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martedì 8 agosto 2017

«Apriamo una riflessione comune con azienda e operai» Don Renato Sacco e la lettera al 'fratello' che lavora in una fabbrica di armi di don Tonino Bello

«Apriamo una riflessione comune con azienda e operai»

Don Sacco (Pax Christi): «Valsella sia da esempio». «La nota fabbrica produttrice di mine abbandonò la produzione di ordigni con la collaborazione della società civile, missionari e comunità cristiane


Era il 2 febbraio 1986 quando l’allora Presidente Nazionale di Pax Christi, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, scrisse una Lettera al 'fratello' che lavora in una fabbrica di armi. A distanza di anni e alla luce di quanto succede anche in questi mesi in Italia, con la questione della Rwm di Domusnovas, è un testo ancora di grande attualità. Innanzitutto perché pone in evidenza la questione etica: «Collaborare alla costruzione di strumenti di morte». Poi perché evidenzia che l’industria delle armi non garantisce un maggior numero di posti di lavoro. Anzi! Su questi temi, come coordinatore di Pax Christi, credo sia importante lavorare insieme. L’esperienza della Valsella di Brescia, nota fabbrica produttrice di mine, il suo impegno di riconversione che ha visto la collaborazione di tutti: società civile, missionari, comunità cristiane, sindacati, ecc. può essere un esempio. Perché non aprire un tavolo di riflessione sulla riconversione? Con gli operai, i titolari della RWM, la società civile, la Chiesa, i sindacati, il mondo politico? E’ in gioco la Vita. Il rispetto della Costituzione e della legge 185/90.
Coordinatore nazionale di Pax Christi 

Ecco alcuni brani della lettera: « Caro operaio, ... non regge a nessuno l’animo di dirti che, se pure incolpevolmente, tu collabori a seminare morte sulla terra. E neanche io te lo voglio dire. Hai già tanti problemi sulle spalle, che non mi sento di gravarti la coscienza di un ulteriore fardello. Sei così preoccupato, come tutti i lavoratori, dagli spettri della fame, che non mi va di intossicarti anche quei quattro soldi che ti danno. Hai così viva la percezione di essere vittima di una squallida catena di sfruttamento, che sarebbe crudeltà dirti senza mezzi termini che, oltre che oppresso, sei anche oppressore. Mi sembrerebbe di ucciderti moralmente prima ancora che le armi confezionate dalle tue mani potessero fare strage di altri innocenti. Povero fratello operaio. Sei veramente chiuso in una spira mortale direbbe Ungaretti che non era un economista neppure lui, e neanche un alto funzionario dei ministeri romani. Ma era un uomo. Quell’uomo che ti auguro di riscoprire in te, e che ti fa vomitare di disturbo di fronte all’ipocrisia di chi, con un occhio piange di commozione sulla fame del Terzo Mondo, e con l’altro fa cenno d’intesa con i generali. Quell’uomo che si ribella in te quando scorge che, dopo mezzo secolo, c’è ancora chi in alto loco è sensibile al fascino di antichi ritornelli imperiali, trascritti purtroppo sullo stesso pentagramma di profitto: colonnello non voglio pane; voglio piombo pel mio moschetto! Quell’uomo interiore che rimane mortificato quando sa che la stessa cifra stanziata dall’Italia per armamenti, destinata invece per programmi civili, creerebbe trentamila posti di lavoro in più. Quell’uomo pulito che dorme dentro di te, e che la sera, quando torni a casa, ti spinge ad accarezzare senza titubanze il volto dolcissimo della tua donna; e ti fa porre le mani sul capo incontaminato dei tuoi figli, senza paura che un giorno si ritorcano su di loro, come un tragico boomerang, le armi che quelle stesse mani hanno costruito. Certo, se io fossi coraggioso come Giovanni Paolo II, dovrei ripeterti le sue parole accorate: «Siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita!». Ma, a parte il debito di audacia, debbo riconoscere che il Papa si rivolgeva agli scienziati. I quali, di solito almeno economicamente, hanno più di una ruota di scorta. Tu invece ne sei privo. E anche le ruote necessarie, se non sono proprio forate, hanno le gomme troppo lisce perché tu possa permetterti manovre pericolose. Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte. Ma ti incoraggio a batterti perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita. E’ un progetto che va portato avanti. Da te. Dai sindacati. Da tutti. Con urgenza. Con forza. (...) Ti abbraccio » .
don Tonino Bello.
(fonte: Avvenire)