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domenica 3 giugno 2018

San Giovanni XXIII. Il Concilio, il discorso alla luna e la pace di Massimo Toschi

San Giovanni XXIII. 
Il Concilio, il discorso alla luna e la pace 
di Massimo Toschi

Il 3 giugno del 1963, 55 anni fa, moriva papa Giovanni XXIII. Un grande papa, il papa buono, un papa santo. Dal 24 maggio al 10 giugno l'urna contenente le sue spoglie ritorna nella sua diocesi, a Bergamo e a Sotto il Monte. Ricordiamo alcuni tratti salienti del suo breve pontificato.




Il 3 giugno del 1963 davanti al mondo muore papa Giovanni. In piazza san Pietro, a conclusione del giorno e della liturgia, le parole del prologo di Giovanni raccontavano il mistero che si stava compiendo: «E venne un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni».

Una vita donata per l’unità delle chiese, per la pace del mondo, che fa della morte di Roncalli un evento unico, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Un evento in cui si narra l’agire di Dio, che dona il Concilio alla Chiesa e chiama la Chiesa a vivere la medicina della misericordia e della pace.

Una morte santa davanti al mondo, capace di toccare il cuore di molti, credenti e non credenti, donne e uomini, fino agli estremi confini della terra e di tutte le terre, allo stesso modo della sua enciclica.

Nessuno era escluso da quella piazza, ma tutti erano radunati dal quel vegliardo, discepolo folle di Dio. Tutti erano convenuti per accompagnare l’ultimo transito del papa del vangelo, per condividere con lui il mistero di essere padre fino alla fine.

Io ricordo quel pomeriggio davanti alla televisione a vedere e a pregare, ad attendere la dipartita di colui che ci aveva insegnato, con il discorso alla luna, il mistero della paternità di Dio.

Una morte nella pace di colui che era il mio padre santo. In questo modo egli insegnava a morire, nella perfetta obbedienza e nella piena consegna di sé, a un intero popolo senza confini.

Alla fine della liturgia eucaristica, mentre si recitava il prologo di Giovanni, viene chiusa la finestra dell’appartamento papale. È il segno che annuncia la morte di papa Roncalli e la gente in ginocchio continua la preghiera, una preghiera di consolazione e di benedizione, di rendimento di grazie per colui che aveva convocato e aperto il concilio, che aveva fatto della pace la parola chiave di tutto il suo ministero di vescovo di Roma. Fino all’enciclica Pacem in terris.

Essa viene firmata l’11 aprile e appare come il testamento di papa Giovanni, che narra il Vangelo e nient’altro. Lo Spirito Santo come vento gagliardo spazza via le nubi nere della guerra e della violenza e nel discorso alla luna getta il seme della fraternità per sempre.

Il Concilio è la risposta della Chiesa alla tragedia della Seconda guerra mondiale, è il Vangelo consegnato. È la potenza di Dio che pone il segno evangelico dentro la storia, con il discorso alla luna che papa Giovanni fa alla sera del giorno di apertura del concilio.

Su pressione del suo segretario mons. Capovilla, papa Giovanni parla al popolo romano, che stava facendo la processione di luci e di candele per ricordare il Concilio di Efeso, legato al mistero di Maria. Si conclude la giornata di apertura del concilio Vaticano II.

Il papa, guardando quella folla come punti di luce, si commuove.

Decide di parlare e, grazie alla intelligenza di un dirigente della Rai, noi abbiamo la diretta di uno dei più straordinari discorsi del secolo scorso.

Nessun discorso astratto, nessuna definizione di principi, nessuna condanna, nessun rubricismo, nessun liturgismo, nessun dottrinarismo teologico, ma semplicemente la parola della paternità e della fraternità, del dialogo e dell’incontro. La parola delle beatitudini. La parola dell’amicizia di Dio e della incarnazione, quando Dio ha il volto dei bambini e dei piccoli, i primi nella ricerca del Vangelo.

Attraverso il discorso di Roncalli, lo Spirito parla alla Chiesa, alle chiese, in una sinfonia di cuori.

Papa Giovanni pone al centro della sua parola la sua paternità e la figliolanza di tutti coloro che, figli di un unico Padre, rappresentano il genere umano.

Dice Roncalli: «Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo. (….) La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato Padre per la volontà di Nostro Signore, ma tutt’insieme: paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto!”.

Ecco la consegna del vangelo sine glossa: la paternità e la fraternità. Il papa raduna il popolo dei figli che sono fratelli e dei fratelli che manifestano la figliolanza di Dio nella fraternità e nella piccolezza.

La Luna, simbolo del mistero di Maria proclamato a Efeso, sigilla l’epifania del concilio, una epifania di grazia per tutta l’umanità. La Chiesa pone il concilio come la sua risposta alla tragedia delle due guerre mondiali. Ecco la risposta del Vangelo.

Papa Roncalli chiede a tutti: «Continuiamo a volerci bene». Ecco il linguaggio semplice del padre, il linguaggio dell’amore che custodisce la famiglia umana. È lì che avviene l’incontro: è lì che «si coglie quello che ci unisce e lascia da parte-se c’e-qualcosa che ci può tenere in difficoltà».

Ecco la storia assunta come grande mistero di unità. E poi il passaggio sui bambini, parola e gesto evangelico: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del papa”».

Ecco il linguaggio della tenerezza di Dio. Senza sentimentalismi, ma attraversato dal patire e dal dolore, come sempre accade nella storia. «Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza».

Il papa conosce la fatica e il dolore dei poveri e delle vittime E la sua parola si fa parola di Dio, arriva ai curvati e ai feriti della storia, ci pone con semplicità accanto ad essi. Nel linguaggio si consegna il mistero della incarnazione.

E si conclude con un appello all’ottimismo cristiano: «E poi, tutti insieme ci animiamo cantando, sospirando, piangendo, ma sempre sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuare e riprendere il nostro cammino».

Ecco, il discorso alla luna è entrato, nella sua semplicità, in tutte le case e le comunità, che è segno di unità, di vicinanza, di realismo cristiano. Grazie alla televisione e alla abilità di un funzionario è arrivato ad ogni angolo della terra, come magistero di amore e tenerezza, come un modo nuovo e unico di confessare la pace per tutte le terre.

Davvero il discorso alla luna riassume tutto: il concilio, i poveri e le vittime, il vangelo, la grazia della fraternità. San Giovanni del Concilio abita nei nostri cuori e ci indica ogni giorno la via della preghiera, della pace, della fraternità dei piccoli, della medicina della misericordia.
(Fonte: Città Nuova)

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In nota: SALUTO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII AI FEDELI PARTECIPANTI ALLA FIACCOLATA IN OCCASIONE DELL’APERTURA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II – giovedì, 11 ottobre 1962