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giovedì 18 gennaio 2018

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CILE E PERÙ 15-22 GENNAIO 2018 / 5 - Incontro con i Religiosi: "Il Popolo di Dio non aspetta né ha bisogno di noi come supereroi, aspetta pastori, uomini e donne consacrati, che conoscano la compassione, che sappiano tendere una mano, che sappiano fermarsi davanti a chi è caduto e, come Gesù, aiutino ad uscire da quel giro vizioso di “masticare” la desolazione che avvelena l’anima." - Incontro con i Vescovi: "La missione è di tutta la Chiesa e non del prete o del vescovo... Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo."


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CILE E PERÙ
15-22 GENNAIO 2018


Martedì 16 gennaio 2018
SANTIAGO

17.15Incontro con i Sacerdoti, Religiosi/e, Consacrati e Seminaristi nella Cattedrale di Santiago
18.15Incontro con i Vescovi nella Sagrestia della Cattedrale
19.15Visita privata al Santuario di San Alberto Hurtado, SJ
Incontro privato con i Sacerdoti della Compagnia di Gesù

INCONTRO CON SACERDOTI, RELIGIOSI E RELIGIOSE, CONSACRATI E SEMINARISTI
Cattedrale di Santiago del Cile


Immensa la gioia con cui Papa Francesco è stato accolto nella Cattedrale di Santiago per l’incontro con i sacerdoti, i consacrati e i seminaristi. Un’“alegria”, come si dice in spagnolo, espressa da quel “L’abbiamo aspettata tanto” del card. arcivescovo di Santiago, Ricardo Ezzati, nel Saluto d’inizio.





  
 Pietro - Comunità
E’ con il binomio “Pietro - Comunità” declinato secondo tre esperienze fondamentali, che Papa Francesco inizia il suo discorso ai sacerdoti, consacrati e seminaristi: Gioco con questo binomio Pietro-comunità poiché l’esperienza degli apostoli ha sempre questo duplice aspetto, quello personale e quello comunitario. Vanno insieme e non li possiamo separare. Siamo, sì, chiamati individualmente, ma sempre ad esser parte di un gruppo più grande. Non esiste il “selfie vocazionale”. La vocazione esige che la foto te la scatti un altro: che possiamo farci?

Pietro abbattuto - la Comunità abbattuta
Il Papa ricompone la scena, presentata dai Vangeli, in cui i discepoli ancora non sono consapevoli della Resurrezione di Gesù: I discepoli ritornano alla loro terra. Vanno a fare quello che sapevano fare: pescare. Non c’erano tutti, solo alcuni. Divisi? Frammentati? Non lo sappiamo. Quello che ci dice la Scrittura è che quelli che c’erano non hanno pescato niente. Hanno le reti vuote.

Il turbamento per la morte di Gesù
Parallelamente, spiega il Papa, c’è il grande turbamento interiore dei discepoli per “la morte del loro Maestro”: Pietro lo aveva rinnegato, Giuda lo aveva tradito, gli altri erano fuggiti o si erano nascosti. Solo un pugno di donne e il discepolo amato erano rimasti. Sono le ore dello smarrimento e del turbamento nella vita del discepolo.

La zizzania del male
Da qui e citando le parole dell’Arcivescovo di Santiago del Cile, Francesco fa riferimento agli scandali di cui si sono macchiati alcuni presbiteri e si cala nella sofferenza delle vittime, delle loro famiglie e nel dolore di quella parte di comunità ecclesiale sempre fedele: Conosco il dolore che hanno significato i casi di abusi contro minori e seguo con attenzione quanto fate per superare questo grave e doloroso male. Dolore per il danno e la sofferenza delle vittime e delle loro famiglie, che hanno visto tradita la fiducia che avevano posto nei ministri della Chiesa. Dolore per la sofferenza delle comunità ecclesiali; e dolore anche per voi, fratelli, che oltre alla fatica della dedizione, avete vissuto il danno provocato dal sospetto e dalla messa in discussione, che in alcuni o in molti può aver insinuato il dubbio, la paura e la sfiducia.

Il cambiamento delle società
Lo sguardo del Papa si apre a questo punto anche alla realtà del Cile, ai cambiamenti del Paese e alle sfide di fronte alle quali a volte ci si chiude, incapaci di affrontarle e dimenticando che il Vangelo è un cammino di conversione per tutti: Ci dimentichiamo che la terra promessa sta davanti. Che la promessa è di ieri, ma per domani. E possiamo cadere nella tentazione di chiuderci e isolarci per difendere le nostre posizioni che finiscono per essere nient’altro che bei monologhi. E’ a questo punto che Francesco chiude la prima riflessione con una domanda: Cosa è rimasto di quei discepoli forti, coraggiosi, vivaci, che si sentivano scelti e avevano lasciato tutto per seguire Gesù?

Pietro perdonato - La Comunità perdonata
Il Papa, ripercorrendo la vicenda di Pietro, "il leader" "tanto peccatore quanto gli altri" e che “deluse Colui al quale aveva giurato protezione”, spiega come e perché viene interrogato da Cristo “con una domanda di amore”: Mi ami? Gesù non usa né il rimprovero né la condanna. L’unica cosa che vuole fare è salvare Pietro. Lo vuole salvare dal pericolo di restare rinchiuso nel suo peccato, di restare a ‘masticare’ la desolazione frutto del suo limite.

Fare memoria della misericordia di Dio
Gesù, prosegue Papa Francesco, con quella domanda vuole aiutare l’apostolo a discernere e a trovare quella “risposta realistica” che “lo fa diventare definitivamente suo apostolo”. Citando le Scritture: “Un cosa sola: ci è stata usata misericordia”, l’invito è dunque quello di fare memoria: Siamo inviati con la consapevolezza di essere uomini e donne perdonati. E questa è la fonte della nostra gioia. Siamo consacrati, pastori nello stile di Gesù ferito, morto e risorto. Il consacrato è colui e colei che incontra nelle proprie ferite i segni della Risurrezione; che riesce a vedere nelle ferite del mondo la forza della Risurrezione; che, come Gesù, non va incontro ai fratelli con il rimprovero e la condanna. 

Non nascondere le piaghe
Ed è proprio nella consapevolezza di essere piagati che, sottolinea Papa Francesco, “ci si libera dal diventare autoreferenziali, di credersi superiori”: Ci libera da quella tendenza 'prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato'. “In Gesù - aggiunge - le nostre piaghe sono risorte. Ci rendono solidali; ci aiutano a distruggere i muri che ci imprigionano”. Proseguendo con una frase di San Alberto Hurtado, chiosa concludendo la seconda riflessione: Il Popolo di Dio non aspetta né ha bisogno di supereroi, aspetta pastori, consacrati, che conoscano la compassione, che sappiano tendere una mano, che sappiano fermarsi davanti a chi è caduto e, come Gesù, aiutino ad uscire da quel giro vizioso di “masticare” la desolazione che avvelena l’anima.

Pietro trasfigurato - La Comunità trasfigurata
Conoscere Pietro abbattuto per conoscere Pietro trasfigurato è l’invito a passare dall’essere una Chiesa di abbattuti desolati a una Chiesa servitrice di tanti abbattuti che vivono accanto a noi. Ma perché il Regno di Dio sia presente, prosegue il Papa, è necessario “che il povero, il denudato, il malato, il carcerato, il senzatetto” abbiano “la dignità di sedersi alle nostre tavole, di sentirsi ‘a casa’ tra noi, di sentirsi in famiglia. “Rinnovare la profezia”, dunque, “è rinnovare il nostro impegno a non aspettare un mondo ideale” perché “non si amano le situazioni, né le comunità ideali, si amano le persone”.

Il riconoscimento dei propri errori
Prima di salutare i presenti, Francesco ribadisce come nel riconoscimento dei propri errori e limiti, il Signore rinnovi i cuori e le comunità ecclesiastiche anche quando attraversano tempi oscuri. Tornare alla fonte del Vangelo, aggiunge, è quindi la via maestra per rinascere. Sul modello del Cardinal Raúl Silva Henríquez, e con le parole di una preghiera molto amata, il Papa conclude invitando l’intera assemblea a preparare nel cuore “una specie di testamento spirituale” e a rinnovare il proprio sì a Dio: Vogliamo rinnovare il nostro “sì”, ma in modo realistico, perché basato sullo sguardo di Gesù. Vi invito quando tornate a casa a preparare nel vostro cuore una specie di testamento spirituale, sul modello di quello del Cardinal Raúl Silva Henríquez. Quella bella preghiera che inizia dicendo: ‘La Chiesa che io amo è la Santa Chiesa di tutti i giorni… la tua, la mia, la Santa Chiesa di tutti i giorni…’
(fonte: Radio Vaticana)


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INCONTRO CON I VESCOVI
Sagrestia della Cattedrale di Santiago del Cile

È cominciato con un saluto a mons. Bernardino Piñera Carvallo, che quest’anno compirà 60 anni di episcopato, il discorso ai vescovi, una cinquantina, incontrati nella sagrestia della cattedrale di Santiago subito dopo il clero locale.



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 Il testo integrale del discorso

Cari fratelli,

ringrazio per le parole che il Presidente della Conferenza Episcopale mi ha rivolto a nome di tutti voi.

Prima di tutto desidero salutare Mons. Bernardino Piñera Carvallo, che quest’anno compirà 60 anni di episcopato (è il Vescovo più anziano del mondo, tanto in età come in anni di episcopato) e che ha vissuto quattro sessioni del Concilio Vaticano II. Bella memoria vivente!

Tra poco si compirà un anno dalla vostra visita ad limina; adesso tocca a me venirvi a visitare e sono contento che questo incontro avvenga dopo quello che ho avuto con il “mondo consacrato”. Poiché uno dei nostri compiti principali consiste proprio nello stare vicini ai nostri consacrati, ai nostri presbiteri. Se il pastore si disperde, anche le pecore si disperderanno e saranno alla portata di qualsiasi lupo. Fratelli, la paternità del vescovo con i suoi sacerdoti, col suo presbiterio! Una paternità che non è né paternalismo né abuso di autorità. E’ un dono da chiedere. State vicini ai vostri sacerdoti nello stile di San Giuseppe. Una paternità che aiuta a crescere e a sviluppare i carismi che lo Spirito ha voluto effondere sui vostri rispettivi presbitèri.

So che eravamo rimasti d’accordo per usare poco tempo perché già nei colloqui delle due lunghe sessioni della visita ad limina abbiamo toccato molti temi. Perciò in questo “saluto” mi piacerebbe riprendere qualche punto dell’incontro che abbiamo avuto a Roma, e lo potrei riassumere nella seguente frase: la coscienza di essere popolo, di essere Popolo di Dio.

Uno dei problemi che affrontano oggigiorno le nostre società è il sentimento di essere orfani, cioè di non appartenere a nessuno. Questo sentire “postmoderno” può penetrare in noi e nel nostro clero; allora incominciamo a pensare che non apparteniamo a nessuno, dimentichiamo che siamo parte del santo Popolo fedele di Dio e che la Chiesa non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi. Non possiamo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere Popolo. Dimenticarci di questo – come mi esprimevo rivolgendomi alla Commissione per l’America Latina – «comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato». La mancanza di consapevolezza di appartenere al Popolo fedele di Dio come servitori, e non come padroni, ci può portare a una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere: il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta.

La mancanza di consapevolezza del fatto che la missione è di tutta la Chiesa e non del prete o del vescovo limita l’orizzonte e, quello che è peggio, limita tutte le iniziative che lo Spirito può suscitare in mezzo a noi. Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo. «Il clericalismo lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo a poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il Popolo fedele di Dio (cfr Lumen gentium, 9-14) e non solo a pochi eletti e illuminati».

Vigiliamo, per favore, contro questa tentazione, specialmente nei seminari e in tutto il processo formativo. Vi confesso, mi preoccupa la formazione dei seminaristi: che siano pastori al servizio del Popolo di Dio; come dev’essere un pastore, con la dottrina, con la disciplina, con i Sacramenti, con la vicinanza, con le opere di carità, ma che abbiano questa coscienza di Popolo. I seminari devono porre l’accento sul fatto che i futuri sacerdoti siano capaci di servire il santo Popolo fedele di Dio, riconoscendo la diversità di culture e rinunciando alla tentazione di qualsiasi forma di clericalismo. Il sacerdote è ministro di Cristo, il quale è il protagonista che si rende presente in tutto il Popolo di Dio. I sacerdoti di domani devono formarsi guardando al domani: il loro ministero si svilupperà in un mondo secolarizzato e, pertanto, chiede a noi pastori di discernere come prepararli a svolgere la loro missione in questo scenario concreto e non nei nostri “mondi o stati ideali”. Una missione che avviene in unione fraterna con tutto il Popolo di Dio. Gomito a gomito, dando impulso e stimolando il laicato in un clima di discernimento e sinodalità, due caratteristiche essenziali del sacerdote di domani. No al clericalismo e a mondi ideali che entrano solo nei nostri schemi ma che non toccano la vita di nessuno.

E qui chiedere allo Spirito Santo il dono di sognare; per favore, non smettete di sognare, sognare e lavorare per una opzione missionaria e profetica che sia capace di trasformare tutto, affinché le abitudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale diventino strumenti adatti per l’evangelizzazione del Cile più che per un’autoconservazione ecclesiastica. Non abbiamo paura di spogliarci di ciò che ci allontana dal mandato missionario. Fratelli, era questo che volevo dirvi come riassunto delle cose principali di cui abbiamo parlato nel corso delle visite ad limina. Affidiamoci alla protezione di Maria, Madre del Cile. Preghiamo insieme per i nostri presbiteri, per i nostri consacrati; preghiamo per il santo Popolo fedele di Dio, del quale facciamo parte. Grazie!

Guarda il video integrale dell'incontro


INCONTRO PRIVATO CON SACERDOTI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
E VISITA PRIVATA AL SANTUARIO SAN ALBERTO HURTADO

Accolto da 90 gesuiti del Cile, Papa Francesco ha visitato privatamente nel tardo pomeriggio il santuario di San Alberto Hurtado a Santiago, ultimo appuntamento di questa sua prima giornata nella capitale cilena. Bergoglio si è intrattenuto per un colloquio privato con i confratelli, poi ha visitato il memoriale dedicato al religioso della Compagnia di Gesù vissuto nella prima metà del Novecento, fondatore degli “Hogar di Cristo”, le case di accoglienza per gli emarginati. 

Proprio 40 assistiti degli Hogar - tra cui alcuni disabili e immigrati - hanno atteso il Pontefice fuori dal santuario per un breve saluto ed uno scambio di doni. Il cappellano, padre Pablo Walker, S.I., ha presentato al Papa i volontari dicendo: «Lei ci ha detto che c'è una solidarietà speciale tra coloro che hanno sofferto, e qui abbiamo alcuni fratelli che per diversi motivi hanno esercitato quella solidarietà perché hanno sofferto in qualche modo la povertà o l’esclusione». 

Quindi una volontaria, Liliana López, ha riportato davanti al Papa la sua personale testimonianza raccontando che da dieci anni, a Puente Alto, offrono un piatto caldo ad oltre 100 persone che non sanno altrimenti dove mangiare: «Per noi la solidarietà - ha spiegato - non significa solo dare qualcosa di materiale a chi lo necessita, ma anche ascoltare e accompagnare. Perché, molte volte, un abbraccio è più utile di dare qualcosa». 

A Francesco sono stati offerti alcuni dolci locali e il mate (tipica bevanda argentina, ndr) che ha benedetto con una preghiera spontanea: «Il Signore benedica questo cibo che condividiamo e che è stato preparato da voi stesso. Benedica le mani che l’hanno preparato, le mani che lo condividono e le mani che lo ricevono. Benedica il Signore il cuore di tutti noi. E che questa condivisione ci insegni a condividere il cammino, a condividere la vita e a condividere il Cielo, quando sarà il momento. Grazie». Il Papa ha poi scherzato: «Occhio, che nella benedizione non ho chiesto che non faccia male al fegato, perchè ha un ottimo profumo!», concludendo l’incontro con la recita del Padre Nostro. 

Subito dopo il Pontefice ha visitato il complesso dedicato al Santo cileno, morto a soli 51 anni a causa di una grave malattia, beatificato da Giovanni Paolo II il 14 ottobre 1994 e canonizzato da Benedetto XVI il 23 ottobre 2005. Il santuario custodisce numerosi oggetti di uso quotidiano del religioso, tra cui la famosa «camioneta verde», il furgoncino Ford con cui portava aiuto ai poveri della città. Un modellino della vettura è stato regalato al Papa da una giornalista di Cnn Chile durante il volo di andata da Roma. 

Al santuario, Francesco ha infine lasciato in dono un quadro di Gesù Misericordioso dipinto da Terezia Sedlakova, chiaramente ispirato alla nota immagine di Suor Maria Faustina Kowalska.



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