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mercoledì 26 luglio 2017

ABITARE LE PAROLE /Dignità. Esiste, ma la calpestiamo di mons. Nunzio Galantino

ABITARE LE PAROLE /Dignità. 

Esiste, ma la calpestiamo 
di mons. Nunzio Galantino,
segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana




La Costituzione della Repubblica Italiana (Art. 3), in maniera ferma e inequivocabile riconosce «pari dignità sociale» a tutti i cittadini.
Alla fermezza e all’inequivocabile riconoscimento che caratterizzano la Carta costituzionale fa però da insopportabile contrappeso la realtà di una dignità personale platealmente calpestata, spesso proprio da persone e istituzioni che dovrebbero assicurare la «pari dignità sociale».
La dignità” (lat. dignitas), deriva da dignus (“meritevole”). Il corrispondente greco axios (“assioma”) permette di cogliere aspetti altrimenti poco evidenti se ci si ferma all’etimo latino. In matematica e, in generale, nelle scienze esatte, “assioma” è un’asserzione, una verità evidente che non necessita di dimostrazione. Senza forzature, si può dire che la dignità si offre come assioma. Essa non ha bisogno di essere dimostrata, è uno status riconosciuto e da riconoscere. Sulla dignità riconosciuta si fonda l’intera costruzione delle regole che governano la convivenza. Storicamente, ogni uomo, ogni popolo e ogni epoca hanno mostrato e mostrano di avere un proprio parametro di dignità che consente di stabilire regole e priorità. Tutto ciò è tanto rispettabile quanto esposto a pericolosi fraintendimenti. È sotto gli occhi di tutti infatti come «Tutte le società rendano visibili certe persone e ne facciano scomparire altre. Nella nostra società sono ben visibili i politici e le star del cinema, i cantanti e i calciatori, che si presentano continuamente in pubblico, sui cartelli pubblicitari e sugli schermi televisivi. Ma rendiamo invisibili i poveri. Essi non compaiono nelle liste elettorali. Non hanno volto né voce» (T. Radcliffe). Il mondo contemporaneo tende a riconoscere dignità a ciò che appare e a dare eccessivo, se non esclusivo peso al ruolo e alle funzioni che si ricoprono. Siamo, per questo, sommersi da dinamiche fin troppo prevedibili. Accanto a persone “dignitose”, cioè per sé nobili e “meritevoli” di rispetto, si fa sempre più largo la pretesa dignità che poggia sulla spettacolarità, su furbizie e rapine del bene comune più o meno esibite per strappare benefici e opportunità per sé e per il proprio gruppo sociale. Dimenticando che «La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli» (Aristotele). La dignità quindi è di chi agisce e si spende per “meritare” onori e credibilità. Percorrendo una strada diversa «diventiamo inutili nel mondo, sale insipido, che gli altri giustamente si sentono autorizzati a calpestare, a scartare […]. La dignità riposa nel cuore» (A. Casati). Quel cuore che troppo spesso custodisce attese, paure, malattie e speranze senza esibirle e dinanzi al quale vale un solo monito: «Non lasciare che un uomo difenda la sua dignità, ma fai che la sua dignità difenda lui» (R. W. Emerson).