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giovedì 25 gennaio 2018

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CILE E PERÙ 15-22 GENNAIO 2018 / 12 - Alle suore di clausura: "La vita di clausura non imprigiona né restringe il cuore, ma piuttosto lo allarga." - Ai vescovi: "Com’è urgente questa visione per noi, pastori del secolo XXI!, ai quali tocca imparare un linguaggio totalmente nuovo com’è quello digitale, per fare un esempio. Conoscere il linguaggio attuale dei nostri giovani, delle nostre famiglie, dei bambini…"


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CILE E PERÙ

15-22 GENNAIO 2018


Domenica 21 gennaio 2018
LIMA
9.15Preghiera dell'Ora Media con Religiose di vita contemplativa nel Santuario del Señor de los Milagros
10.30Preghiera alle Reliquie dei Santi peruviani nella Cattedrale di Lima
10.50Incontro con i Vescovi nel Palazzo Arcivescovile


PREGHIERA DELL'ORA MEDIA CON RELIGIOSE DI VITA CONTEMPLATIVA
Santuario del Señor de los Milagros (Lima)

«Vedendovi qui, mi viene un cattivo pensiero, che avete approfittato per uscire dal convento e fare una passeggiata!». Papa Francesco scherza con le 500 suore peruviane di vita contemplativa che lo accolgono con cori da stadio nello storico santuario di Lima dedicato al Señor de los Milagros, uno dei più frequentati del Paese, dedicato al culto del patrono del Perù e gestito dalle Madri Nazarene Carmelitane Scalze, in cui è custodito un dipinto murale del XVII secolo scampato dal devastante sisma del 1655 e da altri successivi terremoti, divenuto da allora oggetto di devozione dalla comunità cattolica del Perù.






Care sorelle dei diversi monasteri di vita contemplativa,

che bello trovarci qui, in questo Santuario del Signore dei Miracoli, tanto frequentato dai peruviani, per chiedergli la sua grazia e perché ci mostri la sua vicinanza e la sua misericordia! Egli, che è il «faro che guida, che ci illumina con il suo amore divino». Vedendovi qui, mi viene un cattivo pensiero: che abbiate approfittato per uscire un po' dal convento e fare una piccola passeggiata! Grazie, Madre Soledad, per le Sue parole di benvenuto, e a tutte voi che «dal silenzio del chiostro camminate sempre al mio fianco». E permettetemi, perché mi tocca il cuore, di mandare da qui un saluto ai miei quattro Carmeli di Buenos Aires. Voglio mettere anche loro davanti al Signore dei Miracoli, perché mi hanno accompagnato nel mio ministero in quella diocesi, e desidero che siano qui perché il Signore le benedica. Non siete gelose, no? [rispondono: No!]

Ascoltiamo le parole di San Paolo, ricordandoci che abbiamo ricevuto lo spirito filiale che ci rende figli di Dio (cfr Rm 8,15-16). Queste poche parole condensano la ricchezza di ogni vocazione cristiana: la gioia di saperci figli. Questa è l’esperienza che sostiene la nostra vita, la quale vuol’essere sempre una risposta grata a quell’amore. Com’è importante rinnovare giorno per giorno questa gioia! Soprattutto nei momenti in cui la gioia sembra che sia scomparsa o l’anima è annebbiata o ci sono cose che non si capiscono; allora chiedere questo nuovamente e dire di nuovo: “Sono figlia, sono figlia di Dio”.

Una via privilegiata che voi avete per rinnovare questa certezza è la vita di preghiera, preghiera comunitaria e personale. La preghiera è il nucleo della vostra vita consacrata, della vostra vita contemplativa ed è il modo di coltivare l’esperienza di amore che sorregge la nostra fede, e come ben ci diceva la Madre Soledad, è una preghiera sempre missionaria. Non è una preghiera che rimbalza contro il muro del convento e torna indietro, no, è una preghiera che esce e va e va…

La preghiera missionaria è quella che ottiene di unirsi ai fratelli nelle varie circostanze in cui si trovano e pregare perché non manchino loro l’amore e la speranza. Così diceva Santa Teresa di Gesù Bambino: «Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l'amore è eterno. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore». Che ognuna di voi possa dire questo! Se qualcuna è un po’ “fiacca” e si è spento in lei il fuocherello dell’amore, lo chieda, lo chieda! E’ un regalo di Dio poter amare.

Essere l’amore! È saper stare accanto alla sofferenza di tanti fratelli e dire con il salmista: «Nel pericolo ho gridato al Signore: mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo» (Sal 117,5). Così la vostra vita nella clausura riesce ad avere una portata missionaria e universale e «un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa. Pregate e intercedete per tanti fratelli e sorelle che sono carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati, per tante famiglie ferite, per le persone senza lavoro, per i poveri, per i malati, per le vittime delle dipendenze, per citare alcune situazioni che sono ogni giorno più urgenti. Voi siete come quegli amici che portarono il paralitico davanti al Signore, perché lo guarisse (cfr Mc 2,1-12). Non si vergognavano, erano “spudorati”, ma in senso buono. Non ebbero vergogna di fare un buco nel tetto e far scendere il paralitico. Siate “spudorate”, non vergognatevi di fare in modo, con la preghiera, che la miseria degli uomini si avvicini alla potenza di Dio. Questa è la vostra preghiera. Attraverso la preghiera voi, giorno e notte, avvicinate al Signore la vita di tanti fratelli e sorelle che per diverse situazioni non possono raggiungerlo per fare esperienza della sua misericordia risanatrice, mentre Lui li attende per fare loro grazia. Con la vostra preghiera potete guarire le piaghe di tanti fratelli».

Proprio per questo possiamo affermare che la vita di clausura non imprigiona né restringe il cuore, ma piuttosto lo allarga. Guai alla religiosa che ha il cuore ristretto! Per favore, cercate un rimedio. Non si può essere religiosa contemplativa con il cuore ristretto. Che torni a respirare, che torni a essere un cuore grande! E inoltre, le religiose con questo cuore ristretto sono religiose che hanno perso la fecondità e non sono madri; si lamentano di tutto, sono amareggiate, sempre alla ricerca di qualche quisquilia per lamentarsi. La santa Madre [Teresa di Gesù] diceva: «Guai alla monaca che dice: “Mi hanno fatto un’ingiustizia senza motivo!”». Nel convento non c’è posto per le “collezioniste di ingiustizie”; ma c’è posto per quelle che aprono il cuore e sanno portare la croce, la croce feconda, la croce dell’amore, la croce che dà vita.

L’amore allarga il cuore, e perciò con il Signore andiamo avanti, perché Lui ci rende capaci di sentire in modo nuovo il dolore, la sofferenza, la frustrazione, la sventura di tanti fratelli che sono vittime di questa “cultura dello scarto” del nostro tempo. Che l’intercessione per i bisognosi sia la caratteristica della vostra preghiera. Con le braccia in alto, come Mosè, con il cuore così proteso, domandando... E quando è possibile aiutateli, non solo con la preghiera, ma anche con il servizio concreto. Quanti conventi dei vostri, senza venir meno alla clausura, rispettando il silenzio, in qualche momento di parlatorio possono fare tanto bene.

La preghiera di supplica che si fa nei vostri monasteri, sintonizza con il Cuore di Gesù che implora il Padre perché tutti siamo uno, così il mondo crederà (cfr Gv 17,21). Quanto abbiamo bisogno dell’unità nella Chiesa! Che tutti siamo uno. Quanto abbiamo bisogno che i battezzati siano uno, che i consacrati siano uno, che i sacerdoti siano uno, che i vescovi siano uno! Oggi e sempre! Uniti nella fede. Uniti dalla speranza. Uniti dalla carità. In quell’unità che promana dalla comunione con Cristo che ci unisce al Padre nello Spirito e, nell’Eucaristia, ci unisce gli uni agli altri in questo grande mistero che è la Chiesa. Vi chiedo, per favore, di pregare molto per l’unità di questa amata Chiesa peruviana, perché è tentata di disunione. A voi affido l’unità, l’unità della Chiesa, l’unità degli operatori pastorali, dei consacrati, del clero e dei vescovi. Il demonio è menzognero, ed è anche pettegolo, gli piace portare da una parte e dall’altra, cerca di dividere, vuole che nella comunità le une parlino male delle altre. Questo l’ho detto tante volte, e perciò mi ripeto: sapete che cosa è la religiosa pettegola? E’ una “terrorista”. Peggio di quelli di Ayacucho di anni fa, peggio, perché il pettegolezzo è come una bomba: lei va e “pss… pss…pss…”, come il diavolo, tira la bomba, distrugge e se ne va tranquilla. Niente suore “terroriste”, senza pettegolezzi. Già sapete che il miglior rimedio per non spettegolare è mordersi la lingua. L’infermiera avrà da fare perché vi si infiammerà la lingua, ma almeno non avrete tirato la bomba. Quindi, che non ci siano pettegolezzi nel convento, perché questa cosa è ispirata dal diavolo. Lui per natura è pettegolo e menzognero. E ricordatevi dei terroristi di Ayacucho quando vi viene voglia di spettegolare.

Impegnatevi nella vita fraterna, facendo in modo che ogni monastero sia un faro che possa fare luce in mezzo alla disunione e alla divisione. Aiutate a profetizzare che questo è possibile. Che chiunque si avvicini a voi possa pregustare la beatitudine della carità fraterna, così propria della vita consacrata e tanto necessaria nel mondo di oggi e nelle nostre comunità.

Quando si vive la vocazione nella fedeltà, la vita si fa annuncio dell’amore di Dio. Vi chiedo di non cessare di dare questa testimonianza. In questa Chiesa delle Nazarene Carmelitane Scalze mi permetto di ricordare le parole della Maestra di vita spirituale, santa Teresa di Gesù: «Se perdete la guida, che è il buon Gesù, non troverete la via». State sempre dietro a Lui. “Sì, padre, ma a volte Gesù finisce sul calvario”. Allora vacci pure tu, perché anche lì Lui ti aspetta, perché ti ama. «Perché il Signore stesso dice di essere la via; il Signore dice anche di essere la luce, e che nessuno può andare al Padre se non per mezzo di Lui».

Care sorelle, sappiate una cosa: la Chiesa non vi tollera, la Chiesa ha bisogno di voi! La Chiesa ha bisogno di voi. Con la vostra vita fedele siate fari e indicate Colui che è via, verità e vita, l’unico Signore che offre pienezza alla nostra esistenza e dà la vita in abbondanza.

Pregate per la Chiesa, pregate per i pastori, per i consacrati, per le famiglie, per quelli che soffrono, per quelli che fanno il male e distruggono tanta gente, per quelli che sfruttano i loro fratelli. E per favore, continuando con la lista dei peccatori, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

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PREGHIERA DAVANTI ALLE RELIQUIE DEI SANTI PERUVIANI
Basilica Cattedrale di San Giovanni Apostolo ed Evangelista (Lima)

Il Papa è arrivato nella cattedrale di San Juan Apóstol y Evangelista per la preghiera alle reliquie dei santi peruviani poco dopo le ore 10 locali (16 di Roma). Al suo arrivo Francesco, accompagnato dall’arcivescovo di Lima, card. Juan Luis Cipriani Thorne, è stato accolto dal Capitolo Metropolitano. Presenti in cattedrale circa 2.500 persone tra sacerdoti, religiosi, seminaristi, membri di movimenti ecclesiali e operatori di pastorale. Dopo il canto d’ingresso e un omaggio floreale da parte di una famiglia, il Papa si è raccolto in preghiera davanti alle reliquie dei Santi peruviani e ha pronunciato in spagnolo una preghiera.







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INCONTRO CON I VESCOVI
Palazzo Arcivescovile (Lima)

«Cari vescovi… ci tocca». Tocca imparare i linguaggi di chi si incontra, degli altri. Proprio come fece san Toribio di Mongrovejo, arcivescovo di Lima a cavallo tra Cinquecento e Seicento, esempio di pastore «di strada». E tra questi linguaggi da imparare c’è anche quello «totalmente nuovo com’è quello digitale, per fare un esempio». Bisogna «conoscere il linguaggio attuale dei nostri giovani, delle nostre famiglie, dei bambini...». Papa Francesco, sul cui volto del Papa sono visibili i segni della stanchezza per il viaggio, incontra i vescovi del Perù riuniti nella cappella dell’arcivescovado di Lima e indica loro come modello quello di Toribio, rappresentato nei ritratti come un “nuovo Mosè”. «Questa bella immagine mi offre lo spunto per incentrare su di essa la mia riflessione con voi. San Toribio, l’uomo che ha saputo arrivare all’altra sponda». 



Al termine del suo discorso, il Papa ha chiesto ai vescovi se qualcuno avesse delle domande da porgli. Ha quindi dialogato per circa 35 minuti con i presuli su temi come le popolazioni amazzoniche, il futuro dei giovani, la corruzione economica e politica in Sudamerica, le emergenze della pastorale, prima di recarsi nella Plaza de Armas per la preghiera dell'Angelus. 

In particolare il Pontefice ha affrontato il problema del diaconato che, ha detto, «è una delle cose a cui dobbiamo pensare seriamente, ma dato che avremo un Sinodo, il Papa non può pronunciarsi prima». Soprattutto Francesco ha esortato alla paternità, una «grazia» che «tutti abbiamo con il sacramento dell’ordine». «Senza paternità i presbiteri cadono o mentono al vescovo», ha ammonito; invece, instaurando «una relazione padre figlio», un prete accetterebbe di buon grado anche un rimprovero: «Lo accetto perché lo sento come padre». «È vero, ci sono situazioni in cui bisogna rispondere attraverso misure disciplinari. Ma mai prendere una decisione irreversibile su un sacerdote, senza un processo prima», ha raccomandato Bergoglio, «perché il padre deve essere giusto. Non si deve dare un calcio e mandarlo via. Sempre un processo. Però da padre-uomo a figlio-uomo». 

Il Vescovo di Roma è poi tornato a denunciare gli abusi che subisce oggi l’Amazzonia come se fosse «una terra di nessuno e tutti gli stranieri pensano di poter venire a rubare». E, rispondendo alla domanda di un vescovo, ha ribadito: «Credo che la politica sia in crisi, molto in crisi in America Latina, a causa della corruzione». Secondo il Papa, ad aggravare il problema c'è il fatto che «l'opposizione accusa il governo di corruzione, e ha ragione a farlo. Ma quando poi si scambiano i ruoli, chi accusava finisce sotto accusa e anche in questo caso a ragione»: Una situazione che Francesco ha definito «molto molto difficile»; tuttavia, ha aggiunto, «la rinuncia all'impegno non è la soluzione, finiamo in mano a persone che solo intendono il linguaggio della corruzione e così siamo fritti». Il Papa ha citato anche la droga e i paradisi fiscali come volti diversi dello stesso problema: «La politica è malata, molto malata, anche se ci sono eccezioni, ma è più malata che sana».

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