tuo agire invece di essere di aiuto diventa un'occasione perché altri non riescano a camminare... 
Ognuno di noi cerchi di richiamare alla mente le parole di Gesù e dire: cos'è che attraverso il mio agire, il mio modo di camminare, il mio modo di guardare invece di aiutare gli altri e anche me stesso è causa di inciampo, di non camminare bene? Qui è in gioco la vita, è in gioco la felicità...


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Il discorso di Papa Francesco all'Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d'America- Le parole di Francesco tra profezia e diplomazia di Bruno Forte

Il discorso di Papa Francesco all'Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d'America

Le parole di Francesco 

tra profezia e diplomazia
 
di Bruno Forte





Il discorso che Papa Francesco ha tenuto il 24 settembre scorso all'Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d'America, “terra dei liberi e casa dei valorosi”, come l'ha definita citando l'inno americano, ha una portata storica non solo perché per la prima volta un Pontefice romano parlava al consesso decisionale della più grande potenza politica mondiale, ma anche e in modo particolare per quello che il Papa venuto dal Continente americano ha detto e per la modalità che ha usato. Le Sue parole sono state una singolare combinazione di profezia e di diplomazia. Due attitudini che sembrano stridere, tanto che espressioni come “diplomazia profetica” o “profezia diplomatica” appaiono a prima vista degli autentici ossimori. 

Il discorso è stato, invece, un esempio di diplomazia, gravido di carica profetica, perché Francesco ha saputo proporre le esigenze più alte di giustizia e di impegno per la pace toccando al contempo le corde più sensibili della coscienza del popolo americano, a cominciare dal riferimento al «sogno americano», l’«American dream», considerato la molla propulsiva sul piano ideale degli sforzi fatti da quella grande Nazione per realizzare il proprio progresso e disegnare il suo posto nella storia. L’attenzione che il Papa ha avuto presente è stata quella di non declinare il «sogno americano», come spesso viene fatto, nelle due direzioni opposte con cui viene usualmente presentato, quella critica dell’accusa di imperialismo, tante volte mossa agli Stati Uniti e alla loro azione politica negli scenari internazionali, e quella di un ottimismo enfatico, che intende solo celebrare le conquiste della grande potenza del nuovo mondo, senza evocarne le ombre e i costi. Nelle parole di Francesco il «sogno americano» è stato proposto come un grande sogno, proprio di un popolo libero e coraggioso, meritevole del più sincero rispetto, ed insieme come una tensione ideale che non può ignorare i sacrifici costati e ancora necessari e gli errori spesso compiuti specialmente nel sostegno a governi dittatoriali e a sistemi palesemente ingiusti. L’intuizione del Papa argentino - che si è presentato lui stesso come un figlio di emigranti, solidale dunque nelle origini e nelle speranze più profonde con la gran parte degli Americani - è stata quella di evocare il sogno attraverso figure chiave che lo rappresentano nella coscienza diffusa della gente d’America, riuscendo in tal modo a evidenziare in maniera concreta quei valori per cui queste figure si sono battute e che restano ancora in varia misura da assicurare a tutti, nessuno escluso.
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Le parole di Francesco tra profezia e diplomazia di Bruno Forte

domenica 27 settembre 2015

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)


Fraternità Carmelitana 

di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)


XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

27 settembre 2015

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 40/2014-2015 (B) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'

Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo: 
Mc 9,38-43.45.47-48  








La pagina del Vangelo di Domenica scorsa ci ha fatto riflettere sulla "Sequela Christi" che, come abbiamo visto, consiste nello scegliere l'ultimo posto e diventare il servo di tutti, facendo la scelta preferenziale dei piccoli, con i quali Gesù stesso si identifica. La parola chiave del brano di questa XXVI Domenica del T.O. è il termine:"Nome" riferito a Gesù. Nella realtà ebraica e semitica in genere, il nome rappresenta la realtà profonda e singolare della persona, l'individuo stesso, la sua essenza e la sua stessa presenza. Infatti nel vocabolario ebraico il termine HaShem (il Nome) viene utilizzato per evitare di pronunziare "YHWH", il sacro tetragramma, il nome stesso di Dio. E' in base al "Nome", cioè alla persona di Gesù, che possiamo determinare la sequela, la nostra e quella dei nostri fratelli. Allora seguire Gesù, agire nel suo nome, significa comportarsi come lui, fare le sue scelte di vita, seguire il suo cammino, fino a Gerusalemme, fino al Golgotha. La tentazione della Chiesa di ogni tempo sta nel volersi sostituire a Gesù: "Abbiamo visto uno che, nel tuo nome, cacciava i demoni e glielo abbiamo impedito perché non seguiva NOI !".
Nel Vangelo di Marco il primo tentativo l'abbiamo in 8,32ss, con Pietro che vuole impedire a Gesù di andare a Gerusalemme ponendosi davanti a lui e Gesù che lo ricaccia indietro insieme a tutti gli altri discepoli: "Vieni dietro a me, Satana !". Gesù è l'unico Maestro che dobbiamo seguire e nessun 
discepolo potrà mai prenderne il posto così come nessuna tradizione, fosse anche sacra, potrà mai smentire o sostituirsi al Vangelo. Al contrario, l'agire in nome nostro, rifiutare di essere servi come Gesù genera lo scandalo  "con il quale si rende un cattivo servizio ai fratelli, che qui sono chiamati "i piccoli", mettendo loro una pietra di inciampo sul cammino della loro sequela"(S,Fausti). Sotto la mano, il piede e l'occhio, ai quali siamo chiamati a rinunciare, sono nascoste le azioni (mano), i progetti di vita (piede) e i desideri (occhio) che impediscono la sequela come servizio nell'amore. In caso contrario non è possibile far parte del Regno, entrare nella Vita, ma siamo destinati alla Geenna, una valle fuori dalle mura di Gerusalemme dove nell'antichità venivano immolate vittime umane al dio Moloch e trasformata al tempo di Gesù in discarica pubblica, dove veniva bruciata senza soluzione di continuità la  spazzatura, simboli questi di una vita sprecata, votata a divinità di morte e destinata alla distruzione totale. 

sabato 26 settembre 2015

Il Vangelo per noi a cura di p. Francesco Stabile - Mc 9,38-43.45.47-48

Il Vangelo per noi

 a cura di

 p. Francesco M. Stabile





Gesù dice che chiunque si impegna nella liberazione dell'uomo segue il suo progetto
..Abbiamo ascoltato, in questi giorni, i discorsi di Papa Francesco, anche alle Nazioni Unite, che tornano sempre sulla necessità di liberare l'uomo, impegnarsi per dare dignità, per riconoscere dignità a tutti, liberarsi da ogni forma di prevaricazione,  non solo a livello individuale, io non devo prevaricare sugli altri, ma devo accogliere più che prevaricare, ma anche a livello collettivo, una nazione potente non deve subordinare altre nazioni come di fatto avviene, in campo economico in capo politico, ... 


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Una Parola per noi - domenica 27 settembre 2015 (XXVI del Tempo Ordinario) Commento don Piero Rattin

Una Parola per noi

domenica 27 settembre 2015 

(XXVI del Tempo Ordinario) 



Commento don Piero Rattin




L’unica “guerra santa” consentita a noi cristiani, anzi raccomandata, è questa: contro noi stessi, contro la nostra incoerenza, contro la superficialità, la leggerezza con cui siamo tentati di vivere il vangelo; contro i compromessi (oggi più frequenti che mai) tra la nostra coscienza cristiana e certi atteggiamenti tipicamente pagani così diffusi da apparire normali. ....


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Cadono le barriere rimane solo la misericordia di Giuseppe Savagnone

Cadono le barriere 
rimane solo la misericordia

di Giuseppe Savagnone







In questo mondo senza misericordia, dove il capitalismo, le mode, la massificazione cancellano il volto delle persone e il mondo islamico reagisce decapitando e distruggendo con spietato fanatismo, la voce di papa Francesco si leva, ancora una volta, per ripetere le parole del Vangelo che annunzia a tutti – uomini, donne, transgender, poveri, ricchi, santi e peccatori - l’amore incondizionato di Dio per ciascuno di loro. È il senso del giubileo indetto dal sommo pontefice a partire dal prossimo 8 dicembre e sulle cui modalità si sofferma la lettera al suo coordinatore organizzativo, mons. Fisichella.
La nota comune, che sta dietro alle novità contenute nella lettera, è la precisa volontà del papa di far sì che il messaggio e la forza risanatrice della misericordia arrivino proprio a tutti. Ai carcerati, che potranno avere l’indulgenza connessa al giubileo, senza bisogno di visitare una basilica, recandosi semplicemente nella cappella della loro prigione. Alle donne che hanno abortito, il cui peccato potrà essere assolto, senza dover ricorrere al vescovo, da un semplice sacerdote. Ai membri della Chiesa scismatica fondata da mons. Lefebvre, le cui confessioni con sacerdoti di questa Chiesa vengono riconosciute fin da ora valide. Cadono le barriere, le condizioni formali, le riserve giuridiche. Resta solo il grande mistero del dialogo di ogni persona con Dio, con il pentimento per il male commesso contro di Lui e contro altri esseri umani e la volontà di avere una vita diversa, di cui non doversi vergognare davanti a stessi.
Perché questa è la misericordia. Nella nostra cultura post-cristiana ne abbiamo dimenticato perfino il significato. La scambiamo spesso con la pietà, che è il sentimento di compassione per chi soffre ed è infelice. La misericordia è ben altro. Il suo modello è l’amore di Dio verso l’umanità corrotta ed egoista, per cui Egli ha dato suo Figlio. La misericordia non è verso i giusti, ma verso i peccatori, non verso gli innocenti, ma verso i colpevoli, non verso le vittime, ma verso i dannati della terra, che nessuno può guardare senza odio e senza disprezzo. Nessuno, tranne Dio. Quando tutto è perduto, la sua misericordia non viene meno. È la “Buona notizia” che Cristo è venuto a dare, testimoniando con la sua vita e la sua morte la serietà di questo abbraccio senza limiti.
Non mancano, come ormai spesso accade sotto questo pontificato, le proteste dei benpensanti, che accusano il papa di non prendere sul serio la gravità del peccato. Se fossero vissuti al tempo di Gesù avrebbero detto la stessa cosa. Anzi, l’hanno detta per bocca di tutti coloro che, a quel tempo, si scandalizzarono della predilezione del maestro di Nazareth per i farabutti. Con tanta gente perbene che c’era, lui se ne andava a mangiare a casa dei pubblicani (certe volte, come nel caso di Zaccheo, autoinvitandosi!), si lasciava baciare i piedi dalle prostitute, rifiutava di pronunciare sulle adultere quella giusta condanna che la legge di Mosè prevedeva. Era un ingenuo, come sospetta un fariseo suo commensale davanti a questa familiarità, uno sprovveduto che si lasciava strumentalizzare dai peccatori per delegittimare le regole e ridicolizzare chi le rispettava?
Voleva attirarsi simpatie e consenso da parte delle moltitudini? 
Molti (per lo più buoni cattolici) oggi pensano questo di papa Francesco. 
Ma lui si comporta solo come Cristo.
E che un papa sia cristiano non dovrebbe sorprendere!
Ma allora, dirà qualcuno, il peccato non esiste più? Liberi tutti di fare quello che la coscienza soggettiva suggerisce? Scalfari l’ha pensato e l’ha pure scritto in un suo editoriale. Si vede che ha poca dimestichezza col Vangelo. Perché la misericordia in realtà è esigente. Più della condanna, più di ogni scomunica. Essa accoglie l’altro senza condizioni preliminari, ma, proprio con ciò, gli fa prendere coscienza della dignità che in lui è diventata invisibile e che egli ha dimenticato, chiedendogli di rialzarsi e di cambiare la sua vita. «Nessuno ti ha condannata?», chiede Gesù alla donna sorpresa in flagrante adulterio. «E neanch’io ti condanno. Va’, e non peccare più». 
L’amore è creativo, fa nascere cose nuove, a differenza della giustizia, che si limita a prendere atto di torti e ragioni e a sancirli.
I riferimenti a categorie come quella dei carcerati potrebbe trarre in inganno. Non si tratta solo di soggetti “a rischio”. “A rischio” sono anche i nostri eleganti quartieri residenziali, le nostre vite di bravi cittadini e di onesti professionisti. Di misericordia hanno bisogno anche i giusti. Perché ogni essere umano, come dice la parabola del grano e della zizzania, che crescono insieme inestricabilmente mescolati, ha nel suo cuore e nella sua vita delle zone d’ombra di cui deve chiedere perdono. Puntando sulla misericordia, Francesco si rivolge alle sfere più profonde della nostra umanità, là dove il problema non è più l’appartenenza esteriore alla Chiesa – che tanti hanno abbandonato e guardano con diffidenza - , ma il rapporto che ognuno di noi ha con se stesso e con Dio. Là dove è in gioco non la sua fede, ma la sua umanità.
Oggi siamo talmente abituati alle parole del Vangelo che spesso le ascoltiamo e le ripetiamo senza renderci più conto veramente di cosa vogliano dire. Anche i “buoni cristiani”. Può piacere o no, ma ciò che papa Francesco sta cercando di fare, con i suoi discorsi e la sua testimonianza, è di farci ricordare il loro significato. Forse perché sa quanto, anche in questa società tecnologica e consumistica, ne abbiamo bisogno.


(Fonte: Giornale di Sicilia del 02.09.2015)

venerdì 25 settembre 2015

SUL DISCORSO DI PAPA FRANCESCO AL CONGRESSO USA SULLA MAESTA' DELLE ISTITUZIONI E SUL GIUSTO GOVERNANTE di Giuliana Martirani

SUL DISCORSO DI PAPA FRANCESCO AL CONGRESSO USA
SULLA MAESTA' DELLE ISTITUZIONI 
E SUL GIUSTO GOVERNANTE
di Giuliana Martirani





LA MAESTA’ DELLE ISTITUZIONI - Don Tonino bello 

Se la solidarietà è l’imperativo etico fondamentale
attorno a cui si deve innervare l’impegno dell’uomo,
non si può più giudicare con sufficienza
chi lotta contro la produzione delle armi
o contro il loro commercio, clandestino e palese.

E’ vietato sorridere sugli slanci
di chi parla di Difesa Popolare Nonviolenta.

Non è ammissibile tacciare di follia
chi teorizza la smilitarizzazione del territorio,
o progetta modelli di sviluppo
più legati alla vocazione dell’ambiente.

Non va guardato con sospetto chi invoca leggi
meno discriminatorie nei confronti degli immigrati,
o si batte perché siano rispettati i diritti delle minoranze.

Non va compatito chi disserta
sulla remissione del debito dei paesi in via di sviluppo
o ‘farnetica’ su un nuovo ordine economico internazionale.

L’etica della solidarietà, insomma,
una volta introdotta nei nostri criteri di valutazione,
obbliga partiti, sindacati e istituzioni
allo smantellamento graduale di tutte quelle basi strategiche
che finora hanno sorretto 
le antiche ideologie della sicurezza nazionale.
DON TONINO BELLO


SALMO 72
IL GIUSTO GOVERNANTE COSTRUTTORE DI PACE - Giuliana Martirani

O Dio, nostro Dio, entra tu nella testa e nei cuori
di coloro che detengono il potere e che ci governano
sia a livello internazionale, come gli Usa e i G8,
così come a livello nazionale
e che così litigiosamente siedono nel nostro Parlamento,
come a livello locale come i governatori e gli assessori
che dovrebbero garantirci il nostro piccolo bene comune cittadino,
troppo spesso invece sommerso da ingiustizie, violenze e rifiuti.

Signore, fa comprendere a tutti costoro le tue leggi
in modo che, quando parlano,
siano davvero espressione della tua giustizia
e quando operano mettano davvero
al primo posto i poveri e i loro diritti
difendendoli dalla violenza dei potenti.

Perché solo se c’è davvero la Giustizia
si può veder danzare la Pace sul loro territorio
e solo se c’è la Pace,
davvero può realizzarsi uno sviluppo Giusto.

E dinanzi a giusti governanti costruttori di pace
saranno costretti a piegarsi
anche i predatori violenti delle quotidiane ingiustizie,
da quelli criminali che agiscono dentro le città,
d’accordo con amministratori e politici corrotti
a quelli internazionali, legati alle mafie del mondo,
che così finalmente mangeranno la polvere.

Perché il giusto governante, costruttore di pace,
è solo quello che salva i poveri che gridano aiuto:
che salva i popoli impoveriti
e oppressi dal mega-mercato mondiale
così come gli homeless dentro le nostre città,
che languono senza lavoro, né casa, né affetti
o i bambini che vagabondano per le strade
senza più sogni e prospettive…

Perché il giusto governante costruttore di pace
avrà pietà dei poveri e dei deboli,
si ingegnerà per salvare ad ogni costo la loro vita
strappandoli alla violenza e ai soprusi del potere economico
e alla arroganza di quello politico.
GIULIANA MARTIRANI

Senza differenze che dialogo è? di Enzo Bianchi

Senza differenze che dialogo è?

di Enzo Bianchi







“Avere il gusto dell’altro”. Così Michel de Certeau, definiva il primo, il fondamentale passo di un cammino di umanizzazione, dove “l’altro è colui senza il quale vivere non è più vivere”. L’umanizzazione si gioca infatti nel rapporto tra l’io, il noi e gli altri, anche se troppo spesso ricorriamo sbrigativamente alle categorie di “noi” e “gli altri” per contrapporle, sperando così di essere agevolati nell’affrontare problemi, risolvere situazioni intricate, giustificare atteggiamenti e incomprensioni. Eppure sappiamo bene quanto sia arduo definire i confini tra queste due entità e, ancor di più, stabilire con certezza chi appartiene all’una o all’altra, in che misura e per quanto tempo. Quando giustapponiamo i due termini, in realtà intraprendiamo un percorso suscettibile di infinite varianti: ci possiamo infatti inoltrare su un ponte gettato tra due mondi, oppure andare a sbattere contro un muro che li separa o ancora ritrovarci su una strada che li mette in comunicazione. Possiamo anche scoprire l’opportunità di un intreccio fecondo dell’insopprimibile connessione che abita noi e loro. Sì, perché ciascuno di noi – e anche degli altri – esiste e trova la propria dimensione pienamente umana in quanto essere-in-relazione: con quanti lo hanno preceduto, con chi gli è o è stato accanto, con coloro che ha avuto o avrà modo di incontrare nella vita, con il pensiero, la vita e le azioni di persone che non ha mai conosciuto personalmente e perfino con chi non conoscerà mai ma che contribuisce con la sua esistenza, le sue gioie e le sue sofferenze a quel mirabile corpo collettivo che è l’umanità.

Ma allora come intraprendere e percorrere cammini di dialogo e di comunicazione con l’altro, capaci di condurre gli interlocutori a un’autentica umanizzazione? Credo che innanzitutto occorra riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza. Teoricamente questo riconoscimento è facile, ma in realtà proprio perché la differenza desta paura, occorre mettere in conto l’esistenza di sentimenti ostili da vincere: c’è infatti in noi una tendenza a ripudiare tutto ciò che è lontano da noi per cultura, morale, religione, estetica, costumi. Occorre dunque esercitarsi a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono gli unici ad aver diritto di esistenza. C’è un relativismo culturale che significa imparare la cultura degli altri senza misurarla sulla propria: questo atteggiamento è necessario in una relazione di alterità in cui si deve prendere il rischio di esporre la propria identità a ciò che non si è ancora…

A partire da questo atteggiamento preliminare, diventa possibile mettersi in ascolto: atteggiamento arduo ma essenziale quello di ascoltare una presenza che esige da ciascuno di noi una risposta, dunque sollecita la nostra responsabilità. L’ascolto non è un momento passivo della comunicazione, ma è atto creativo che instaura una con-fidenza quale con-fiducia tra i partner del dialogo. L’ascolto è un sì radicale all’esistenza dell’altro come tale: nell’ascolto le rispettive differenze perdono la loro assolutezza e quelli che sono dei limiti all’incontro possono diventare risorse per l’incontro stesso.

Nell’ascoltare l’altro occorre rinunciare ai pregiudizi che ci abitano. Si tratta allora di modificare le immagini stereotipate di noi stessi e dell’altro e di riflettere sui condizionamenti culturali, psicologici, religiosi cui siamo soggetti. E quando si sospende il giudizio, ecco che si appresta l’essenziale per guardare all’altro con “sym-pátheia”, ossia con un’osservazione partecipe la quale accetti anche di non capire fino in fondo l’altro e tuttavia tenti di “sentire-con” lui. La simpatia decide poi anche dell’empatia, che non è lo slancio del cuore che ci spinge verso l’altro, bensì la capacità di metterci al posto suo, di comprenderlo dal suo interno; empatia che è manifestazione dell’humanitas dell’ospite e dell’ospitante, umanità condivisa.
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Senza differenze che dialogo è? di Enzo Bianchi

giovedì 24 settembre 2015

"Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri spazi di libertà.Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri centri di umanità."Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/8

Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri spazi di libertà. 
Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri centri di umanità.

Per questo la comunità cristiana chiama le famiglie con il nome di chiese domestiche, perché è nel calore della casa che la fede permea ogni angolo, illumina ogni spazio, costruisce la comunità. Perché è in momenti come questi che le persone hanno cominciato a scoprire l’amore concreto e operante di Dio.

Papa Francesco




VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/8

Incontro con le Famiglie 

nella Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione
a Santiago
22 settembre 2015




Siamo in famiglia. E quando uno sta in famiglia si sente a casa. Grazie famiglie cubane, grazie cubani per avermi fatto sentire in tutti questi giorni in famiglia, per avermi fatto sentire a casa. Grazie per tutto questo. Questo incontro con voi è come “la ciliegina sulla torta”. Concludere la mia visita vivendo questo incontro in famiglia è un motivo per rendere grazie a Dio per il “calore” che promana da gente che sa ricevere, che sa accogliere, che sa far sentire a casa. Grazie a tutti i cubani.

Ringrazio Mons. Dionisio García, Arcivescovo di Santiago, per il saluto che mi ha rivolto a nome di tutti, e la coppia che ha avuto il coraggio di condividere con tutti noi i suoi aneliti e i suoi per vivere la famiglia come una “chiesa domestica”.

Il Vangelo di Giovanni ci presenta come primo avvenimento pubblico di Gesù le Nozze di Cana, nella festa di una famiglia. Lì è con Maria sua madre e alcuni dei suoi discepoli. Condividevano la festa familiare.

Le nozze sono momenti speciali nella vita di molti. Per i “più veterani”, genitori, nonni, è un’occasione per raccogliere il frutto della semina. Dà gioia all’anima vedere i figli crescere e poter formare la propria famiglia. È l’opportunità di vedere, per un istante, che tutto ciò per cui si è lottato ne valeva la pena. Accompagnare i figli, sostenerli, stimolarli perché possano decidersi a costruire la loro vita, a formare la loro famiglia, è un grande compito per i genitori. A loro volta, i giovani sposi sono nella gioia. Tutto un futuro che comincia. E tutto ha “sapore” di casa nuova, di speranza. Nelle nozze sempre si incontrano il passato che ereditiamo e il futuro che ci attende. C’è memoria e speranza. Sempre si apre l’opportunità di ringraziare per tutto ciò che ci ha permesso di giungere fino ad oggi con lo stesso amore che abbiamo ricevuto.
....

Senza famiglia, senza il calore di casa, la vita diventa vuota, cominciano a mancare le reti che ci sostengono nelle difficoltà, le reti che ci alimentano nella vita quotidiana e motivano la lotta per la prosperità. La famiglia ci salva da due fenomeni attuali, due cose che succedono al giorno d’oggi: la frammentazione, cioè la divisione, e la massificazione. In entrambi i casi, le persone si trasformano in individui isolati, facili da manipolare e governare. E allora troviamo nel mondo società divise, rotte, separate o altamente massificate sono conseguenza della rottura dei legami familiari; quando si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone. E così uno si dimentica di come si dice papà, mamma, figlio, figlia, nonno, nonna… Si perde la memoria di queste relazioni che sono il fondamento. Sono il fondamento del nome che abbiamo.

La famiglia è scuola di umanità, scuola che insegna a mettere il cuore nelle necessità degli altri, ad essere attenti alla vita degli altri. Quando viviamo bene nella famiglia, gli egoismi restano piccoli – ci sono, perché tutti abbiamo un po’ di egoismo –; ma quando non si vive una vita di famiglia si generano quelle personalità che possiamo definire così: “io, me, mi, con me, per me”, totalmente centrate su sé stesse, che ignorano la solidarietà, la fraternità, il lavoro in comune, l’amore, la discussione tra fratelli. Lo ignorano. Nonostante le molte difficoltà che affliggono oggi le nostre famiglie nel mondo, non dimentichiamoci, per favore, di questo: le famiglie non sono un problema, sono prima di tutto un’opportunità. Un’opportunità che dobbiamo curare, proteggere e accompagnare. E’ un modo di dire che sono una benedizione. Quando incominci a vivere la famiglia come un problema, ti stanchi, non cammini, perché sei tutto centrato su te stesso.
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DISCORSO- incontro con le famiglie
Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione, Santiago (Cuba)
 22 settembre 2015




Benedizione alle donne ‘incinte di speranza’ 






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Discorso integrale






Guarda anche i post già pubblicati sulla visita a Cuba: 
- La rivoluzione della fede è quella della tenerezza che si fa compassione per chi soffre, abbatte i muri e semina riconciliazione - Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/7

Fermare i profughi o le armi? Comunicato Stampa Pax Christi


Fermare i profughi o le armi? 
Comunicato Stampa Pax Christi



Il Consiglio Nazionale si Pax Christi si è riunito nei giorni scorsi, 19-20 settembre, a Firenze. Lo scenario mondiale ci presenta un crescente clima di guerra e la fuga dal loro Paese di migliaia e migliaia di donne, uomini e bambini: molti hanno trovato la morte in mare mentre cercavano vita e speranza, altri si trovano sempre più davanti a nuovi muri eretti nel cuore dell’Europa.

Mentre ci uniamo ai numerosi appelli che invitano all’accoglienza concreta, dobbiamo riconoscere che molti profughi scappano da guerre che sono volute e finanziate anche dall’Occidente, e… anche dall’Italia.

E questo in violazione della legge 185/90 che dovrebbe regolare l’export di armi. Ma l’Italia continua a vendere armi a Paesi in guerra e che violano i diritti umani, ad es. Israele, Arabia Saudita (che è tra i più grandi finanziatori dell’IS e utilizza anche armi Italiane per bombardare lo Yemen!).

La guerra è una grande ‘fabbrica di profughi’.

Fermiamo la guerra se vogliamo aiutare davvero i profughi!

“Basta con la vendita di armi! Basta!”, ci hanno chiesto anche in questi giorni i tanti amici che abbiamo in Iraq.

“Il conflitto in Siria e Iraq – ha detto papa Francesco lo scorso 17 settembre – è uno dei drammi umanitari più opprimenti degli ultimi decenni…, i trafficanti di armi continuano a fare i loro interessi. Le loro armi sono bagnate di sangue, sangue innocente. Nessuno può fingere di non sapere!”.

Come Pax Christi rinnoviamo la nostra scelta per la nonviolenza, lavorando insieme con tutti coloro che credono alla pace, ad una soluzione nonviolenta dei conflitti, perché Un’altra Difesa è possibile.

Ma assistiamo a preparativi di nuove guerre!

In questa prospettiva non possiamo tacere di fronte alla prossima esercitazione NATO “Trident Juncture 2015”, dal 3 ottobre al 6 novembre, con il coinvolgimento di 36.000 uomini, 60 navi e 140 aerei.

Il comando di questa operazione sarà alla base NATO di Lago Patria, a Napoli.

‘La più grande esercitazione della storia moderna della Nato’. Trident Juncture 2015 dimostrerà il nuovo accrescimento del livello di ambizione della NATO nello scenario di guerra moderna comune’ (vedi sito della Nato http://www.jfcbs.nato.int/).

Ricordiamo che la NATO non dipende dall’ONU e nemmeno rappresenta un sistema difensivo promosso dall’Unione Europea (UE). In realtà la NATO è sotto diretto comando USA: chiede l’aumento delle spese militari agli stati membri, o li impone, come alla Grecia.

Noi non vogliamo questa NATO, vogliamo invece che l’ONU, e l’UE promuovano politiche di solidarietà, civiltà e Pace!

Per questo saremo presenti, come Pax Christi, alla manifestazione promossa dai comitati ‘No Trident’, in programma a Napoli il prossimo 24 ottobre.

Firenze, 22 settembre 2015

Pax Christi Italia

Contatti:
Segreteria Nazionale di Pax Christi: 055/2020375 info@paxchristi.it
Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d. Renato Sacco 348/3035658 
drenato@tin.it

La rivoluzione della fede è quella della tenerezza che si fa compassione per chi soffre, abbatte i muri e semina riconciliazione - Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/7

La rivoluzione della fede è quella della tenerezza 
che si fa compassione per chi soffre, 
abbatte i muri e semina riconciliazione
Papa Francesco

VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/7

Santa Messa nella Basilica minore del Santuario
 della “Virgen de la Caridad del Cobre” a Santiago

22 settembre 2015



La rivoluzione della fede è quella della tenerezza che si fa compassione per chi soffre, abbatte i muri e semina riconciliazione: è quanto ha detto Papa Francesco durante la Messa presieduta al Santuario della Vergine della Carità del Cobre, Patrona di Cuba.


Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci mette di fronte alla dinamica che il Signore genera ogni volta che ci visita: ci fa uscire da casa. Sono immagini che più volte siamo invitati a contemplare. La presenza di Dio nella nostra vita non ci lascia mai tranquilli, ci spinge sempre a muoverci. Quando Dio ci visita, sempre ci tira fuori di casa. 
Visitati per visitare, incontrati per incontrare, amati per amare.

E qui vediamo Maria, la prima discepola. Una giovane forse tra i 15 e i 17 anni, che in un villaggio della Palestina è stata visitata dal Signore che le annunciava che sarebbe diventata la madre del Salvatore. Lungi dal credersi chissà chi e dal pensare che tutti sarebbero venuti ad assisterla o servirla, lei esce di casa e va a servire. Va ad aiutare sua cugina Elisabetta. La gioia che scaturisce dal sapere che Dio è con noi, con la nostra gente, risveglia il cuore, mette in movimento le nostre gambe, “ci tira fuori”, ci porta a condividere la gioia ricevuta, e condividerla come servizio, come dedizione in tutte quelle situazioni “imbarazzanti” che i nostri vicini o parenti stanno vivendo. Il Vangelo ci dice che Maria uscì in fretta, passo lento ma costante, passi che sanno dove andare; passi che non corrono per “arrivare” troppo rapidamente o vanno troppo lenti come per non “arrivare” mai. Né agitata né addormentata, Maria va di fretta, per accompagnare sua cugina incinta in età avanzata. Maria, la prima discepola, visitata è uscita a visitare. E da quel primo giorno è sempre stata la sua caratteristica peculiare. E’ stata la donna che ha visitato tanti uomini e donne, bambini e anziani, giovani. Ha saputo visitare e accompagnare nelle drammatiche gestazioni di molti dei nostri popoli; ha protetto la lotta di tutti coloro che hanno sofferto per difendere i diritti dei loro figli. E ora, Lei non cessa di portarci la Parola di vita, suo Figlio, nostro Signore.

Anche queste terre sono state visitate dalla sua presenza materna. La patria cubana è nata e cresciuta nel calore della devozione alla Vergine della Carità. “Ella ha dato una forma propria e speciale all’anima cubana – hanno scritto i Vescovi di questa terra – suscitando nel cuore dei cubani i migliori ideali di amore per Dio, per la famiglia e per la Patria”.

Lo affermarono anche i vostri connazionali cent’anni fa, quando chiesero a Papa Benedetto XV di dichiarare la Vergine della Carità Patrona di Cuba, e scrissero: “Né le disgrazie e né le privazioni riuscirono a ‘spegnere’ la fede e l’amore che il nostro popolo cattolico professa a questa Vergine, ma anzi, nelle più grandi vicissitudini della vita, quando era più vicina la morte o prossima la disperazione, sempre è sorta come luce che dissipa ogni pericolo, come rugiada consolatrice ... la visione di questa Vergine benedetta, cubana per eccellenza …perché così l’hanno amata le nostre indimenticabili madri, così la benedicono le nostre spose”. Così essi scrivevano cent’anni fa.

In questo Santuario, che conserva la memoria del santo Popolo fedele di Dio che cammina a Cuba, Maria è venerata come Madre della Carità. Da qui Lei custodisce le nostre radici, la nostra identità, perché non ci perdiamo su vie di disperazione. L’anima del popolo cubano, come abbiamo appena sentito, è stata forgiata tra dolori, privazioni che non sono riusciti a spegnere la fede; quella fede che si è mantenuta viva grazie a tante nonne che hanno continuato a render possibile, nella quotidianità domestica, la presenza viva di Dio; la presenza del Padre che libera, fortifica, risana, dà coraggio ed è rifugio sicuro e segno di nuova risurrezione. Nonne, madri, e tanti altri che con tenerezza e affetto sono stati segni di visitazione - come Maria - di coraggio, di fede per i loro nipoti, nelle loro famiglie. Hanno tenuto aperta una fessura, piccola come un granello di senape, attraverso la quale lo Spirito Santo ha continuato ad accompagnare il palpitare di questo popolo.
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Omelia - Basilica minore del Santuario della “Virgen de la Caridad del Cobre”, Santiago di Cuba - 22 settembre 2015



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 - Questo popolo cubano spalanchi la sua mente, il suo cuore e la sua vita a Cristo, unico Salvatore e Redentore Papa Francesco VIAGGIO APOSTOLICO A CUBA/6