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sabato 8 luglio 2017

"Siamo chiamati a immaginare una società nuova. Milano è capace di farlo Che nessuno si senta straniero" Mario Delpini, nuovo arcivescovo di Milano

"Siamo chiamati a immaginare una società nuova.
Milano è capace di farlo 
Che nessuno si senta straniero"  
Mario Delpini, 
nuovo arcivescovo di Milano

7   luglio 2017 

"Penso alla ricchezza delle presenze qui a Miano, alle sacche di povertà, alla presenza di tanti migranti con tradizioni religiose e cuturali diverse: mi sembra che la città metropolitana e la Diocesi debbano interrogarsi su quale sia la società del futuro, su quale volto avrà. Io mi sento un po’ smarrito di fronte tutto ciò, e chiedo di imparare ad ascoltare anche chi parla lingue che sono difficili da capire, perché sono loro i cittadini del futuro. E noi siamo chiamati a costruire una città nuova, capace di immaginare come sarà il vivere assieme a una popolazione composita, costruendo una appartenenza unitaria. Chiedo che nessuno si senta straniero e discriminato."
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«La prima cosa che chiederò allo Spirito Santo è il dono della gioia. Papa Francesco, venendo a Milano ha ribadito che con il Vangelo viene la gioia. Sarei contento se lo Spirito Santo incrementasse la gioia di noi milanesi che siamo bravi, intelligenti, ma sempre un po’ scontenti, lamentosi».


Un lungo applauso alle 12.01, ha accolto l’annuncio del nome del 144° arcivescovo di Milano, una delle diocesi più grandi e importanti del mondo. È l’attuale vicario generale Mario Delpini, 66 anni alla fine di questo mese. L’ha annunciato nella cappella della Curia ambrosiana il cardinale Angelo Scola, che ha parlato di «una notizia di grandissima importanza per la nostra Chiesa e per tutta la città». Da oggi il cardinale uscente diventa amministratore apostolico della diocesi. L’ingresso del successore è previsto per il 24 settembre. Fin dalle prime parole pronunciate a braccio, Delpini ha rivelato qualcosa di sé: si è detto inadeguato, ha chiesto l’aiuto di tutti, ha detto di voler molto ascoltare e di voler rendere possibile a tutti di parlargli.

Dopo l’annuncio, il cardinale Scola ha tracciato un breve profilo del suo successore, ricordando che: «Si è occupato di questioni gestionali e anche di questioni delicate, la cui importanza spesso sfugge ai più. Monsignor Delpini è un uomo di preghiera, che vive in modo molto ascetico e in grande povertà. E sottolinea l’essenziale della fede. Conosce i sacerdoti molto bene. È instancabile nel visitare le parrocchie – ha continuato il cardinale – ed è capace di dialogo. Ha affrontato le situazioni più diverse comprese quelle di povertà ed esclusione». L’arcivescovo uscente ha quindi aggiunto: «Abbiamo sempre preso insieme le decisioni dopo un franco confronto. Sono convinto che il Papa con questa nomina ha fatto un grande dono alla Chiesa di Milano a tutti gli uomini e donne che abitano queste terre». Il cardinale Scola ha anche voluto ribadire pubblicamente il suo ringraziamento al Papa: «Il Santo Padre mi ha detto che non aveva fretta, ma io ho chiesto di nominare il mio successore per evitare rischi di stallo in una diocesi così complessa e articolata. Il Papa ha accolto questa mia richiesta e gli sono grato».

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Servizio TV2000


Ha quindi preso la parola il nuovo arcivescovo Delpini:
«Nonostante l’elogio che ha appena fatto Sua Eminenza, la mia attenzione si concentra ora sulla mia inadeguatezza al compito. Ringrazio il Santo Padre, ringrazio il cardinale Scola che per quello che so ha incoraggiato e approvato questa scelta. Ma sento soprattutto la mia inadeguatezza. Si vede già dal nome: dopo nomi solenni come Angelo, Dionigi, Giovanni Battista, Carlo Maria, Alfredo Ildefonso… Ora voi direte: arriva Mario, che nome è? Già si capisce… È quello che mi hanno dato mia mamma e mio papà». «La mia inadeguatezza – ha continuato Delpini - è valutazione molto condivisa. Sono stato tutta la mia vita qui, non potrò essere una sorpresa. Chi mi ha incontrato penso che dica: “Sì, è un brav’uomo… però arcivescovo di Milano, non so se sarà all’altezza!”.
Ho partecipato e preso tante decisioni che hanno segnato la vita delle persone e delle istituzioni. E quando si prendono decisioni, non avendo il dono dell’infallibilità, alcune saranno state sbagliate e sgradite. Io vorrei chiedere di non restare impigliati nel risentimento, chiedo scusa di decisioni non abbastanza attente alle persone. Chiedo di ripartire con benevolenza, per mostrare una Chiesa unita, lieta, disponibile al confronto e anche accettando che poi qualcuno debba decidere».

Il nuovo arcivescovo ha poi parlato della Chiesa ambrosiana e della città. «Per la Chiesa di Milano ci vorrebbe un arcivescovo santo, mentre io capisco che sono mediocre, un brav’uomo ma mediocre. Ci viene chiesto di pregare per la Chiesa e l’arcivescovo, di dare testimonianza di quella santità di popolo e di quella laboriosità generosa che c’è a Milano. Se poi penso alle sfide che la città, la metropoli, la regione devono affrontare, a quanta innovazione, cultura, intelligenza ci sono, ci vorrebbe un vescovo che sia un genio. Se considero la bibliografia dei miei predecessori – Scola, Tettamanzi, Martini - rimango veramente un po’ schiacciato nel raccogliere la loro eredità. Perché in questi anni io ho scritto qualche sciocchezza, storielle per bambini… Avrò bisogno del consiglio, del confronto con i teologi e con gli accademici di Milano per interpretare il tempo che viviamo e il futuro che ci aspetta».

«Poi – ha continuato - penso alla complessità della Chiesa di Milano e della diocesi, con tutte le forze, le iniziative, i gruppi, le istituzioni. Credo che ci vorrebbe un vescovo carismatico e trascinatore, che sappia indicare con slancio il cammino, mentre io sono stato piuttosto un impiegato, soprattutto in questi anni. Qui in Curia siamo bravi e facciamo tanto lavoro, ma trascinare e dare un timbro al popolo cristiano e alla società civile, come eredi di Ambrogio, Carlo… Chiaramente non sono quel personaggio! Avrò bisogno di condivisione, corresponsabilità, sinodalità che forse supplisce alla povertà e alla modestia delle mie qualità con un cammino di popolo». 

Delpini ha poi ricordato di conoscere molti preti di Milano: «Non ho mai nascosto la mia stima e ammirazione per loro. Conosco i laici, apprezzo quanta intelligenza, intraprendenza e capacità creativa c’è nel laicato di Milano. Chiedo aiuto a fare un cammino insieme visto che da solo non so fare niente e non sono all’altezza di quella leadership che sarebbe auspicabile». Sulle sfide che lo attendono ha detto: «Se considero le sacche di povertà e le tante persone con tradizioni culturali così diversificate, mi sembra che la città debba interrogarsi su quale volto avrà il mondo in cui siamo chiamati a vivere. Mi sento un po’ smarrito di fronte a questo, perciò bisogna che io e tutti quelli che hanno a cuore questo, imparino ad ascoltare i cittadini del futuro. Siamo chiamati a immaginare una società nuova che dobbiamo costruire. Milano ha questa vocazione: essere capace di immaginare una popolazione composita eppure capace di vivere insieme, ricca di tradizioni culturali ma capace di costruire un’appartenenza unitaria. Chiederò a tutti l’aiuto».

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Il nuovo arcivescovo di Milano ha quindi risposto a tre domande dei giornalisti presenti all’annuncio della nomina.

La prima è stata: «Che dono chiede allo Spirito Santo. E poi, verrà ad abitare in questo palazzo?». «Chiederei per questa diocesi e per la società civile – ha risposto Delpini - il dono della gioia. A me sembra che sia una delle risonanze più abituali del Vangelo: il Papa mi pare che abbia ribadito proprio quel messaggio che ritiene centrale. Col Vangelo viene la gioia, Evangelii gaudium, perché noi milanesi siamo bravi, efficienti, ma c’è talvolta nervosismo, impazienza, lamentosità. Chiedo allo Spirito il dono della gioia. Quanto al palazzo, per adesso ci abita il cardinale, non ho alcuna intenzione di fare traslochi. Poi ci penserò, perché l’elogio che ha tessuto Scola comprendeva anche l’espressione che io vivo in estrema povertà. Però non è che abito sotto un ponte, dunque non ho l’urgenza di collocarmi nel palazzo».

La seconda domanda è stata: qual è la parola che vuole dire ai fedeli milanesi?. «Avendo Papa Francesco scelto il vicario generale della diocesi, vuole raccomandare una continuità con i predecessori e con il cardinale Scola. Io penso che dovremo continuare sulla strada segnata dai vescovi che hanno servito questa Chiesa. Non ho alcun progetto pastorale. Una cosa sì: che tutti possano parlarmi, che tutti possano aver voce… Dovrò essere io ad ascoltare voi, quelli che son d’accordo e quelli che non son d’accordo, per non essere precipitosi nelle decisioni. Poi impariamo il mestiere».

Infine, l’ultima domanda ha riguardato le sfide da affrontare, in particolare quella dei migranti. «Vorrei dire che io sono un prete, quindi il messaggio che posso dare alla città è quello di ricordarsi di Dio, cercare Dio, vivere il rapporto con Dio perché sono persuaso che una città secolarizzata come la nostra, che vive la laicità, senza il riferimento a Dio non ha speranza. Il Papa mi pare che le prime parole che ha detto alle Case Bianche siano state: “Io vengo come un sacerdote”. Vengo a parlarvi di Dio e del Vangelo di Gesù. Il primo messaggio che vorrei dare è questo e lo sento irrinunciabile, come servo del Signore e ministro della Chiesa. Vorrei che tutti avessero una speranza di vita eterna, e la certezza che Dio ci ama e ci vuole felici. E su questo impostare una convivenza fraterna che non contrapponga le religioni come nemici che si sfidano ma come cammini che aiutano a ritrovare le radici dell’umanesimo. Nessuno di noi viene al mondo per morire. Noi per vivere abbiamo bisogno di Dio».

Una domanda è stata rivolta anche all’arcivescovo uscente, il cardinale Scola, che ha sottolineato: «Dalla visita del Papa in poi mi si è fatto chiaro che le radici di un cristianesimo di popolo sono ancora vive nella nostra diocesi e non dobbiamo assolutamente perderle. Dobbiamo smuovere la terra intorno in modo che un cristianesimo di popolo fiorisca ancora per la pienezza e la libertà di tutti». Scola ha ricordato lo zelo del prete ambrosiano, che «è stato artefice anche della vita civile», e ha citato l’esempio delle periferie. Infine ha detto che «Milano ha preso coscienza di essere una metropoli europea e adesso tutti lo riconoscono».
(Andrea Tornelli - La Stampa)

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