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giovedì 2 giugno 2016

Il 2 giugno del 1946 nasceva la Repubblica Italiana. Un nuovo patto sociale fra cittadini Politica, voce del verbo servire - QUEL SOFFIO DI VANGELO SULL'ITALIA DIVENTATA REPUBBLICA


Il 2 giugno del 1946 
nasceva la Repubblica Italiana. 

Un nuovo patto sociale fra cittadini.
Politica, voce del verbo servire
di Alberto Ratti, 
Componente del Centro studi dell’A.C. 


In prossimità della festa della Repubblica, il pensiero non può che correre a 70 anni fa, a quelle settimane così intense e drammatiche, contraddistinte dalla fine del secondo conflitto mondiale e da una libertà finalmente riconquistata da parte del popolo italiano dopo vent’anni di dittatura totalitaria e disumanizzante.
Sceglievamo una nuova forma di Stato e di governo, sceglievamo di scrivere una nuova Costituzione, un nuovo patto sociale fra cittadini. Nel momento in cui l’Europa ha conosciuto il periodo più cupo e angosciante della sua storia e ha davvero toccato il fondo, proprio allora ha saputo risollevarsi e ricostruirsi sia spiritualmente che materialmente. Ha potuto farlo grazie a donne e uomini che si sono rimboccati le maniche e che in maniera disinteressata, nonostante le provenienze e le culture politiche diverse (cattolicesimo, socialismo, comunismo, liberalismo), hanno deciso di spendersi per il bene di tutti e per lo sviluppo umano delle proprie nazioni di appartenenza, in Italia come all’estero. Richiamare oggi quei momenti e fare memoria di quella classe dirigente significa guardare con gratitudine e riconoscenza a quanti ci hanno testimoniato, allora e nei decenni successivi, il senso e la bellezza del fare politica, “dell’occuparsi della cosa pubblica” con lo scopo di migliorare le condizioni morali e materiali delle persone. La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene che si conquista ogni giorno, un bene delicato, fragile, che va custodito e alimentato attraverso la responsabilità di tutto un popolo. “La democrazia – ha scritto Tina Anselmi – non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace”. Queste caratteristiche, oggi quasi dimenticate o disprezzate, sia il nostro Paese che l’Europa le hanno vissute per più di un cinquantennio, grazie ad una politica che era davvero lungimirante e che ha saputo incarnare il meglio delle qualità, dei sogni e della aspettative di un popolo.
Parlare oggi di bellezza della politica pare certamente strano e fuori luogo; la maggior parte della gente indica la politica come “cosa sporca”, come realtà legata ad interessi particolari, a clientelismi di ogni sorta, a ruberie e consorterie varie. Sembra quasi che quando si parla di politica ci sia rassegnazione: “non si può cambiare niente”, “sono tutti ladri e disonesti”, “è tutto un grande schifo”. Deve essere chiaro che non è stato sempre così, che anzi la politica è e rimane ancora oggi lo strumento più alto e nobile di cui gli uomini concretamente dispongono per tracciare il loro cammino nella storia e nel mondo. Prima di additare o accusare altri, è necessario un serio e profondo esame di coscienza personale. Dobbiamo innanzitutto cambiare noi stessi, la nostra mentalità, i nostri costumi, ridurre il nostro ego, tornare a vivere onestamente e con sobrietà.
Se davvero come sembra, la politica sia diventata oggi soltanto un affare, è colpa di tutti e di ciascuno, nessuno deve sentirsi esente da colpe o scaricarle sugli altri.
Se il Paese si trova oggettivamente in difficoltà e attraversato da diverse crisi (economica, demografica, etica e morale) vuol dire che tutti ne abbiamo colpa e, forse, chi si professa cristiano anche di più.
Non siamo stati buoni testimoni, non siamo ancora cristiani e abbiamo oltretutto destato scandalo in alcune situazioni. La concezione cristiana della vita e della storia, invece, ha un suo pathos, è un modo di essere e di vivere che non potrà mai ridursi ad una mera tecnica di esercizio del potere. Uno dei mali maggiori che attanaglia il nostro tempo è quello di una politica che non sembra essere al servizio degli altri; questo è veramente antipolitica, perché distrugge e sostituisce il vero significato della parola, che ha a che fare con le persone, con la città, con le relazioni all’interno di un contesto comunitario e non individuale.
Altro male che colpisce oggi la politica è l’idea che ci possa essere una doppia morale, una per la vita privata e una per la vita pubblica; non deve essere così. La vita privata deve sempre conformarsi ed essere in armonia con quanto viene sostenuto nella vita pubblica; guai se fosse il contrario.
Se non curiamo il tema della formazione ai valori della democrazia e della vita cristiana è inutile pensare che un albero senza cure possa dare frutti. Il termine “crisi” ha già etimologicamente dentro di sé il tema dell’opportunità e del riscatto. Le crisi non sono eventi apocalittici fini a se stesse; servono per ritrovare la strada che si era perduta, per lasciare indietro il superfluo, trattenere l’indispensabile, trasformare e trasformarsi.
Guardando indietro, a coloro che ci hanno preceduto e hanno testimoniato coerentemente la propria fede nell’uomo e nella sua dignità più profonda – penso tra gli altri ad Aldo Moro di cui ricorre il centenario dalla nascita proprio quest’anno – possiamo trarre ispirazione anche per il futuro e per il tratto di strada che siamo chiamati a percorrere, ri-sostanziando una parola che non potrà che accompagnare gli uomini e le donne fino alla fine dei tempi. La politica, allora, è riempire di senso il presente guardando oltre, verso il futuro e verso le generazioni che nasceranno. È sapere di non essere soli, ma di far parte di una comunità di persone, senza la pretesa di tenere tutto per sé, ma donandosi agli altri. La propria identità si costruisce nei rapporti e nelle relazioni con gli altri. È l’impegno di ogni giorno che chiama a vivere la propria vita senza pensare di essere soli, senza pensare che le proprie azioni non influiscano sugli altri: siamo tutti collegati come fossimo un’unica persona. La vera politica si costruisce e si realizza nella quotidianità, nel fare il proprio dovere con onestà, pazienza e cura, dialogando con tutti, costruendo ponti, con quella serenità e quella letizia che un cristiano acquisisce nel rapporto quotidiano con il Signore e la Sua Parola. Servire e fare bene il servizio, con la consapevolezza di non essere eterni e di essere pronti e capaci di lasciare tutto quando sarà il momento.
Come scriveva proprio Moro nel 1944, prima che la contingenza storica lo chiamasse all’impegno politico, “ciascuno assolva la sua missione nel mondo, sentendola grande e sempre creatrice di storia: dove la grandezza poi sia tutta semplice, interiore, raccolta; dove domini la forza dello Spirito; dove ciascuno passi nella vita senza fretta, senza angustie per mille insane voglie inappagate, senza prepotenza, senza stanchezza; dove ciascuno accetti in pace, quand’è la sua ora, di uscire dalla scena del mondo, con la gioia di avere costruito qualcosa per gli uomini e con la certezza di non finire”.
Dobbiamo riappropriarci della politica, ridarle senso e significato, impastare con essa le nostre esistenze, sognare cose grandi, sperare in futuro solidale e fraterno, costruendo una civiltà dove la dignità dell’essere umano sia rispettata e riconosciuta in ogni suo stadio e forma. Una civiltà più umana e quindi più libera. Una civiltà dell’amore.


Giorgio La Pira, Aldo Moro e Giuseppe Dossetti
durante i lavori dell'Assemblea costituente.
QUEL SOFFIO DI VANGELO SULL'ITALIA 
DIVENTATA REPUBBLICA

Centralità della persona, solidarietà, lavoro, inclusione sociale, pace: certi valori della cultura cattolica rimangono inalterati. Lo si è visto nel recente cammino di riforma del Terzo settore. Una riflessione a 70 anni dal referendum.

Erano «ribelli per amore», per dirla con le parole di Teresio Olivelli, partigiano cattolico, morto nel campo di Hersbruck. Cattolici e cattoliche che resistettero al fascismo e avviarono l’Italia verso la libertà e la democrazia.Enrico Mattei, capo partigiano e poi presidente dell’Eni, al primo congresso dellaDemocrazia cristiana, nell’aprile del 1946, indicò in 65 mila su un totale di 130 mila il numero di coloro che, facendo riferimento in tutto o in parte al Vangelo, aderirono alla lotta partigiana, divisi in 180 brigate. Ma non fu solo questione di cifre. Alcuni di loro, da Giuseppe Dossetti a Benigno Zaccagnini, a Tina Anselmi, a Paolo Emilio Taviani a Ermanno Gorrieri, per stare solo ai nomi più conosciuti, diedero un contributo fondamentale per la ricostruzione materiale e morale del Paese. 

Il 2 giugno, la data che consacra il passaggio dalla monarchia alla Repubblica, ma anche che insedia l’Assemblea costituente, li vide protagonisti, alla ricerca dei modi migliori per incarnare il sogno di un’Italia libera e giusta. I “professorini”– il gruppo dei giovani Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giuseppe Lazzati, che faceva riferimento a Dossetti – lavorarono per dare all’Italia una democrazia inclusiva, una Carta costituzionale che mettesse tra i suoi principi irriformabili uguaglianza, solidarietà, lavoro.Che ponesse al centro la persona come valore assoluto, come teorizzava Emmanuel Mounier. Lo fecero dialogando con tutte le culture e trovando una sintesi alta che allontanasse il nostro Paese dagli orrori appena vissuti. 

Un impegno, quello dei cattolici, che ha retto le sorti dell’Italia anche negli anni bui delle contestazioni e del sangue, dei tentativi di svolte autoritarie e di rivoluzioni senza ritorno. 
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Il 2 giugno 1946 le donne hanno potuto finalmente votare ed essere votate, raggiungendo la piena parità di diritti politici rispetto agli uomini. 
Era il referendum per la scelta della forma di Stato e 21 donne entrarono a far parte della Costituente.