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domenica 20 novembre 2016

"Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli" - Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali - 19 novembre 2016 - (foto, testi e video)

 Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali 
 19 novembre 2016 

È cominciato, alle 10.50 circa, il terzo Concistoro di Papa Francesco, per la creazione di 17 nuovi cardinali. I porporati hanno fatto l’ingresso in basilica, insieme con i vescovi e gli altri celebranti e ministri. Cinque minuiti dopo, l’arrivo di Papa Francesco, che ha chiuso la processione e si è recato di buon passo, compiendo, l’ultimo tratto da solo, verso l’Altare della Confessione, presso il quale si è fermato qualche momento in preghiera, prima di salire i gradini che lo hanno condotto alla sua postazione. Le prime file davanti all’altare della Confessione sono riservate alle delegazioni ufficiali, provenienti da 11 Paesi: Repubblica Centrafricana, Mauritius, Albania, Belgio, Spagna, Italia – con il ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia – Brasile, Papa Nuova Guinea, Messico, Venezuela, Malaysia e Siria. 

I 13 nuovi cardinali elettori (in caso di Conclave), secondo l'ordine in cui il Papa ne ha annunciato i nomi lo scorso 9 ottobre, sono: Mario Zenari, italiano, che il Papa ha annunciato resterà "nunzio nella martoriata Siria"; Dieudonne Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nella Repubblica centrafricana; Carlo Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid in Spagna; Sergio da Rocha, arcivescovo di Brasilia in Brasile; Blase Cupich, arcivescovo di Chicago negli Stati Uniti; Patrick D'Rozario, arcivescovo di Dhaka in Bangladesh; Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Merida, in Venezuela; Jozef De Kesel, arcivescovo di Maline-Bruxelles, in Belgio; Maurice Piat, arcivescovo di Port Louis nell'Isola Mauritius; Kevin Farrell, prefetto del dicastero per i laici, famiglia e vita; Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla in Messico; John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, in Papua Nuova Guinea; Joseph William Tobin, arcivescovo di Indianapolis negli Stati Uniti. I 4 neo cardinali non elettori (per motivi di età) sono: Anthony Soter Fernandez, arcivescovo emerito di Kuala Lumpur (Malaysia); Renato Corti, vescovo emerito di Novara; Sebstian Koto Khorai, vescovo emerito di Mohalès Hoek (Lesotho); Ernest Simoni, prete dell'arcidiocesi di Scutari (Albania).

Amate, fate il bene, benedite e pregate. Sono le quattro esortazioni che Papa Francesco ha rivolto ai nuovi 17 cardinali creati sabato mattina nel Concistoro nella Basilica di San Pietro. Il Pontefice ha messo in guardia dal “virus della polarizzazione e dell’inimicizia” da cui non è immune neppure la Chiesa. Quindi, ha esortato i neo porporati ad andare verso il Popolo di Dio come testimoni di perdono e riconciliazione. Alla cerimonia erano presenti 16 dei 17 cardinali di nuova creazione. 
«L'oblato di Maria Sebastian Kopto Khoarai è rimasto in Lesotho a causa delle non buone condizioni di salute, riceverà la porpora dal nunzio apostolico Wells», ha spiegato il portavoce della Santa Sede, Greg Burke. 
Al termine dell'omelia ha avuto luogo il rito vero e proprio della creazione dei nuovi cardinali. Il Papa, pronunciando la formula latina, ha consegnato a ciascuno la berretta rossa e l'anello cardinalizio, indicandogli il titolo della parrocchia romana a lui assegnato. Ogni cardinale di nuova creazione riceve infatti il titolo di una chiesa di Roma, perché i cardinali devono essere incardinati nella diocesi del Papa. 




Papa Francesco, dopo aver imposto la berretta rossa all’unico sacerdote, Ernest Simoni,
gli ha voluto baciare la mano mentre anche il neo porporato faceva lo stesso gesto con Bergoglio.

 Omelia 

Il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc 6,27-36), molti lo hanno chiamato “il discorso della pianura”. Dopo l’istituzione dei Dodici, Gesù discese con i suoi discepoli dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli Apostoli è accompagnata da questo “mettersi in cammino” verso la pianura, verso l’incontro con una moltitudine che, come dice il testo del Vangelo, era “tormentata” (cfr v. 18). L’elezione, invece di mantenerli in alto sulla montagna, sulla cima, li conduce al cuore della folla, li pone in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della loro vita. In questo modo il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura, e la pianura ci ricorda che la vetta si trova in uno sguardo e specialmente in una chiamata: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36).

Un invito accompagnato da quattro imperativi, potremmo dire da quattro esortazioni che il Signore rivolge loro per plasmare la loro vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell’esistenza. Sono quattro azioni che daranno forma, daranno carne e renderanno tangibile il cammino del discepolo. Potremmo dire che sono quattro tappe della mistagogia della misericordia: amate, fate il bene, benedite e pregate. Penso che su questi aspetti tutti possiamo concordare e che ci risultino anche ragionevoli. Sono quattro azioni che facilmente realizziamo con i nostri amici, con le persone più o meno vicine, vicine nell’affetto, nei gusti, nelle abitudini.

Il problema sorge quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni, e in questo è molto chiaro, non usa giri di parole né eufemismi. Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male (cfr vv. 27-28).

E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a noi come un avversario, come un nemico. Di fronte ad essi, il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di “demonizzarli”, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno. Al contrario, riguardo al nemico, a chi ti odia, ti maledice o ti diffama, Gesù ci dice: amalo, fagli del bene, benedicilo e prega per lui.

Ci troviamo di fronte a una delle caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù, lì dove si nasconde la sua forza e il suo segreto; da lì proviene la sorgente della nostra gioia, la potenza della nostra missione e l’annuncio della Buona Notizia. Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno. L’amore di Dio ha il sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un amore materno/paterno che non le lascia nell’abbandono, anche quando hanno sbagliato. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici (cfr Rm5,10). L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione. Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci.

La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio. Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze.

Cari fratelli, Gesù non cessa di “scendere dal monte”, non cessa di voler inserirci nel crocevia della nostra storia per annunciare il Vangelo della Misericordia. Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella “pianura” dei nostri popoli, continua a invitarci a spendere la nostra vita sostenendo la speranza della nostra gente, come segni di riconciliazione. Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità, privati nella loro dignità.

Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione.

Caro fratello, oggi ti si chiede di custodire nel tuo cuore e in quello della Chiesa questo invito ad essere misericordioso come il Padre, sapendo che «se c’è qualcosa che deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).

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“Fratelli carissimi, ci disponiamo a compiere un atto gradito e grave del nostro sacro ministero. Esso riguarda anzitutto la Chiesa che è in Roma, ma interessa pure l’intera comunità ecclesiale: chiameremo a far parte del Collegio dei Cardinali alcuni nostri fratelli, perché siano uniti alla sede di Pietro con più stretto vincolo, divengano membri del clero di Roma, cooperino più intensamente al nostro servizio apostolico”. È la formula, pronunciata in latino come tutto il rito, con cui il Papa ha proclamato solennemente i nomi dei nuovi cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale e diaconale. All’annuncio del proprio nome, ognuno dei 16 cardinali presenti (tutti ad eccezione del cardinale del Lesotho) si sono alzati in piedi. Il rito prosegue con la professione di fede dei nuovi cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e di obbedienza a Papa Francesco e ai suoi successori. “Prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana, al Beato Pietro nella persona del Sommo Pontefice Francesco e dei suoi successori canonicamente eletti; di conservare sempre con le parole e con le opere la comunione con la Chiesa cattolica; di non manifestar alcuno quanto mi sarà affidato da custodire e la cui rivelazione potrebbe arrecare danno alla Santa Chiesa; di svolgere con grande diligenza e fedeltà i compiti ai quali sono chiamato nel mio servizio alla Chiesa, secondo le norme del diritto. Così mi aiuti Dio onnipotente”, la formula. I nuovi cardinali, secondo l’ordine di creazione, si inginocchiano poi davanti al Papa che impone loro lo zucchetto e la berretta cardinalizia, consegna l’anello e assegna a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe. Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del titolo o della Diaconia, il Papa scambia con ciascun neo-cardinale l’abbraccio di pace.
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Finita la cerimonia, il Papa e i nuovi cardinali si sono recati con due pulmini al Monastero Mater Ecclesiae per salutare il Papa emerito Benedetto XVI, che non era presente al Concistoro.