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mercoledì 20 giugno 2018

Usa, i forzati al pianto. Frutti marci della democrazia




Usa, i forzati al pianto. Frutti marci della democrazia
di Eraldo Affinati

I duemila bambini divisi a forza dai genitori alla frontiera tra Stati Uniti e Messico, sulla cui pelle Donald Trump ha deciso di giocarsi le prossime elezioni di metà mandato, rappresentano un grave colpo inferto alla specie umana nella rievocazione operativa di due concetti che, soprattutto per noi europei, gettano ombre inquietanti sul passato novecentesco: separazione e isolamento. Stavolta però non dobbiamo prendercela col totalitarismo. Al contrario, sul piatto abbiamo i frutti marci della democrazia: la prima del mondo moderno, quella da cui prendemmo esempio, anche se gli angeli della natura ai quali Abramo Lincoln avrebbe voluto affidare il coro dell’Unione, preferirebbero, ci scommettiamo, spezzare le proprie ali piuttosto che accompagnare il pianto dei bambini reclusi nelle gabbie texane.

Eccoli lì, questi Lazarilli de Tormes del Terzo Millennio, appena staccati dal gruppo dei migranti che hanno tentato la fortuna superando la frontiera desertica prima che il Presidente la recinga definitivamente con il suo Muro. Come altri trentamila ragazzini e ragazzine, subito sono stati acciuffati dalle guardie di confine e portati in una struttura di detenzione in attesa di venire espulsi. Alcuni di questi marmocchi dalla faccia spaurita sembrano veramente piccoli e vengono accuditi da ragazze più grandi. Le loro foto hanno fatto il giro del mondo: distesi sui tappetini del magazzino trasformato in reclusorio, con la carta stagnola usata come coperta e le bottigliette d’acqua minerale poste ai lati, ci fanno capire dove conduce la politica dei respingimenti: in un vicolo cieco, in un pozzo scuro, sull’orlo del baratro.

Fa impressione la protervia e il cinismo dell’Amministrazione a stelle e strisce: non serve a niente che Melania protesti con il marito, auspicando che insieme alla difesa dei confini egli invochi le leggi del cuore, appoggiata anche da Laura Bush; anzi, sembra quasi che perfino le parole della first lady, ex modella slovena naturalizzata americana, scaturiscano da un’accorta strategia mediatica, puntuali nel tentativo di non rompere in via definitiva con l’effervescente elettorato di sinistra delle metropoli occidentali, sempre pronto a organizzare schiamazzi davanti alla Casa Bianca, dopo che il ceto medio moderato, storico dispensatore di voti, è stato rassicurato dalla pace nuclare stipulata con Kim Jong-un e i grandi proprietari agricoli delle pianure centrali hanno ricevuto il contentino dei dazi anticinesi.


Ogni politica internazionale, di qualsiasi forma e colore, non dovrebbe mai dimenticare i volti delle persone: in particolare quelli dei più piccoli. Fate entrare gli educatori nelle stanze dei bottoni! Qualcuno che possa spiegare a chi comanda cosa comporta, nella realtà concreta, un provvedimento come quello che ha preso Donald Trump per scalare ancora di più la vetta del potere. E stiamo attenti che il riverbero di questo modo di procedere, stigmatizzato da Zeid Ra’ad al-Hussein, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, non arrivi sino a noi. I bambini senza famiglia, lo dico per esperienza diretta, sono piante secche, strade storte, stelle spente. Ti basta un dettaglio per capirlo: l’unghia sporca, la camicia scucita, la crosta sulla pelle infiammata.

Che l’assenza del padre e della madre sia stata lunga o breve lo misuri dall’aria furtiva del giovane disperso, dalla rapidità con cui muove gli occhi, come fosse sempre alla ricerca di una via di fuga dove mettersi al riparo: se la tensione da cui ricava sostegno va e viene, quasi fosse una luce elettrica instabile, hai di fronte un cucciolo appena abbandonato; se invece i movimenti del ragazzino assomigliano a una febbre vitale, allora significa che il distacco è antico, inciso nella carne come una freccia acuminata in grado di bucare i tessuti: una ferita che lascerà il segno perfino quando lui diventerà grande e di certo non si rimarginerà passando piuttosto come un groviglio indistricabile, un tema da svolgere, un compito irrisolto, ai suoi figli, se mai li avrà e quindi a tutti noi.


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