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lunedì 16 ottobre 2017

Papa Francesco alla Fao nella Giornata mondiale dell’Alimentazione: «è troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore?»

«... mi pongo – e vi pongo – questa domanda: è troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia? ...»



Lunedì 16 ottobre alle 8.45 Papa Francesco si è recato in visita alla sede della Fao a Roma in occasione della celebrazione della Giornata mondiale dell’Alimentazione, quest’anno dedicata al tema: "Cambiare il futuro della migrazione. Investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale".


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Le parole di Papa Francesco alla Fao, 
una limpida testimonianza di perseveranza
di Damiano Serpi

Ascoltare le parole del discorso che il Santo Padre ha tenuto oggi davanti alla Fao, in occasione della Giornata mondiale della alimentazione, mi hanno fatto venire in mente una sola parola : perseveranza. Nulla di ciò che ha detto Papa Francesco era inedito rispetto al passato, proprio nulla. Non c’è stato alcun colpo di teatro o l’enunciazione di qualcosa di nuovo che potesse suscitare nuovi titoloni nei giornali se non la certosina costanza nel parlare di equità, di giustizia, di dignità umana e di rispetto del Creato. Ai più questa sembrerà una non notizia o qualcosa di esclusivamente ripetitivo tanto da poter restarne annoiati, delusi o diventare disattenti. Abituati come siamo a cibarci sempre più di notizie sensazionali e clamorose, potevamo essere portati a ritenere il discorso del Papa un semplice riassunto di ciò che ha più volte avuto modo di affermare con convinzione nelle sue tante omelie, discorsi ufficiali e encicliche. Una sorta di relazione di sintesi da esternare con compiutezza davanti ai diplomatici di una tra le più importanti agenzie Onu che si occupa di alimentazione e agricoltura. Quasi un appuntamento di routine annuale dove ascoltare le parole del Papa è doveroso quanto scontato per chi rappresenta le tante nazioni di questo pianeta Terra. Invece oggi c’era qualcosa di diverso che andava oltre le semplici parole di quel compiuto testo letto con grande capacità di trasporto. C’era la perseveranza costruttiva di chi non vuole né può arrendersi a quel “tanto non possiamo cambiare nulle e nulla cambierà” che offusca le decisioni di tanti e diventa l’alibi perfetto per chi vuole che nulla cambi per davvero. 
Papa Francesco, davanti alle molte difficoltà e complicanze che si moltiplicano colpevolmente anche, e soprattutto, a livello internazionale sulle problematiche mondiali più scottanti, non ha perso minimamente la speranza, la voglia di lottare e va avanti con insistenza in quel cammino che la Chiesa è sicura possa aiutare tutta l’umanità a superare ogni ostacolo. Non importa se altri hanno scelto strade diverse, se qualcuno ha deciso di fare marcia indietro o se qualcun altro vuole imporre una propria visione egoistica nel trattare i problemi comuni di tutti. Mentre si ascoltavano le parole del Papa sulle tante questioni ancora oggi aperte sembrava di poter sentire in sottofondo quel richiamo ad essere “protagonisti del proprio vivere quotidiano e non semplici spettatori seduti sulla propria poltrona di casa” che spesso la complessità dei problemi del mondo ci spinge ad evitare per semplice calcolo egoistico.
Le parole del Papa, sempre ricamate da quel genuino buon senso che i tanti improvvisati paladini del senso comune vogliono calpestare e schiacciare nel può buio angolo della nostra anima, vanno oltre l’enunciazione di semplici slogan o di principi universali a cui tutti dovremmo comunque aspirare e dare testimonianza nel nostro agire quotidiano. Quelle frasi sono quel collante di cui l’umanità tutta, sia che creda in Dio o che non si ponga questo problema, ha un disperato bisogno per uscire dall’apatia e dalla rassegnazione che sembrano voler dominare tutto. 
Il mondo, non quello sferico che gira attorno al sole ma quello fatto di uomini e donne con dei sentimenti e delle aspirazioni, sta pagando il prezzo più alto per una sfiducia generalizzata che, al posto di un sentimento di amore fraterno, genera sempre più cieche paure e sospinge a quell’isolamento calcolato ritenuto ultimo baluardo utile per non perdere le ricchezze materiali e gli agi che ci sembrano non solo una nostra proprietà inviolabile ma qualcosa di irrinunciabile da difendere ad ogni costo . In questo periodo più che nel passato l’uomo cerca di basare la sua felicità sul solo presente più prossimo e, incurante delle lezioni della storia, ha paura di investire o scommettere sul futuro perché convinto da oscure cassandre che così facendo rischia di perdere anche ciò di cui dispone nell’immediato.
È così per ogni cosa. Per l’ambiente che oggi si vuole sfruttare fino a renderlo completamente depauperato, per l’immigrazione che si respinge perché si teme possa privarci della apparente solidità economica attuale, per i trattati internazionali che si vogliono rimettere in discussione solo perché non portano risultati al presente che possiamo economizzare meglio e subito. L’uomo, nella sua realtà storica, è sempre stato proiettato più sul futuro che sul presente, anche nei tempi più bui e oscuri. Questo perché, spesso, il non avere nulla porta l’uomo a sognare, ad impegnarsi, a lavorare perché si migliori sempre più la propria condizione di vita e quella degli altri che ti accompagnano nella vita come comunità, popolo, nazione. Tuttavia oggi l’umanità è stata come infettata da un potente virus che, da un lato, ci spinge ad avere paura di tutto ciò che ipotizziamo potrebbe renderci meno felici e, dall’altro, ci vuole schiacciare solo verso il presente raccontandoci che “tanto nulla potremmo cambiare”. E come davanti ad ogni veleno che può ucciderci ci serve un potente antidoto capace di ridarci quella vitalità che stiamo perdendo poco a poco.
All’uomo è sempre piaciuto volare alto, a volte anche troppo. L’uomo non è un essere vivente creato per essere e restare solitario o per isolarsi dentro 4 mura invalicabili. Quando l’uomo ha seguito idee e filosofie di questo tipo l’umanità ha dovuto soffrire i suoi periodi peggiori. Basta leggere un qualsiasi sussidiario di storia per rendersene conto. Ciò nonostante oggi l’uomo ha paura di volgere lo sguardo anche solo oltre il proprio naso. Un po’ come Adamo ed Eva, che si sentirono nudi solo dopo aver mangiato del frutto proibito, oggi l’uomo ha quella grande paura, generata dalla vergogna, di dover ammettere di aver ipotecato troppo il futuro degli altri e crede di poter evitare ogni rimedio concentrandosi sul mantenere ciò che ha usurpato agli altri.
Nessuno, uomo o donna, può oggi contestare le parole del Papa sul bisogno di equità, sull’esigenza di difendere il Creato, sulla necessità di ridare dignità ad ogni essere umano. Non è questo in discussione. Ciò che manca veramente è la perseveranza nel crederci e nel lavorare perché questo avvenga nel concreto delle nostre vite e nella società degli Stati. Solo la perseveranza può liberarci dai falsi alibi che usiamo ogni giorno per scaricare su altri qualsiasi responsabilità su comportamenti che anche noi siamo complici nel perpetuare come singoli o come comunità. Ecco perché il discorso di oggi di Papa Francesco, pur non aggiungendo nulla a ciò che già sapevamo, è, per tutti noi, una lezione di vita importante che ci rende testimonianza concreta di ciò che la Chiesa, come comunità, ci chiede di fare. 
D'altronde tutto sta racchiuso nel dono che il Papa ha voluto portare alla Fao a ricordo della sua visita. Una scultura raffigurante Aylan, il piccolo profugo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum in Turchia nell’ottobre 2015. Forse molti di noi si erano già dimenticati del nome, delle immagini e della storia di quel bambino siriano. D'altronde cosa era per noi se uno dei tanti bambini che, a suo rischio e pericolo, aveva seguito i suoi genitori in fuga da una delle tante guerre disseminate nel globo ? Invece il Papa e la Chiesa non si sono dimenticati di quel bambino di soli tre anni che ha perso la vita solo perché costretto a rischiarla per inseguire una speranza di vita migliore che, non dimentichiamoci mai, altri uomini gli avevano precluso (e non solo combattendosi ma vendendo armi su armi per ricavarne soldi su soldi). Se il Papa si è ricordato si lui oggi in un consesso così importante allora possiamo farlo anche noi nelle decisioni, tutte quelle piccole decisioni di ogni giorno, che sommate fanno il futuro del mondo e dell’umanità. Ma occorre perseveranza e non solo l’emozione di un momento transitorio.
(fonte: Il Sismografo)


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