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giovedì 31 marzo 2016

LA PASQUA SECONDO MARTINI Dialogo tra mons. Gianfranco Ravasi e mons. Carlo Maria Martini (allora Arcivescovo di Milano)

Dialogo tra mons. Gianfranco Ravasi e mons. Carlo Maria Martini (allora Arcivescovo di Milano)


LA PASSIONE, LA RISURREZIONE. E GERUSALEMME.

«Già il Nuovo Testamento ha molti modi di dire la Pasqua, un evento tanto straordinario, luminoso, indicibile, da aver bisogno di essere riletto continuamente e di essere ripreso in varie forme, sia attraverso la formula più semplice: "Il Signore è risorto, Dio lo ha risuscitato dai morti", sia con altre più ricche: "Lo ha fatto sedere alla destra del Padre, lo ha glorificato, lo ha esaltato, ha inviato lo Spirito, lo Spirito ci santifica".

Da ciò si vede che si tratta di una esperienza unica e incomparabile, che cambia tutto il sistema di vedere e di sentire l’esistenza, trasformandola e sconvolgendola come un abisso di luce, nel quale ci si perde. Come dire tutto questo oggi? Facciamo fatica, proprio perché questo mistero ci supera da ogni parte, e quindi non possiamo pretendere di ridurlo a una formula, ma continuamente cercare di riesprimerlo a partire da ciò che viviamo. Se si vuol dire questo evento con il linguaggio d’oggi, bisogna partire da un’esperienza vissuta, di novità, di perdono, di speranza, di apertura di orizzonti, di chiarimento di senso, di vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta. E tutto questo centrato sulla figura di Gesù, sul fatto della sua vittoria non solo sulla morte, ma anche sul senso della morte.

Tutto questo va vissuto personalmente e detto volta per volta a seconda delle circostanze. Non riesco a formarmi un vocabolario o una serie di frasi fatte, ma credo di dovermi ogni volta lasciare provocare dall’esperienza di Spirito Santo, di vita nuova, di presenza del Risorto in me, di comunione con la Risurrezione di Gesù attraverso il mistero della sua Passione. Da una parte mi imbarazza questa questione, proprio perché non credo che abbia una risposta facile o predeterminata; dall’altra, mi coinvolge, perché so che posso ridire questa esperienza in tanto quanto essa è viva dentro di me. Certo, molte volte dovrò accontentarmi di ripetere delle formule che ritengo giuste, ma ogni volta che le dico mi accorgo di non riuscire a esprimere ciò che vivo, o di non vivere profondamente ciò che dico. Facciamo l’esempio di una persona che si sente esposta a un pericolo mortale e poi si vede salva: questa persona ha quello choc di esperienza che segna il passaggio da morte a vita, dall’esperienza del nulla e dell’assurdo che sta per soffocarla all’esperienza, invece, di verità, di gioia, di senso. Questo può aiutare a percepire in sé qualcosa di quella esperienza del passaggio dalla morte alla vita, che non è la semplice risurrezione di uno che era morto e che ora vive e basta, ma è quel cambio che è l’avvento del Regno di Dio».
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