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giovedì 11 gennaio 2018

L’amore come risposta alla crisi di Raniero La Valle

L’amore come risposta alla crisi 
di Raniero La Valle

Testo della relazione su 
“L’amore come risposta alla crisi”
tenuta da Raniero La Valle
su invito di “Ore undici” all’incontro 
svoltosi a Roma il 6 gennaio sul tema 
“L’amore crea”. 



Ringrazio “ore 11” dell’invito e del tema che mi avete proposto. In effetti questa è la tesi della mia vita: l’amore come risposta alla crisi. Ed è proprio “la tesi”: non è un’ipotesi, nel senso pragmatico in cui i cattolici liberali dell’ 800 parlavano di tesi ed ipotesi per stemperare un po’ la rigidità della tesi intransigente. 
L’amore come risposta alla crisi non è per me un’ipotesi, è la tesi della mia vita. Ma se l’amore è la tesi, se è la risposta alla sfida stessa della vita, allora deve essere una cosa molto seria, non può essere solo una cosa romantica, un’espressione di buoni sentimenti; deve essere qualcosa che ha a che fare con la struttura dell’esistenza e dell’essere. Ora, che ciò possa essere vero per la vita personale, per la storia singolare di ciascuno, molti sono disposti a riconoscerlo, soprattutto in ambito cristiano: l’amore è sì difficile, doloroso, ma nella vita personale si può vivere d’amore, si possono dare risposte d’amore. Questo fa parte di una diffusa convinzione cristiana
L’amore come problema politico.
Ma che l’amore possa essere la struttura della vita pubblica, la risposta ai problemi della vita collettiva, il criterio della storia, questo non è creduto da nessuno. Anzi, al contrario, il criterio del politico, cioè della vita organizzata degli uomini e delle donne insieme, è stato identificato in Occidente nel rapporto tra amico e nemico; e questo non solo nella dottrina, ma nella pratica della gestione politica, nella definizione del compito stesso della politica: nel nuovo Modello di difesa italiano, ad esempio, varato dal governo nel 1991, dopo la rimozione del muro di Berlino, dal momento che non c’era più il comunismo come nemico, si programmò che il nuovo nemico fosse l’Islam, prefigurando un rapporto tra Islam e Occidente sul modello del conflitto tra Israele e il mondo ebraico da una parte, e il mondo arabo e palestinese dall’altra. E al posto della difesa sulla soglia di Gorizia, si istituì la cosiddetta “difesa avanzata”, fuori confine; e se oggi torniamo in Africa con l’esercito per fermare i profughi, è perché allora si adottò quel modello. Anche le leggi elettorali seccamente bipolari e maggioritarie incorporano, magari inconsciamente, il criterio della politica intesa come una competizione tra amico e nemico: tutto il ceto sociale amico da una parte, tutto il ceto nemico dall’altra. L’amore come criterio del politico è dunque una proposta del tutto estranea all’Occidente; una fantasia di quelle che a sentirle avanzare ti dicono: di questo ci parlerai un’altra volta, come i greci nell’areopago di Atene. E se il cristianesimo ha come suo precetto più alto l’amore dei nemici, il cattolico Carl Schmitt, che è stato il grande teorico di questa idea della politica, dice che esso si riferisce al nemico privato, l’inimicus, che si dovrebbe amare, ma non al nemico pubblico, l’ hostis; questo si può non amare, si può odiare, si può annientare. Dunque, che l’amore possa essere una risposta alla crisi pubblica, politica, è un problema molto serio. Dovendo venire a parlare con voi di questo, ho ricercato un mio discorso di qualche decennio fa, di quando facevo politica in Parlamento, che era intitolato “L’amore come problema politico”, forse arieggiando il titolo del libro di Peterson, “Il monoteismo come problema politico”. Ma purtroppo non l’ho trovato. Invece ho trovato un altro discorso del 1989, attinente al nostro tema, che feci a Spello in una celebrazione del primo anniversario della morte di Carlo Carretto, promossa dal Comune. Ho poi ripreso quel ricordo di Carretto nel libro “Prima che l’amore finisca”, pubblicato nel 2003. La tesi di quel libro, uscito dopo le Torri Gemelle, era che la devastazione prodotta dalla vecchia politica, che con la guerra del Golfo si era riappropriata dello strumento della guerra, stava portando il mondo alla rovina; però restava una speranza che veniva dal fatto che molto amore era stato sparso sulla terra, come dimostravano le straordinarie figure del 900 che erano rievocate nel libro, tra cui c’era appunto Carlo Carretto, oltre a Balducci, Turoldo, padre Benedetto Calati, Ivan Illich, papa Giovanni e così via. Però, e questo era il messaggio del libro, bisognava cambiare le cose prima che l’amore finisse – perché anche l’amore può finire o entrare in regime di scarsità -; prima che finisse bisognava cambiare il corso della storia, bisognava prendere un’altra strada prima che fosse troppo tardi, per impedire che la storia stessa giungesse alla fine. 
“L’amore è finito” 
Quel libro fu venduto più degli altri, sicché quando poi, qualche anno fa, chiesi all’editore se ne aveva ancora delle copie, mi rispose Cristina Palomba, che conoscevo bene perché era stata lei che ne aveva curato l’edizione, scrivendomi lapidariamente: “L’amore è finito”. Mi parve, nella sua intenzione, che la notizia non riguardasse solo il magazzino. Fuor di metafora, era proprio l’amore che sembrava finito: la crisi mondiale si era andata aggravando sempre più, la politica italiana era a pezzi, la Chiesa, 50 anni dopo il Concilio, sembrava in stato di glaciazione, il terrorismo imperversava, la guerra perpetua inaugurata da Bush continuava, Palestina e Medio Oriente stavano sui carboni ardenti pronti ad esplodere, ed era cominciato il grande esodo di profughi, perseguitati, affamati in cerca di un posto migliore per vivere, barconi interi di migranti naufragavano nel Mediterraneo, senza che nessuno se ne desse cura. È in quel momento preciso che arriva papa Francesco. 
La variante introdotta da papa Francesco 
E la prima cosa che fa, dice che Dio è misericordia. La seconda cosa che fa, va a Lampedusa. La terza cosa che fa, ferma la guerra già pronta contro la Siria. La quarta cosa che fa va a Cagliari a dire ai lavoratori di non rassegnarsi, ma di continuare a lottare per il lavoro, che quella è la loro dignità. Ai poveri, ma anche ai ricchi, dice che questa economia uccide, e che bisogna cambiarla. E infine dichiara che il Dio della guerra non esiste, e perciò mai più, mai più alcuna guerra potrà essere intesa o potrà essere chiamata guerra di religione. L’evento di papa Francesco e della sua Chiesa ha pertanto rimesso in gioco l’amore, appena in tempo prima che l’opera di demolizione si compisse. Ha messo l’amore come argine, come freno, come porta tagliafuoco allo scatenarsi della crisi che potrebbe giungere a cancellare il diritto e la stessa vita umana sulla terra
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