lunedì 30 settembre 2013

L'ennesima strage degli immigrati non può lasciarci indifferenti, non possiamo far finta di non vedere e di non sapere!

Ennesima tragedia sul litorale di Scicli

Gridavano aiuto, gridavano dicendo di non sapere nuotare ma gli scafisti non hanno avuto pietà. Li hanno bastonati, frustati con delle cime e minacciati con i coltelli costringendoli a buttarsi in mare. E chi resisteva attaccandosi a qualsiasi cosa veniva preso e gettato in acqua. Così sono morti quei 13 disperati extracomunitari, quasi tutti eritrei o somali, che si trovavano a bordo di una imbarcazione di legno di poco più di otto metri di lunghezza che si è arenata sulla spiaggia di "Manna razza" vicino la località balneare di Sampieri, in provincia di Ragusa. Sono stati gli scafisti a farli morire e due di loro, per fortuna, sono stati individuati e fermati da polizia e carabinieri. 
Gridavano aiuto, gridavano dicendo di non sapere nuotare ma gli scafisti non hanno avuto pietà. Li hanno bastonati, frustati con delle cime e minacciati con i coltelli costringendoli a buttarsi in mare. E chi resisteva attaccandosi a qualsiasi cosa veniva preso e gettato in acqua. Così sono morti quei 13 disperati extracomunitari, quasi tutti eritrei o somali, che si trovavano a bordo di una imbarcazione di legno di poco più di otto metri di lunghezza che si è arenata sulla spiaggia di "Manna razza" vicino la località balneare di Sampieri, in provincia di Ragusa. Sono stati gli scafisti a farli morire e due di loro, per fortuna, sono stati individuati e fermati da polizia e carabinieri...

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Segni della presenza di Dio e aria della Chiesa sono: memoria e promessa, vecchi e bambini, pace e gioia - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
30 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.


Papa Francesco: 
pace e gioia è l'aria della Chiesa


Non un'organizzazione e una programmazione perfette, ma “pace e gioia” sono il segno della presenza di Dio nella Chiesa: è quanto ha affermato il Papa nella Messa di stamani a Santa Marta commentando le letture del giorno. 

I discepoli erano entusiasti, facevano programmi, progetti per il futuro sull’organizzazione della Chiesa nascente, discutevano su chi fosse il più grande e impedivano di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. Ma Gesù – spiega il Papa – li sorprende, spostando il centro della discussione dall’organizzazione ai bambini: “Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi – dice - questi è grande!”. Così, nella Lettura del profeta Zaccaria si parla dei segni della presenza di Dio: non “una bella organizzazione” né “un governo che vada avanti, tutto pulito e tutto perfetto”, ma gli anziani che siedono nelle piazze e i fanciulli che giocano. Il rischio è quello di scartare sia gli anziani che i bambini. E duro è il monito di Gesù verso chi scandalizza i più piccoli:
“Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquillizzarli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’…”...
Dunque, la “vitalità della Chiesa” non è data da documenti e riunioni “per pianificare e far bene le cose”: queste sono realtà necessarie, ma non sono “il segno della presenza di Dio”:
“Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilli, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”.


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Omelia di P. Gregorio Battaglia (video)



XXVI Domenica T. O. (ANNO C)
29.09.2013

Omelia di P.Gregorio Battaglia
Fraternità Carmelitana
di Pozzo di Pozzo di Gotto




Con questa XXVI domenica del Tempo Ordinario è la terza domenica di seguito che Gesù si rivolge a noi con delle parabole. Credo che sia opportuno richiamare quello che era successo prima di iniziare questa serie di parabole, perché Gesù si era voltato verso i discepoli, verso una grande folla che lo seguiva e aveva invitato ognuno a pensare seriamente cosa significa essere discepoli del Signore, potremmo dire cosa significa essere cristiani, perché voltandosi Gesù aveva detto a tutti: "se uno viene a me e non mi ama più di quanto ama suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita non può essere mio discepolo" ... dice chiaramente: volete camminare con me, volete anche voi entrare nel regno di Dio, volete anche voi gustare la bellezza di costruire una fraternità, sentirci davvero figli dell'unico Padre e impostare relazioni fraterne tra di noi, siete disposti a camminare con me verso questa meta?... 

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"Contro le tre libido: resistere" di Enzo Bianchi


"Contro le tre libido: resistere" 
di Enzo Bianchi

Uno degli aspetti oggi più disattesi nell’etica e nella cultura è certamente quello della lotta spirituale, elemento fondamentale in vista dell’edificazione di una personalità umana, salda e matura. Il nichilismo etico e l’imperante cultura dell’et-et, che fanno sognare la possibilità di uno stile di vita esente dal rischio e dalla fatica della scelta sembrano rendere “fuori luogo” e “fuori tempo” la riflessione sulla necessità della lotta interiore. Eppure per ogni essere umano, questa è più che mai essenziale: è ilcombattimento invisibile in cui ciascuno oppone resistenza al male e lotta per non essere vinto da pulsioni e suggestioni che sonnecchiano nel profondo del suo cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva, fino ad assumere il volto di tentazioni seducenti. Davvero, secondo l’acuta sintesi di Origene, “la tentazione rende l’uomo un martire o un idolatra” (Esortazione al martirio 32,4-5). 
Ora, non è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza un esercizio al discernimento tra bene e male, in modo da giungere a dire dei “sì” convinti e dei “no” efficaci: “sì” a quello che possiamo essere e fare per vivere una vita umana degna di questo nome; “no” alle pulsioni idolatriche ed egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con noi stessi, con gli altri e con le cose e, per chi crede, con Dio: rapporti chiamati a essere contrassegnati da libertà e amore. 
In questo senso vorrei analizzare tre dominanti fondamentali che agiscono sulle sfere umane dell’amare, dell’avere e del volere: la dominante dell’eros (libido amandi), la dominante del possesso (libido possidendi), la dominante del potere e dell’affermazione di sé (libido dominandi)...

Leggi tutto: "Contro le tre libido: resistere" di Enzo Bianchi


domenica 29 settembre 2013

In attesa del pellegrinaggio ad Assisi di Papa Francesco...



In attesa del pellegrinaggio ad Assisi di Papa Francesco...


Dodici aprile 1207: quel giorno era segnato. Faceva freddo. Ad Assisi era tempo di mercato, un giovedì qualsiasi. Apparentemente. Perché la data avrebbe scatenato un cambiamento radicale nella Chiesa. Lo stesso cambiamento che Papa Francesco sogna di imprimere alla barca di Pietro. 
LA STORIA
E chissà se anche nel suo cuore è rimbombato lo stesso imperativo giunto a San Francesco dal crocifisso di San Damiano: «Ripara la mia casa che cade in rovina». Quel 12 aprile messer Pietro Bernardone e il figlio Francesco, nel cortiletto del vescovado, si sfidavano l’uno di fronte all’altro, l’uno contro l’altro. La contesa era sui beni terreni, il padre che reclamava al figlio considerato pazzo la restituzione del denaro, poiché aveva venduto tutto per darlo ai poveri e girava per le viuzze della cittadina vestito di stracci, sporco e ribelle. Nel cortiletto non c’era più un posto in piedi, l’evento era rimbalzato di bocca in bocca, fino ad arrivare al Laterano, a Roma, dove risiedeva il Signor Papa. Il giovane in piedi rispondeva al genitore: «Monsignore non solo il denaro è cosa sua, ma anche il vestito che mi ha dato gli voglio allegramente restituire!». Poi svelto usciva per rientrare pochi minuti dopo nudo, con solo un cilizio, il panno ruvido dei poveri, deponendo a terra il mucchietto di vesti e dei soldi. In quel cortiletto salirono al cielo parole di scandalo: «Udite udite ed intendete. Fino ad ora ho chiamato Pietro di Bernardone mio padre, ma siccome ho fatto proposito di servire Dio, gli rendo il denaro per il quale era turbato e tutti i vestiti che ebbi da lui, così da qui innanzi potrò dire con pieno diritto: Padre nostro che sei nei cieli. E non padre Pietro Bernardone».
La Storia ha registrato il vento della novità, la follia di un Santo straordinario, il potere di un gesto di rottura. 
IL MESSAGGIO 
Il 4 ottobre prossimo, festa di San Francesco, quel gesto, in quell’edificio, nella Sala della Spoliazione di Assisi, così chiamata per richiamare all’essenzialità dei beni terreni, Papa Bergoglio abbraccerà un gruppo di poveri assistiti dalla Caritas. Vuole parlare solo a loro, e attraverso loro traccerà le linee operative della sua Chiesa. Niente autorità, niente pomposità, niente orpelli. Il Vangelo nudo e crudo farà da traccia per evocare l'esempio del Santo. Significativo che in quella sala ci saranno anche gli otto cardinali reduci dalla prima riunione operativa per ridisegnare la curia.
Il pellegrinaggio ad Assisi di Papa Francesco fa dire al vescovo di Perugia, Bassetti che «dal 5 ottobre la Chiesa mondiale potrebbe non essere più la stessa». 
LO SCENARIO
Cosa bolle in pentola? «Sicuramente in questa epoca di cambiamenti Bergoglio sembra avere colto nel profondo e vuole tracciare ufficialmente la nuova rotta». Annuncerà probabilmente qualcosa a proposito dei beni della Chiesa, dell’uso distorto che ne viene fatto come hanno tristemente messo in luce gli scandali legati allo Ior e le carte legate ai Vatileaks. Abolirà forse tutti i titoli onorifici. 
Voci che si rincorrono...

Leggi tutto: La nuova chiesa di Francesco di Franca Giansoldati

Vedi anche il nostro post precedente:
Francesco a casa di Francesco - il Papa pellegrino ad Assisi il 4 Ottobre



Omelia di don Angelo Casati nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario


26ª Domenica del Tempo Ordinario anno C
29 settembre 2013
omelia di don Angelo Casati


Am 6,1.4-7
Sal 14
1 Tm 6,11-16
Lc 16,19-31



Tra le due parabole, quella della scorsa domenica -la parabola dell'amministratore astuto e questa del ricco e del povero Lazzaro-, c'è una notazione di Luca che fa quasi da cerniera: "I farisei" -è scritto- "che erano attaccati al denaro, ascoltava- no tutte queste cose e si burlavano di lui. Egli disse: "voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio".
Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo. Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti? Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza? Loro hanno un nome. Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù. Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni, diciamo sì "beati i poveri", però il culto lo diamo ai ricchi. I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo. Il povero - Lazzaro - non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani. I ricchi hanno un nome, i poveri no. Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio. Per Lui il nome l'hanno i poveri. Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto -è nella casa, veste di porpora, ha amici con cui banchetta- ha tutto. Non ha un nome, per Dio non ha nome. Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente, non ha casa, non ha soldi, non ha salute, non ha amici. Eppure ha un nome: Lazzaro, dall'antico El'azar) che significa "Dio ha aiutato". Ha un nome per Dio. E per me? -mi chiedo-, chi ha un nome per me? Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?




sabato 28 settembre 2013

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 40 di Santino Coppolino

Rubrica
'Un cuore che ascolta - lev shomea'

"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica
di Santino Coppolino



Vangelo: Lc 16,19-31





Ritorna ancora il tema della ricchezza, della "mammona di ingiustizia", e questa volta nella parabola Luca mette di fronte due personaggi: il primo è un uomo ricco, senza nome, cioè senza identità, senza futuro, mentre il secondo è un povero, un pitocco (in greco: ptochòs, che traduce l'ebraico "anaw" che significa "oppresso, schiacciato"), un personaggio che - unica volta nelle parabole del Vangelo di Luca - ha un nome cioè ha una identità e si chiama Lazzaro che significa: "Il Signore è il mio aiuto". Il ricco, come sempre, fa affidamento solo sui suoi beni e, nella sua stupidità e cecità, non si accorge di chi sta alla sua porta a mendicare le briciole che cadono dalla sua mensa. "Quando Signore ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo servito?" (Mt 25,44) E' come l'idolo-mammona che lui adora, "che ha occhi e non vede, orecchie e non ode" (Sal 115,4-7), mentre il povero pone tutta la sua fiducia nel Signore e solo i cani (simbolo dei pagani) hanno pietà di lui. Un abisso li separa nella vita così come nella morte, abisso che è stato scavato dal ricco e che nulla e nessuno può più colmare. Che almeno Lazzaro possa tornare in vita per avvisare i fratelli che stanno correndo un gravissimo pericolo affinché si ravvedano e non si perdano. Lazzaro tornerà in vita ma "i capi dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù" (Gv 12,10-11)


Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - la grazia di non fuggire dalla croce - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
28 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.

Papa Francesco: 
Gesù non fugge davanti alla croce

Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: questa la preghiera del Papa durante la Messa di stamane a Santa Marta. L’omelia ha preso lo spunto dal Vangelo del giorno in cui Gesù annuncia ai discepoli la sua passione. 

“Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”: queste parole di Gesù –afferma il Papa – gelano i discepoli che pensavano a un cammino trionfante. Parole che “restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso” e “avevano timore di interrogarlo su questo argomento”: per loro era “meglio non parlare”, era “meglio non capire che capire la verità” che Gesù diceva:
“Avevano paura della Croce, avevano paura della Croce. Lo stesso Pietro, dopo quella confessione solenne nella regione della Cesarea di Filippo, quando Gesù un’altra volta dice questo, rimprovera il Signore: ‘No, mai, Signore! Questo no!’. Aveva paura della Croce. Ma non solo i discepoli, non solo Pietro, lo stesso Gesù aveva paura della Croce! Lui non poteva ingannarsi, Lui sapeva. Tanta era la paura di Gesù che quella sera del giovedì ha sudato il sangue; tanta era la paura di Gesù che quasi ha detto lo stesso di Pietro, quasi… ‘Padre, toglimi questo calice. Si faccia la tua volontà!’. Questa era la differenza!”...

Il Papa conclude la sua omelia con una preghiera a Maria:
“Vicinissima a Gesù, nella Croce, era sua madre, la sua mamma. Forse oggi, il giorno che noi la preghiamo, sarà buono chiederle la grazia non di togliere il timore – quello deve venire, il timore della Croce… - ma la grazia di non spaventarci e fuggire dalla Croce. Lei era lì e sa come si deve stare vicino alla Croce”.

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SPEZZATI IN QUATTRO PER LA PACE di don Tonino Bello



SPEZZATI IN QUATTRO 
PER LA PACE
di 
don Tonino Bello


Prega per la pace. La pace vera, quella totale, completa, è un dono di Dio. Non è solo frutto degli sforzi umani. Se tu la implorerai come dono di Dio, la pace diventerà anche storicamente possibile, politicamente raggiungibile e diplomaticamente realizzabile. 

Allenati al dialogo. Fin da ora. Con i genitori. Con gli educatori. Con i compagni. Con chi non la pensa come te. Combatti contro la corsa alle armi. Grida a tutti che è una cosa ingiusta fabbricare armi mentre la gente muore di fame. 

Cambia il tuo cuore. È dal cuore vecchio che nasce la guerra. Chiedi al Signore che ti tolga il cuore di pietra e te ne dia uno di carne. 

Educati alla pace. Si, perché la pace è anche un’arte che si impara. Non basta lo slogan. Non basta una marcia. Non basta un cartello. Ci vuole lo studio. Occorre il confronto. Occorre soffrire. Ti sarà necessario anche prendere posizione: l’equilibrismo non è il modo giusto per difendere la pace. 

Per la pace fatti in quattro pure tu! Ce la farai!


venerdì 27 settembre 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - la capacità di portare con gioia e pazienza le umiliazioni - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
27 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco: 
il vero cristiano porta la Croce  nella sua vita

La scelta è se «essere cristiani del benessere» o «cristiani che seguono Gesù». I cristiani del benessere sono quelli che pensano di avere tutto se hanno la Chiesa, i sacramenti, i santi... Gli altri sono i cristiani che seguono Gesù sino in fondo, sino all'umiliazione della croce, e sopportano serenamente questa umiliazione. È in sintesi la riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, venerdì 27 settembre, all'omelia della messa celebrata nella cappella di Santa Marta. 

Il Santo Padre si è riallacciato a quanto aveva detto ieri a proposito dei diversi modi per conoscere Gesù: «Con l'intelligenza — ha oggi ricordato — con il catechismo, con la preghiera e nella sequela». E ha ricordato la domanda all'origine di questa ricerca del conoscere Gesù: «Ma chi è costui ?». Oggi però «è Gesù che fa la domanda», così come narrato da Luca nell’odierno brano del Vangelo (9,18-22). Quella di Gesù, ha notato il Pontefice, è una domanda che da generale — «le folle chi dicono che io sia?» — si trasforma in una domanda rivolta particolarmente a persone specifiche, in questo caso agli apostoli: «Ma voi chi dite che io sia?». Questa domanda, ha proseguito «è rivolta anche a noi in questo momento, nel quale il Signore è fra noi, in questa celebrazione, nella sua Parola, nell'Eucaristia sull'altare, nel suo sacrificio. E oggi a ognuno di noi chiede: ma per te chi sono io? ...»...
Quello che manca per essere cristiano davvero è «l'unzione della croce, l'unzione dell'umiliazione. Lui umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce. Questa è la pietra di paragone, la verifica della nostra realtà cristiana...
«... Tutti vogliamo risorgere il terzo giorno. È buono, è buono, dobbiamo volere questo». Ma non tutti, ha detto il Papa, per raggiungere l'obiettivo, sono disposti a seguire questa strada, la strada di Gesù: ritengono sia uno scandalo se gli viene fatto qualcosa che essi ritengono si tratti di un torto, e se ne lamentano . Il segno dunque per capire «se un cristiano è un cristiano davvero» è «la sua capacità di portare con gioia e con pazienza le umiliazioni». Questa è «una cosa che non piace», ha infine sottolineato Papa Francesco; eppure «ci sono tanti cristiani che guardando il Signore chiedono umiliazioni per assomigliare di più a lui».
Leggi tutto: Sulla strada di Gesù

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LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO - HOREB 65 (2013) N. 2

 LA VITA CRISTIANA COME CAMMINO 
- HOREB 65 (2013) N. 2 -

 TRACCE DI SPIRITUALITA'
A CURA DEI CARMELITANI


È sempre bello partecipare della gioia di un bambino che, dopo aver gattonato per settimane, finalmente, tenuto per mano dai genitori, riesce a stare in piedi e a muovere i primi passi. Gli brillano gli occhi e grida di gioia, poi, quando scopre che può camminare da solo, da quel momento si sente libero di esplorare le cose che lo circondano.

Il camminare è davvero un’esperienza connaturale all’uomo, egli è un essere itinerante, “homo viator”, secondo l'espressione di G. Marcel. Sempre in cammino non solo in senso geografico spaziale, desideroso, cioè, di lasciare un determinato luogo per raggiungere e conoscere nuove realtà, ma in cammino verso il raggiungimento della sua pienezza.

Il bambino è chiamato gradualmente a crescere a misurarsi con i piccoli e grandi eventi, a prendere decisioni a confrontarsi con gli altri, a diventare adulto. Nel tessuto del mondo, la vita dell'uomo è una grande avventura, che conosce percorsi agevoli, lieti ma anche momenti di perplessità, arresti, crisi, desiderio di tornare indietro, ma proprio attraverso queste fasi egli cresce negli anni, e anche matura umanamente e spiritualmente.

Il camminare, esigenza fondamentale dell’uomo, è già evidenziata dalla Bibbia che, prima di tutto, ci mostra lo stesso Dio in cammino e, poi, evidenzia che il Vivente coinvolge l’uomo nel suo cammino.

Il profeta Michea, per esempio, annota che camminare umilmente con Dio è una delle dimensioni inseparabili che configurano l’esperienza umana e spirituale dell’uomo: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8).

Il “camminare con Dio” esprime sia il dinamismo dell’esistenza umana sia il fondamento dell’esperienza di fede, cioè la conoscenza e l’esperienza di Dio.

E Dio, in Gesù, si è fatto umano, compagno di viaggio di ogni uomo che lo accoglie. Lui, la “Via”, ci educa ad uscire dalla caverna egoica che rende ciechi e immobili, ci strappa da una logica mondana e di potere, ci apre orizzonti sempre nuovi e scopriamo che il viaggio della vita non lo facciamo da soli, ma assieme a tante altre persone che non sono nemici o estranei, ma fratelli. Essi sono la soglia dove ogni uomo comincia veramente a vivere. ...

Questo l'incipit dell'Editoriale di Horeb, Quaderni di riflessione e formazione per quanti desiderano coltivare una spiritualità che assuma e valorizzi il quotidiano.

Leggi tutto:
- Editoriale (PDF)
- Sommario (PDF)



E' possibile richiedere copie-saggio gratuite:
CONVENTO DEL CARMINE
98051 BARCELLONA P.G. (ME)
E-mail: horeb.tracce@alice.it


A Roma "Il cortile dei gentili" diventa "Cortile dei Giornalisti"

Il cortile dei gentili si apre ai giornalisti e diventa forum su fede e ragione nell'era della comunicazione "global"

I protagonisti sono i direttori dei principali quotidiani italiani (Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro, Mario Calabresi, Roberto Napoletano, Virman Cusenza, Marco Tarquinio) e il fondatore di "Repubblica", Eugenio Scalfari. Il padrone di casa è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio che al dialogo tra credenti e atei ha dedicato un'apposita istituzione.
La sede del confronto a Roma è il millenario Tempio di Adriano. "Un limite nel rapporto tra la Chiesa e i mass media è stato quello di avere un'agenda comune- afferma il direttore della Stampa, Mario Calabresi-. E' un errore dei giornali analizzare la chiesa con le stesse coordinate della politica. E così il Papa è di sinistra se la domenica parla degli immigrati e diventa di destra se il mercoledì condanna l'aborto o ribadisce i principi non negoziabili della bioetica.
Tutti ci aspettavamo un monito del Pontefice contro le nozze gay in Francia e invece non è arrivato. Francesco non si fa dettare i temi dalla politica e così la Chiesa esce dalla logica del "botta e risposta" quotidiano e torna ai suoi tempi naturali. Del resto, fede e ragione convivono nelle persone...
Una mattinata di confronto tra personalità significative del mondo del giornalismo con l’intento di stabilire un dialogo fra i protagonisti dell’informazione credenti e non credenti attorno a temi importanti come "etica della società ed etica della comunicazione" e "giornalismo, cultura e fede. credere e comunicare’’. I lavori sono stati aperti da Ravasi e Scalfari che hanno dialogato su fede, società, comunicazione e giornalismo...

Qualcuno li ha chiamati “il cardinale laico” e “il cardinale cattolico”. Il fondatore di un giornale che si dichiara non credente ma “innamorato” di Gesù, e rivela di aver appreso “forzatamente” dai gesuiti non la fede, ma l’arte di ragionare. Il presidente di un dicastero pontificio che loda pubblicamente il suo interlocutore, per aver dichiarato che è l’incarnazione, e dunque la Crocifissione di Cristo, l’elemento “capitale” del cristianesimo. Ma - aggiunge spiegando a un non credente il legame indissolubile, per il cristiano, tra Croce e Risurrezione - che “non c’è amore più grande di colui che dà la vita per la persona che ama”. È cominciato con un dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ed Eugenio Scalfari, fondatore de “La Repubblica”, il “Cortile dei Giornalisti”, la giornata del Cortile dei Gentili (www.cortiledeigentili.com) dedicata agli operatori della comunicazione. Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali italiani si sono confrontati e interrogati su temi come il rapporto tra responsabilità e libertà, obiettività e verità nel mondo dei media - con i suoi “vizi” e le sue “virtù” - e le possibili interazioni tra fede e ragione. Il tutto a partire dalle straordinarie novità introdotte da Papa Francesco, nel modo di comunicare della Chiesa...

Ascolta la sintesi proposta da Fabio Colagrande di Radio Vaticana: Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti: gli interventi di Ravasi e Scalfari (mp3)

Vatican Insider ha intervistato padre Laurent Mazas, direttore esecutivo del Cortile, francese, dottore in Filosofia, aiutante di studio al Pontificio Consiglio della Cultura dal 2000; è anche esperto della Santa Sede al Consiglio d'Europa e all'Unesco per le questioni culturali.
Perché questo incontro? Quali sono gli obiettivi specifici del Cortile dei Giornalisti?...


'Cortile dei Giornalisti', anche Gesù lanciava i tweet...


giovedì 26 settembre 2013

DONNE CARDINALI? utopia o futuro possibile?

Leggi il testo integrale dell''articolo del quotidiano spagnolo El País del 23 Settembre 2013:

Uno scherzo? Niente affatto. "E' qualcosa che è passato per la testa di papa Francesco". Così il quotidiano spagnolo El País comincia il suo articolo - firmato da Juan Arias, giornalista e scrittore con un passato da sacerdote, corrispondente da Roma per 18 anni e oggi residente in Brasile - intitolato "Una donna cardinale?". Una domanda forte, spiazzante, dirompente, che apre una serie di scenari ancora più dirompenti. "Questo Papa, che non sembra un Papa", scrive Arias, che si occupa soprattutto di temi religiosi, "è arrivato a Roma dalla periferia della Chiesa con un programma molto concreto: cambiare non soltanto l'apparato arrugginito della macchina ecclesiale, ma anche far rinascere il cristianesimo delle origini". 
Secondo il principale quotidiano di Madrid, insomma, il Pontefice starebbe pensando seriamente a una riforma della Chiesa che comporti il cardinalato aperto alle donne. Prova ne sarebbe la recente intervista rilasciata a Civiltà cattolica, nella quale papa Bergoglio dichiara che "la Chiesa non può stare lei stessa senza la donna". Un'utopia? No: perché, ricorda il giornalista, "secondo il diritto canonico, oggi ci possono essere cardinali che non siano sacerdoti, basta che siano diaconi"...

Sull'ipotesi di creare donne cardinali il dibattito nella Chiesa è aperto. Nel '94 a lanciare la proposta fu il vescovo del Congo Ernest Kombo, gesuita come papa Francesco, e nel '97 il cardinale Martini.

«L’ipotesi di nominare cardinale una donna non è nuova. Nella Chiesa se ne discute da tempo e la proposta fu avanzata già nel corso del Sinodo nel 1987». 
Così don Alessandro Giraudo, docente di Diritto canonico alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Torino, commenta la proposta lanciata dal quotidiano spagnolo El Paìs. 
Don Alessandro ci aiuti a capire. Cosa prevede la normativa attuale? ...

«La questione della situazione delle donne nella Chiesa va affrontata dicendo cose concrete». 
Lucetta Scaraffia, storica, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma ed editorialista dell’Osservatore romano va subito al punto dopo la proposta lanciata dal quotidiano spagnolo El Paìs di nominare cardinale una donna. 
Professoressa, con papa Francesco cambierà qualcosa? 
«Che le donne siano trascurate nella Chiesa e che bisogna dare loro più importanza l’avevano già detto sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI. Adesso, invece, Bergoglio ha parlato di due cose molto concrete: la prima è l’annuncio della ripresa degli studi teologici sul posto della donna proponendo un superamento della “teologia della complementarietà” che era quella di papa Wojtyla e su cui la Chiesa è ferma da decenni. La seconda è che ha detto che mancano donne nei posti direttivi. Sono due cose molto chiare e concrete, non generiche»...

Nominare una donna cardinale: l’ipotesi-proposta del Paìs non è del tutto nuova. Altre voci si sono alzate, negli anni – personalmente voglio ricordare la grande antropologa inglese Mary Douglas, cattolica – per indicare questa via maestra per dare autorità e quindi aumentare l’autorevolezza delle donne nella Chiesa. La nomina avrebbe infatti il grande vantaggio di essere possibile, senza implicare il problema spinoso dell’ordinazione sacerdotale femminile. Costituirebbe un atto di cambiamento forte, significativo, di quelli che ormai siamo abituati ad aspettarci da Papa Francesco. E non stupirebbe poi molto, in fondo, dopo avere ascoltato le frasi impegnative che ha pronunciato recentemente il Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa.
Certo, sarebbe una rivoluzione così forte da scuotere la posizione di diffidenza e di disinteresse che gran parte del clero assume nei confronti delle donne, religiose e laiche, perché è ormai chiaro che le esortazioni a tenere conto in modo diverso della presenza femminile – avanzate sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto XVI – non hanno dato che modesti frutti. Papa Francesco ha parlato senza mezzi termini di donne in posizioni importanti, ma non è facile realizzare in modo decisivo questa riforma. Certo, a tutti – cioè al mondo al di fuori delle gerarchie ecclesiastiche – sembra molto strano, e in particolare chiaramente sbagliato, che non ci siano donne in posizioni direttive all’interno di organismi decisionali come i Pontifici Consigli che trattano di temi che le coinvolgono in prima persona: non ci sono donne, infatti, nell’istituzione che regola i problemi dei Religiosi – anche se le donne costituiscono i due terzi del numero totale dei religiosi –; nel Pontificio Consiglio per i laici, che ovviamente almeno per metà sono donne; nel Pontificio Consiglio della famiglia, dove la loro presenza dovrebbe essere ovvia. Ma anche nell’istituto che regola l’assistenza sanitaria, in gran parte gestita - e bene - da congregazioni femminili. E non dobbiamo poi dimenticare che le donne dovrebbero partecipare alle decisioni di tipo culturale, o a quelle che riguardano le comunicazioni. In entrambi questi ambiti, al di fuori della Chiesa, ma in parte anche all’interno, le donne ormai ricoprono ruoli importanti, dando prova di grandi capacità.
E ancora: perché nelle congregazioni che precedono il conclave i cardinali elettori non hanno avuto modo di ascoltare neppure una donna, religiosa o laica? Oggi le donne si rifiutano di essere rappresentate da uomini in qualsiasi occasione, ed esigono, giustamente, di essere ascoltate. Quello che manca alla Chiesa è proprio questo: la disponibilità ad ascoltare le donne, considerate solo come obbedienti esecutrici di direttive altrui, o fornitrici di servizi domestici.


Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Conoscere Gesù con la mente, con il cuore, con l'azione - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
26 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.


Papa Francesco: 
Gesù si conosce con il dialogo con Lui 

Per conoscere Gesù, bisogna coinvolgersi con Lui. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che Gesù non si può conoscere in “prima classe”, ma nella vita quotidiana di tutti i giorni. Quindi, ha indicato i tre linguaggi necessari per conoscere Gesù: “della mente, del cuore e dell’azione”

Chi è costui, da dove viene? Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalla domanda che Erode si pone su Gesù. Un interrogativo, ha detto, che in realtà pongono tutti coloro che incontrano Gesù. E’ una domanda, ha affermato, “che si può fare per curiosità” o si “può fare per sicurezza”. E osserva che, leggendo il Vangelo, vediamo che “alcuni incominciano a sentire paura di questo uomo, perché li può portare a un conflitto politico con i romani”. “Ma chi è questo che fa tanti problemi?”, ci si chiede. Perché davvero, ha detto il Papa, “Gesù fa problemi”:
“Non si può conoscere Gesù senza avere problemi. E io oserò dire: ‘Ma se tu vuoi avere un problema, vai per la strada di conoscere Gesù. Non uno, tanti ne avrai!’. Ma è la strada per conoscere Gesù! Non si può conoscere Gesù in prima classe! Gesù si conosce nell’andare quotidiano di tutti i giorni. Non si può conoscere Gesù nella tranquillità, neppure nella biblioteca… Conoscere Gesù!”...
“Non si può conoscere Gesù senza coinvolgersi con Lui, senza scommettere la vita per Lui. Quando tanta gente - anche noi - si fa questa domanda ‘Ma chi è questo?’, la Parola di Dio ci risponde: ‘Tu vuoi conoscere chi sia questo? Leggi quello che la Chiesa ti dice di Lui, parla con Lui nella preghiera e cammina sulla sua strada con Lui. Così, tu conoscerai chi è quest’uomo’. Questa è la strada! Ognuno deve fare la sua scelta!”.


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"Ama i poveri" di Giovanni Mazzillo



Ama i poveri
di Giovanni Mazzillo

U come ultimo, o meglio ultimi, ma anche come Unico, cioè l’Unico Dio.


Ogni riflessione sulla pace passa attraverso la riconsiderazione degli ultimi (umanamente) come i primi (teologicamente). Scrivo mentre papa Francesco è in procinto di incontrare, a Lampedusa, alcuni di quegli “ultimi” che, quando riescono a scampare alle insidie del mare, affrontato su gommoni o carcasse galleggianti, raramente riescono a sopravvivere alle procedure di respingimenti e di rigetto. E quando non si tratta di respingimenti militari, non è detto che manchino i “respingimenti”… mentali. Anche da parte di alcuni “cristiani” (spero davvero che siano pochi) e persino da qualcuno che è stato battezzato da un Papa, in pompa magna e sotto i riflettori di mezzo mondo. Parlo di Magdi Allam, che, avendo già espresso, dopo l’elezione di papa Bergoglio, il suo volontario auto-allontanamento dalla Chiesa cattolica, sembra non riesca oggi ad accettare nemmeno la scelta di Lampedusa come prima tappa di un itinerario di un altro Papa, che tra i suoi punti programmatici ricorrenti pone la preferenza per le periferie dell’esistenza e s’intende anche per quelle della società in cui viviamo.

Al di sopra di tutto 
Rileggendo le dichiarazioni del fratello Magdi cristiano del 25 marzo 2013, mi colpisce e mi affascina tuttavia una sua professione di fede e d’amore in Cristo, al punto che egli scrive: “Continuerò a credere nel Gesù che ho sempre amato e a identificarmi orgogliosamente con il cristianesimo come la civiltà che più di altre avvicina l’uomo al Dio che ha scelto di diventare uomo”. Tuttavia la mia immediata contro domanda è in tutta umiltà e fraternità, in spirito autentico di pace: “Ma come si può amare Cristo senza non amare quelli che egli ama?”. 
Non sembra una risposta valida quella espressa dallo stesso autore in data odierna (7 luglio 2013), che, pur professando il suo amore per Cristo, aggiunge che “prima dell’amore per il prossimo viene l’amore per se stesso”, convinzione che “i relativisti, i buonisti, i globalisti e gli immigrazionisti vorrebbero toglierci, obbligandoci a rispettare solo la prima parte ‘ama il prossimo tuo’”. In realtà se c’è uno che ha amato gli altri più di se stesso, questi è proprio Cristo, altrimenti non sarebbe morto sulla croce. E inoltre, l’amore vero –- da quello di una mamma a quello di una qualsiasi persona verso un altro essere umano, come Massimiliano Kolbe (che in un campo di concentramento offrì la sua vita al posto di un altro) – se è amore vero, non fa le sue ponderazioni sul bilancino del farmacista, su quale sia l’amore da privilegiare: quello di se stesso o quello del prossimo. Ama e si dona. Ama e offre la sua vita, non per amore della morte, e nemmeno per amore dell’amore, ma per amore dell’altro. 
Senza questa “realtà” non potrei mai capire Cristo, né i suoi martiri, né quanti danno la vita per lui e per gli altri, e – giacché ci siamo – nemmeno qualcosa come il celibato. Perché anche questo ha senso solo se è offerta di sé per un amore più grande, che almeno inizialmente va contro l’amore di sé e, pur nelle gratificazioni di un amore purificato e sublimato, resta sostanzialmente sempre lotta contro il puro e semplice amore di sé.

Cristo e i poveri 
Sì, Cristo e i poveri, identificati negli ultimi, non sono cristianamente scindibili. E quanto a Dio, adorato e da adorare come Unico e solo, non è pensabile al di fuori di un binomio che qualcuno ha formulato in questi termini: Dio il primo: da adorare e da amare, ma in forza dell’amore verso di Lui non è separabile da questo l’amore verso i poveri, a partire dagli ultimi, perché proprio essi sono criterio e garanzia di un amore che, diversamente, rischia sempre di scadere nell’esaltazione mistificatoria, più che mistica. L’enciclica pubblicata recentemente da papa Francesco ce lo ricorda, unendo indissolubilmente, come sempre deve essere, l’amore alla fede. Se la fede è senza amore, non solo il misticismo autoreferenziale, ma anche il fondamentalismo è a portata di mano. 
Solo se è abitata dall’amore e abita la regione del dono di sé, la fede non costituisce un pericolo per gli altri, per le “diversità”, per l’umanità...

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mercoledì 25 settembre 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Vergogna, preghiera e fiducia -

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
25 settembre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.


Papa Francesco: 
Vergogna, preghiera e digiuno

La vergogna dinanzi a Dio, la preghiera per implorare la misericordia divina e la piena fiducia nel Signore. Sono questi i cardini della riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, mercoledì 25 settembre, durante la messa nella cappella di Santa Marta concelebrata con i cardinali Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, insieme a un gruppo di vescovi maroniti venuti dal Libano, dalla Siria, dalla Terra Santa e da diversi altri Paesi di ogni continente.

Nel commentare le letture della liturgia (Esdra 9,5-9; Luca 9, 1-6), il Santo Padre ha detto che, in particolare, il brano tratto dal libro di Esdra gli ha fatto pensare ai vescovi maroniti e, come di consueto, ha riassunto il suo pensiero intorno a tre concetti. 
Innanzitutto l’atteggiamento di vergogna e confusione di Esdra davanti a Dio, fino al punto da non poter alzare gli occhi verso di lui. Vergogna e confusione di tutti noi per i peccati commessi, che ci hanno portato alla schiavitù poiché abbiamo servito idoli che non sono Dio.
La preghiera è il secondo concetto. Seguendo l’esempio di Esdra, che in ginocchio alza le mani verso Dio implorando misericordia, così dobbiamo fare noi per i nostri innumerevoli peccati. Una preghiera che, ha detto il Papa, bisogna elevare anche per la pace in Libano, in Siria e in tutto il Medio Oriente. È la preghiera sempre e comunque, ha precisato, la strada che dobbiamo percorrere per affrontare i momenti difficili, come le prove più drammatiche e il buio che talora ci avvolge in situazioni imprevedibili. Per trovare la via di uscita da tutto ciò, ha sottolineato il Pontefice, bisogna incessantemente pregare.
Infine, fiducia assoluta in Dio che mai ci abbandona. È il terzo concetto proposto dal Santo Padre. Siamo certi, ha detto, che il Signore è con noi e, pertanto, il nostro camminare deve farsi perseverante grazie alla speranza che infonde fortezza. La parola dei pastori diventerà rassicurante per i fedeli: il Signore non ci abbandonerà mai...



Resa pubblica la lettera di Benedetto XVI a Odifreddi - Dialogo a distanza tra il Papa emerito e il matematico ateo

Ill.mo Signor Professore Odifreddi, (...) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.
Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell'avventatezza dell'argomentazione. (...)
Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti...

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.
Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.
Leggi tutto: Ratzinger: "Caro Odifreddi le racconto chi era Gesù" di Joseph Ratzinger

Pochissime persone al mondo, ed Eugenio Scalfari è una di queste, possono comprendere completamente la sorpresa e l’emozione che si provano nel ricevere direttamente a casa propria un’inaspettata lettera di un Papa. Una sorpresa e un’emozione che non vengono scalfite dal fatto di essere dei miscredenti, perché l’ateismo riguarda la ragione, mentre le personalità e i simboli del potere agiscono sui sentimenti.
A me questa sorpresa e quest’emozione sono capitate il 3 settembre scorso, quando il postino mi ha recapitato una grande busta sigillata, contenente 11 pagine protocollo datate 30 agosto, nelle quali Benedetto XVI rispondeva al mio Caro papa, ti scrivo (Mondadori, 2011). Una risposta sorprendente, che infatti mi ha sorpreso, per due ragioni. Anzitutto, perché un Papa ha letto un libro che, fin dalla copertina, veniva presentato come una “luciferina introduzione all’ateismo”. E poi, perché l’ha voluto commentare e discutere.
Poco dopo le dimissioni di Ratzinger, avevo approfittato di un amico comune per chiedere all’arcivescovo Georg Gänswein se fosse possibile recapitare all’ormai Papa emerito una copia del mio libro, nella speranza che lo potesse vedere, e magari sfogliare. E in seguito, in un paio di occasioni, mi era stato detto dapprima che l’aveva ricevuto, e poi che lo stava leggendo. Ma che potesse rispondermi, e addirittura commentarlo in profondità, era al di là delle ragionevoli speranze.
Aprire la busta e trovarci dentro 11 fitte pagine, che iniziavano con una richiesta di scuse per il ritardo nella risposta, e un’offerta di ringraziamenti per la lealtà della trattazione, era la realizzazione del massimo delle aspettative possibili, in un mondo che di solito non ne realizza che il minimo. Ed era anche la soddisfazione di veder finalmente presi sul serio e non rimossi, benché ovviamente non condivisi, i miei argomenti a favore dell’ateismo e contro la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare.
D’altronde, non era certo un caso che avessi indirizzato la mia lettera aperta a Ratzinger. Dopo aver letto la sua Introduzione al Cristianesimo, suggeritami dal compagno di strada Sergio Valzania lungo il Cammino di Santiago del 2008, avevo capito che la fede e la dottrina di Benedetto XVI, a differenza di quelle di altri, erano sufficientemente salde e agguerrite da poter benissimo affrontare e sostenere attacchi frontali. Un dialogo con lui, benché allora immaginato soltanto a distanza, poteva dunque rivelarsi un’impresa stimolante e non banale, da affrontare a testa alta.
Scrivendo il mio libro come un commento al suo, avevo cercato di favorire la pur remota possibilità che un giorno il destinatario potesse effettivamente riceverlo. Avevo dunque abbassato i toni sarcastici di altri saggi, scegliendo uno stile di scambio tra professori “alla pari”, ovviamente nel senso accademico dell’espressione. E mi ero concentrato sugli argomenti intellettuali che potevo sperare avrebbero mantenuta viva la sua attenzione, pur senza rinunciare ad affrontare di petto i problemi interni della fede e i suoi rapporti esterni con la scienza.
L’approccio evidentemente non era sbagliato, visto che ha raggiunto il suo scopo: che, ovviamente, non era cercare di “sconvertire il Papa”, bensì esporgli onestamente le perplessità, e a volte le incredulità, di un matematico qualunque sulla fede. Analogamente, la lettera di Benedetto XVI non cerca di “convertire l’ateo”, ma gli ritorce contro onestamente le proprie simmetriche perplessità, e a volte le incredulità, di un credente molto speciale sull’ateismo.
Il risultato è un dialogo tra fede e ragione che, come Benedetto XVI nota, ha permesso a entrambi di confrontarci francamente, e a volte anche duramente, nello spirito di quel Cortile dei Gentili che lui stesso aveva voluto nel 2009. Se ho atteso qualche settimana a rendere pubblica la sua partecipazione al dialogo, è perché volevo essere sicuro che egli non volesse mantenerla privata.
Ora che ne ho ricevuto la conferma, anticipo qui una parte della sua lettera, che è comunque troppo lunga e dettagliata per essere riportata integralmente, soprattutto nelle sezioni filosofiche iniziali...
Leggi tutto: Il postino del Papa suona due volte di Piergiorgio Odifreddi