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mercoledì 10 agosto 2016

Una bella storia di convivenza tra cristiani e musulmani


Benin, quell’ospedale che unisce cristiani e musulmani

Storie di convivenza tra credenti in Cristo e islamici. Viaggio a Tanguiéta dove sorge un centro medico fondato dai Fatebenefratelli. Parlano il direttore, fra Fiorenzo Priuli, e Cheikh Moussa Aboubacar, califfo del Niger
Fra Fiorenzo Priuli e Cheikh Moussa Aboubacar
«La convivenza tra cristiani e musulmani, qui in Benin, è serena: dico spesso che se i rapporti tra i fedeli delle due religioni fossero ovunque così, non assisteremmo ai drammi che oggi insanguinano tante aree del mondo!». Sono parole di fra Fiorenzo Priuli, 70 anni, medico chirurgo, un faro per migliaia di pazienti africani, consulente dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) per l’Aids e le malattie infettive, insignito della Legion d’onore dal presidente della Repubblica francese. Di sé dice: «Sono grato al Signore che mi ha chiamato a collaborare con Lui nella meravigliosa opera di curare chi soffre e custodire la vita». Da oltre 40 anni vive in una cittadina nel nord del paese, Tanguiéta, dove dirige l’ospedale Saint Jean de Dieu, un polo d’eccellenza della medicina africana, fondato nel 1970 dai religiosi dell’Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio, noti come Fatebenefratelli. All’epoca offriva 82 posti letto, oggi sono 415. 

La storia di questo grande ospedale, che è diventato anche centro universitario, racconta dei legami belli che si accendono fra gli essere umani di religione diversa quando condividono la responsabilità verso l’umano ferito e si alleano dando il meglio di sé per risollevare vite prostrate dalle malattie. Legami saldi che travalicano anche i confini degli stati. 

Obiettivo comune: la cura 

In ospedale i medici, inclusi gli specializzandi, sono 25, mentre il personale paramedico e amministravo è costituito da trecento persone. «Molti sono musulmani (come per esempio il mio vice in sala operatoria, che di recente ha sposato un’infermiera cattolica) e i rapporti tra tutti noi sono ottimi», racconta fra Fiorenzo. «Lavoriamo insieme giorno e notte mossi da un comune obiettivo: cercare di offrire la migliore assistenza possibile alle migliaia di malati che accorrono qui, non di rado dopo aver affrontato viaggi lunghi ed estenuanti. Ogni anno abbiamo 18mila/20mila nuovi pazienti (di cui 5mila bambini) provenienti anche dai paesi vicini (Togo, Burkina Faso, Niger, Nigeria): 14mila vengono ricoverati mentre gli altri sono assistiti ambulatorialmente». 

I piccoli pazienti 

Il clima in questa zona è particolarmente duro: durante alcuni mesi si raggiungono i 43 gradi di giorno e di notte; la stagione secca dura oltre 6 mesi e ciò favorisce il diffondersi delle malattie, che colpiscono anche in forma epidemica (come morbillo, tifo, meningite). «Il lavoro da fare è sempre moltissimo», dice fra Fiorenzo: «Il reparto di pediatria, che conta 111 posti letto, non ha mai meno di centotrenta-centoquaranta pazienti ricoverati, talvolta anche trecento. Purtroppo accade ancora oggi che i bambini giungano in ospedale quando ormai versano in condizioni gravissime perché i genitori hanno preferito cercare di curarli affidandosi allo stregone locale. La religione più diffusa, infatti, è l’animismo, qui al nord, e il feticismo nel resto del Paese. Noi cristiani siamo circa il 15% della popolazione, i musulmani il 15-18%». 

Le autorità religiose 

«Con le autorità religiose islamiche ho rapporti eccellenti», prosegue fra Fiorenzo. «Ci frequentiamo e collaboriamo avendo a cuore il bene della popolazione: per esempio, quando giungono dall’estero medici specialisti che si mettono a disposizione dei pazienti, io mi incontro con il presidente dell’Unione islamica del Paese per illustrargli i dettagli della missione medica ed è poi lui a diffondere capillarmente la notizia nelle moschee assicurandosi che tutti siano informati». 

L’amicizia con il califfo di Kiota 

Una trentina di anni fa, fra i pazienti dell’ospedale vi fu un musulmano originario di Kiota (città del Niger, a 700 chilometri da Tanguiéta), il quale, una volta tornato a casa, descrisse l’ottima assistenza ricevuta al califfo di Kiota, autorevole guida spirituale della Confraternita Tijaniyya, di ispirazione sufi. Da allora il califfo cominciò a mandare regolarmente i malati all’ospedale di Tanguità, dando a ciascuno una lettera nella quale descriveva a fra Fiorenzo il caso clinico promettendogli un ricordo nella preghiera del venerdì alla moschea. «Il califfo era un uomo di pace, molto aperto, sinceramente impegnato nel dialogo interreligioso: quando morì la prima persona che accorse a vegliare le spoglie fu l’arcivescovo di Niamey» ricorda fra Fiorenzo. «Il nostro rapporto fu esclusivamente epistolare, non ci incontrammo mai, ma diventammo amici, ci legavano stima e affetto reciproci». 

Di padre in figlio 

A proseguire l’opera del califfo c’è ora il figlio, Cheikh Moussa Aboubacar Hassouni, 56 anni, sposato e padre di quattro ragazzi, capo religioso e direttore dell’Istituto di El Azhar di Kiota. Fa parte della commissione interregionale per il dialogo interreligioso, è presidente del «Comitato del Dialogo Interreligioso» della regione di Niamey e sta completando la stesura di un manuale di formazione su questo tema in veste di consulente di un’organizzazione partner dell’Unione europea. 

La situazione in Niger 

«Negli incontri dedicati al dialogo – racconta – porto l’esempio del Niger dove le relazioni tra cristiani e musulmani sono cordiali e tranquille, basate sulla collaborazione e il rispetto reciproco. È sempre mia volontà sostenere e difendere un islam pacifico, in questo caso l’islam sufi e della Confraternita Tijaniyya, che è maggioritario nel mio Paese». 

Fra Fiorenzo lo descrive come un uomo fedele all’opera e allo stile del padre. «Questa continuità ha per me un valore grande. Ricordo ancora con commozione la festa che ha organizzato in mio onore a Kiota qualche anno fa: erano stati invitati tantissimi miei pazienti da ogni parte del Niger. Ricevetti dimostrazioni di affetto e gratitudine straordinarie». Il califfo Moussa Aboubacar, da parte sua, ha parole di stima per il Frate: «Di lui mi colpiscono la generosa disponibilità e la semplicità: apprezzo molto il suo desiderio di farsi servo di tutti, senza fare distinzioni in base al colore della pelle, al credo religioso o politico. È un uomo di grande umanità». 

La presenza cattolica 

E riflettendo sulla presenza dei cristiani in Africa, osserva: «Sono persuaso che possano portare al continente africano pace, fratellanza, sviluppo. I cattolici in Niger hanno costruito istituti scolastici e ospedali mettendoli generosamente a disposizione della popolazione, che è in maggioranza di fede islamica. Sono stati inoltre capaci di porsi a fianco di ogni persona, condividendone gioie e dolori. Sono gesti che i musulmani apprezzano molto». 

Fratellanza feconda 

Le persone autenticamente religiose (cristiane e musulmane) che operano insieme «possono proporre una testimonianza importante al mondo, offrire la prova che la fratellanza e la mutua comprensione sono possibili», osserva fra Fiorenzo. Secondo il califfo Moussa Aboubacar «essi costituiscono la base di cui il mondo oggi ha bisogno per costruire la pace di domani. L’esempio più concreto è offerto proprio dagli esemplari rapporti di amicizia e di fraternità che legano il califfato di Kiota e fra Fiorenzo: non si tratta della semplice amicizia tra due uomini, ma di un’amicizia di cui è partecipe la popolazione, che ne è la prima testimone e la prima beneficiaria».
(fonte: Vatican Insider 09/08/2016)