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mercoledì 3 gennaio 2018

“La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male da qualunque parte venga” - Discussa omelia del card. Lercaro nella prima Giornata della Pace (01/01/1968) - Testo e audio

“La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male
da qualunque parte venga” 

Quell'omelia del cardinale Giacomo Lercaro, cinquant'anni fa, contro i bombardamenti in Vietnam


È stata una delle omelie più dibattute della seconda metà del ‘900. A stenderne la minuta Giuseppe Dossetti, allora provicario della diocesi di Bologna, su richiesta dell’arcivescovo cardinale Giacomo Lercaro che la pronunciò in cattedrale l’1 gennaio ’68, in occasione della prima “Giornata della Pace” voluta da Paolo VI. Un’omelia contro la guerra, passata alla storia come documento profetico cristallizzato dalla memoria collettiva nella richiesta di cessazione dei bombardamenti americani in Vietnam. 

Un testo che solo più tardi si sarebbe cominciato a studiare anche nel legame diretto, sebbene non esclusivo, con diversi fatti avvenuti a Roma e Bologna nelle settimane precedenti (se ne sono occupati, tra gli altri, gli storici Giuseppe Alberigo, Massimo Toschi, Giovanni Miccoli, Giuseppe Battelli, e pochi altri). Un testo infatti rimosso immediatamente (se si esclude un pamphlet di don Lorenzo Bedeschi), assente persino nel volume promosso dalla Santa Sede e stampato dalla Tipografia Poliglotta Vaticana che subito censì le celebrazioni di quella prima “Giornata della Pace”, e la cui memoria restò confinata fra le persone che vissero con sofferenza l'improvvisa conclusione dell’episcopato di Lercaro, arrivata di lì a poche settimane. 

Un testo che, ora, cinquant’anni dopo, torna come fu pronunciato dopo che - chiusa in archivio per mezzo secolo - è riemersa la registrazione fatta dall’altoparlante che si trovava nella sagrestia della cattedrale. Da domani, 1 gennaio 2018, l'inedita registrazione si potrà ascoltare sul sito www.dossetti.eu (la redazione è composta da Nicola Apano, Paolo Barabino, Enrico Galavotti e Daniele Binda) dove appare una nota introduttiva all'omelia. 

Vi si legge tra l'altro: «È un nuovo tassello che si aggiunge alla ricostruzione della vicenda di quella stagione della storia della Chiesa di Bologna che qualcuno pensava di devitalizzare o occultare, scordando quella massima che Papa Giovanni ripeteva spesso: e cioè che “la storia tutto vela e tutto svela”. Certamente resta ancora molto da capire intorno a questa omelia, che sarà anche oggetto di una prossima pubblicazione commentata a cura dell’editore Zikkaron, ma ora almeno possiamo restituire a Lercaro la sua voce e, tramite il web, fare in modo che il messaggio che lanciò il 1° gennaio 1968 risuoni ancora in un mondo che, purtroppo, ha sempre più bisogno di cristiani che rinnovino l’annuncio del vangelo della pace». 

Ma procediamo per gradi. 

Come si è potuto ricostruire, l’idea di una “Giornata della Pace” era venuta a Paolo VI il 19 agosto 1967, ma poi era stata rinviata per le sue precarie condizioni di salute venendo ripresa all'inizio del dicembre successivo. Tutt’altro che inedito, l’impegno montiniano in favore della pace, si manifestava con un messaggio datato 8 dicembre ’67 (legato alla figura di Maria) e reso noto il 16 dicembre con una proposta a «tutti gli uomini di buona volontà» mirata a incontrare l'adesione di tutti gli amici della pace («Noi pensiamo che la proposta interpreti le aspirazioni dei popoli, dei loro governanti, degli enti internazionali [...], delle istituzioni religiose [...], dei movimenti culturali, politici e sociali che della pace fanno il loro ideale»). 

Il rinvio però, aveva avuto come conseguenza il fatto che il messaggio, già concepito in un quadro di tensioni internazionali, venisse pubblicato in una situazione ancor più difficile, dal momento che il conflitto in Vietnam si era acuito fortemente proprio in quel dicembre 1967, in un crescendo d’interventi - specie del Segretario generale dell'Onu U Thant - per fermare il conflitto. Secondo alcuni poteva esserci il rischio che l'appello alla pace di Paolo VI venisse frainteso dall'una o dall'altra delle parti in guerra, rivelandosi inopportuno in quel frangente della fase bellica, in un momento in cui anche la diplomazia vaticana accompagnata da mirati e neutri interventi de L’Osservatore Romano faceva il suo corso. Non senza qualche concessione di Paolo VI alle posizioni americane, con il presidente Lyndon Johnson - ricevuto in udienza dal Papa la sera del 23 dicembre '67 - a ribadirgli che la sospensione unilaterale delle operazioni militari era impraticabile e a chiedergli di attivarsi per aprire trattative informali tra i rappresentanti del Fronte di Liberazione nazionale e i vertici cattolici del governo sudvietnamita. 

In ogni caso, in questo contesto delicatissimo, mentre l'1 gennaio ‘68 a Roma, la linea ufficiale e quella della diplomazia segreta sfociavano nelle parole con cui il Papa in San Pietro rinnovava l’invito alle «parti in conflitto» a porre «tregua sincera e durevole alla lotta, tanto grave e spietata», a Bologna, Lercaro, scrutata la sua coscienza, assumeva una forte presa di posizione contro la guerra del Vietnam mettendo da parte i prudenti tatticismi che avevano impedito sino a quel momento di denunciare gli errori commessi dagli Stati Uniti. Era stato il suo modo, nient'affatto formale, di dare senso a quella “Giornata di pace”, deciso a dare consistenza al tanto proclamato Vangelo della pace. 

Lercaro era ben consapevole dei costi del suo intervento. Non a caso disse: «Il profeta può incontrare dissensi e rifiuti. Anzi è normale che, almeno in un primo momento, questo accada: ma se ha parlato non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, troverà più tardi il riconoscimento di tutti». E, ancora: «È meglio rischiare la critica immediata di alcuni che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere alla fine rimproverati da tutti di non aver saputo – quando c’era ancora il tempo di farlo – contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio». 

Così scegliendo di andare sino in fondo e dichiarando solennemente - con lo scandalo della guerra - l’impossibilità, per i cristiani, di patteggiare con quanti non volevano recedere da progetti di morte, non si trincerò dietro a giri di parole. Affermò dunque: «La Chiesa non deve far mancare il suo giudizio dirimente – non politico, non culturale, ma puramente religioso – sui maggiori comportamenti collettivi e su quelle decisioni supreme dei responsabili del mondo, che possano coinvolgere tutti in situazioni sempre più prossime alla guerra generale e che possano, a un tempo, confondere le coscienze proponendo false interpretazioni della pace o false giustificazioni della guerra e dei suoi metodi più indiscriminatamente distruttivi». E ancora: «Certo la Chiesa non può né deve assidersi arbitra delle contese politiche fra le nazioni [...]. Ma la Chiesa non può essere neutrale, di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia; cioè il parlare in nome di Dio, la parola di Dio. Pertanto, nella umiltà più sincera, nella consapevolezza degli errori commessi nella sua politica temporale del passato, nella solidarietà più amante e più sofferta con tutte le nazioni del mondo, deve tuttavia portare su di esse il suo giudizio, deve – secondo la parola di Isaia ripresa dall’evangelista san Matteo (Mt 12,18) - annunziare il giudizio alle nazioni». 

Poco dopo l'affondo: «La dottrina di pace della Chiesa […] per l’intrinseca forza della sua coerenza, non può non portare oggi a un giudizio sulla precisa questione dirimente […]. Intendo riferirmi, come voi ben capite, alle insistenze che si fanno in tutto il mondo sempre più corali – e delle quali si è fatto eco il Papa nel recentissimo discorso ai cardinali – perché l’America (al di là di ogni questione di prestigio e di ogni giustificazione strategica) si determini a desistere dai bombardamenti aerei sul Vietnam del Nord. Il Santo Padre ha detto testualmente: “Molte voci ci giungono invitandoci ad esortare una parte belligerante a sospendere i bombardamenti. Noi lo abbiamo fatto e lo facciamo ancora... Ma contemporaneamente invitiamo di nuovo anche l’altra parte belligerante... a dare un segno di seria volontà di pace”». Continuava Lercaro: «La Chiesa, questo lo deve dire, anche se a qualcuno dispiacesse. Lo deve dire perché, a questo punto, è il caso di coscienza immediato di oggi, è il primo nodo da cui possono dipendere le svolte più fauste o più tragiche». 

Cosa accadde nelle settimane successive al pronunciamento di questa omelia è noto. Si legge sul sito www.dossetti.eu: «Il cardinale Lercaro, a dispetto delle garanzie offerte poco prima da Paolo VI all’arcivescovo di Bologna, fu rimosso dalla sua cattedra e per la diocesi di Bologna iniziò una fase di “normalizzazione” che durò decenni. Si rimuoveva non solo o non tanto un uomo o il suo ricordo, ma soprattutto il suo magistero. C’è voluto un Papa, Francesco, per restituire a Bologna e al mondo il ricordo dell’omelia di Lercaro del 1° gennaio e per ribadire, citando proprio quell’omelia, che “la Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia” ( Incontro con gli studenti e il mondo accademico, 1° ottobre 2017)». 

Di fatto, già il 27 gennaio un inviato del Vaticano a Bologna, monsignor Ernesto Civardi, comunicava a Lercaro il suo pensionamento e il 12 febbraio l'annuncio ufficiale del passaggio dei poteri ad Antonio Poma, l'arcivescovo vicario con diritto di successione. Dimissioni forzate, nonostante i tentativi di farle passare come spontanee. E qui basta rileggersi la lettera di Lercaro del 21 febbraio '68 all'arcivescovo di Colonia, il cardinale Frings: «Vostra Eminenza ha certamente compreso che sono stato rimosso dal governo della Diocesi. il motivo addotto nel comunicato de L’Osservatore Romano e nella lettera del cardinale Cicognani, e cioè le mie “cattive condizioni di salute”, è falso, come tutti possono constatare. Quanto all’“età avanzata”, nel settembre 1966 il Papa, respingendo le mie dimissioni, mi aveva detto che le dimissioni si rendono effettive a 80 anni; e, in questa visione, mi aveva, conforme a mia ripetuta domanda, esonerato dalla presidenza del “Consilium” [l’organismo deputato all'attuazione della riforma liturgica, ndr] e dato un coadiutore; perché, cioè, io potessi attendere più serenamente alla Diocesi. Improvvisamente il 27 gennaio scorso, venne da me il segretario della Congregazione Pro Episcopis e, in nome del Papa, mi comunicò che era venuto il momento di ritirarmi; e mi fece capire che ciò doveva farsi presto». «Non mi addusse alcun motivo», continua Lercaro, «ed io, a tutt’ora, non so affatto per quale ragione – unico fra tanti Vescovi - anziani come me e più di me, sano e in piena attività – sono rimosso dalla mia sede e lasciato senza alcun ufficio o compito nella chiesa». E così concludeva: «Il Santo Padre né mi ha chiamato (ben ché io fossi a Roma tutto ottobre, quasi tutto novembre e alcuni giorni anche in gennaio), né mi ha scritto una parola. Davanti a questo silenzio, che naturalmente, ha lasciato il campo a tutte le più varie interpretazioni della stampa – sembra a me dover rimanere in silenzio... : sono un uomo demolito». 

A mezzo secolo di distanza, nonostante la bibliografia sul tema (dove resta fondamentale il saggio di Battelli “Lercaro, Dossetti, la pace e il Vietnam, 1° gennaio 1968”, nel volume “Araldo del Vangelo. Studi sull'episcopato e sull'archivio di Giacomo Lercaro a Bologna”, curato da Nicla Buonasorte con Il Mulino nel 2004), i motivi di quella destituzione non sono ancora stati chiariti. Sino a che punto influì su di essa quell'omelia che di fatto mise un po' in imbarazzo Paolo VI? «Personalmente sono convinto che la cosa che più ha pesato nelle dimissioni di Lercaro è stato il suo atteggiamento sempre più freddo verso la Democrazia Cristiana e la contestuale distensione col Partito Comunista italiano… In Italia i vescovi che nel post Concilio sono stati rimossi o hanno lasciato lo hanno fatto per questo (Capovilla a Chieti e Baldassarri a Ravenna; più tardi i problemi che ebbe Pellegrino a Torino, ecc.); credo che l'omelia del 1° gennaio fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ma può darsi che io mi sbagli e che il Vietnam abbia pesato in un modo decisivo...», afferma lo storico Enrico Galavotti. 

Al tema, assente nella biografia ufficiale di Papa Montini pubblicata dalle Edizioni Studium o appena sfiorato in altri profili, dedicano qualcosa in più di fugaci cenni soprattutto due biografi di Paolo VI. «Parve allora che ci fosse stata una volontà “punitiva” di Paolo VI per la riforma della diocesi guidata dal vicario generale Dossetti, per le posizioni pacifiste di Lercaro, anche per i contrasti che si erano creati in merito alla gestione del giornale Avvenire»: tutti ambiti che avevano causato frizioni e opposizioni, ma una tale volontà non appare suffragata dalla documentazione», è la sintesi di Fulvio De Giorgi nel suo “Paolo VI. Il Papa del moderno” per Morcelliana del 2015. 

Mentre Andrea Tornielli nel suo “Paolo VI. L'audacia di un Papa”, apparso nel 2010 per Mondadori, dato conto di varie ipotesi che hanno collegato la rimozione al lavoro fatto alla presidenza del “Consilium”, o l'omelia dell'1 gennaio '68 ritenuta ben oltre la linea pontificia, o questioni finanziarie di cui si ritrova traccia in confidenze del cardinale Siri, così tira le somme: «Di certo la decisione del Pontefice, per certi versi clamorosa, sancisce che la linea del rinnovamento conciliare, in un periodo nel quale già erano emerse tensioni, abusi e spinte in avanti incontrollate, sarebbe dovuta avvenire all’interno di precisi binari. E si inserisce nel disegno montiniano per l’Italia, che intende dare un ruolo sempre maggiore alla Conferenza episcopale, riducendo i protagonismi dei singoli vescovi». 

Nello stesso volume, inoltre, si recuperano giudizi di collaboratori di Lercaro bene informati. Come il vescovo emerito di Ivrea già presidente di Pax Christi Luigi Bettazzi, allora suo ausiliare a Bologna (e presente ieri a Sotto il Monte come relatore al convegno preparatorio alla Marcia della Pace di fine anno) che ha affermato: «Credo che le sue dimissioni siano state un po’ forzate. Ma non solo, come si dice comunemente, per le sue posizioni contro la guerra in Vietnam. C’erano anche le preoccupazioni delle gerarchie, e di Poma stesso, per alcune scelte pastorali, anche, per esempio, per l’avventura delle nuove chiese...». O come lo stesso don Dossetti, citato dall'intervento nel libro curato da Alberigo con l'editore Marietti nel 1991 “Giacomo Lercaro. Vescovo della Chiesa di Dio”, nel quale pur propendendosi per varie concause don Giuseppe ritenne «non come unica causa, ma come goccia che ha fatto traboccare il vaso, il suo insegnamento sulla pace». 

Nel libretto di don Lorenzo Bedeschi “Il cardinale destituito”, apparso - per così dire a caldo - con Gribaudi già nel '68, in una nota introduttiva si legge che le «dimissioni» del cardinal Lercaro «comunque si interpretino, rappresentano uno dei “segni dei tempi” più significativi di certa cristianità postconciliare ed interessano tutta la Chiesa». Forse l'affermazione è un po' enfatica. Non lo è però se relazionata all'omelia che abbiamo qui ricordato. 

Se ne sta parlando qua e là in margine ad alcune iniziative in Italia per la nuova “Giornata della Pace”, anche grazie alla citazione che ne ha fatto Papa Francesco nella sua visita di quest'anno a Bologna. E proprio nella città felsinea domani pomeriggio, grazie al recupero della registrazione audio, oltre che sul sito dedicato a Dossetti, sarà ascoltata di nuovo, sotto la statua del Gigante, dai partecipanti alla Marcia della Pace di Capodanno - un appuntamento al quale hanno aderito una cinquantina di associazioni di fedi differenti e laiche - dopo la celebrazione eucaristica in San Pietro dell'arcivescovo Matteo Zuppi per la solennità di Maria Santissima Madre di Dio.
(fonte: Vatican Insider articolo di Marco Roncalli)




Omelia di S.E. mons. Lercaro:

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