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venerdì 11 marzo 2016

Esercizi spirituali del Papa e della Curia Romana (6-11 marzo) sul tema "Le nude domande del Vangelo" / 4

 10 marzo 2016 

La Chiesa e ogni cristiano abbiano per le ferite del mondo la compassione del buon samaritano, perché il prendersi cura di chi soffre migliora i rapporti sociali e argina la cultura dello scarto. È il pensiero di sintesi dell’ottava meditazione tenuta da padre Ermes Ronchi a Papa Francesco e alla Curia Romana, giunti al quinto giorno degli esercizi spirituali ad Ariccia. 

È l’alba della domenica e tre giorni sono trascorsi in un immenso senso di vuoto e molte lacrime. Anche la donna che si avvicina al sepolcro ne ha il volto rigato e la vista della pietra rotolata via aumenta l’angoscia. La ferma una voce: “Donna chi cerchi? Perché piangi?”. Padre Ermes Ronchi parte da questa scena per descrivere il comportamento di Dio verso il dolore dell’uomo.

I tre verbi della compassione
Gesù è risorto, osserva il predicatore, “è il Dio della vita” e si “interessa delle lacrime” della Maddalena. “Nell'ultima ora del venerdì, sulla Croce si era occupato del dolore e dell’angoscia di un ladro, nella prima ora della Pasqua si occupa del dolore e dell’amore di Maria”. Perché, sottolinea padre Ronchi, è questo lo stile di “Gesù, l’uomo degli incontri”: non “cerca mai il peccato di una persona, ma si posa sempre sulla sofferenza e sul bisogno”. E allora, si chiede il religioso, “come fare per vedere, capire, toccare e lasciarsi toccare dalle lacrime” degli altri?:

“Imparando lo sguardo e i gesti di Gesù, che sono quelli del buon samaritano: vedere, fermarsi, toccare, tre verbi da non dimenticare mai (...) Vedere: il samaritano vide ed ebbe compassione. Vide le ferite di quell’uomo, e si sentì ferire (...) La fame ha un perché, i migranti hanno dietro montagne di perché, i tumori della terra dei fuochi hanno un perché. Interrogarsi sulle cause è da discepoli. Essere presenza là dove si piange (...) e poi cercare insieme come giungere alle radici del male e strapparle”.

Non “passare oltre”
In molte scene del Vangelo Gesù vede il dolore umano e prova compassione. Questo vocabolo, dice padre Ronchi, nel testo greco si traduce con sentire “un crampo al ventre”. La vera compassione dunque non è un pensiero astratto e nobile ma un morso fisico. Quello che induce il buon samaritano a non “passare oltre” come fanno il sacerdote e il levita. Anche perché, chiosa padre Ronchi, “oltre non c’è niente, tantomeno Dio”:

“La vera differenza non è tra cristiani, musulmani o ebrei, la vera differenza non è tra chi crede o chi dice di non credere. La vera differenza è tra chi si ferma e chi non si ferma davanti alle ferite, tra chi si ferma e chi tira dritto (...) Se io ho passato un’ora soltanto ad addossarmi il dolore di una persona, lo conosco di più, sono più sapiente di chi ha letto tutti i libri. Sono sapiente della vita”.

La misericordia non è mai a “distanza”
Terzo verbo: toccare. “Ogni volta che Gesù si commuove, tocca”, ricorda il predicatore degli esercizi. “Tocca l’intoccabile”, un lebbroso, il primo degli scarti umani. Tocca il figlio della vedova di Nain e “viola la legge, fa ciò che non si può: prende il ragazzo morto, lo rialza e lo ridà a sua madre”:

Lo sguardo senza cuore produce buio e poi innesca un’operazione ancor più devastante: rischia di trasformare gli invisibili in colpevoli, di trasformare le vittime – i profughi, i migranti, i poveri – in colpevoli e in causa di problemi (...) E se vedo, mi fermo e tocco. Se asciugo una lacrima, io lo so, non cambio il mondo, non cambio le strutture dell’iniquità, ma ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che le lacrime degli altri hanno dei diritti su ciascuno e su di me, che io non abbandono alla deriva chi ha bisogno, che tu non sei gettato via, che la condivisione è la forma più propria dell’umano. (…) Perché la misericordia è tutto ciò che è essenziale alla vita dell'uomo. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. E Dio perdona così: non con un documento, con le mani, un tocco, una carezza”.
(fonte: Radio Vaticana)


L’amore di Dio per l’uomo infiamma il cuore e apre gli occhi. E’ l’architrave della nona meditazione tenuta nel pomeriggio da padre Ermes Ronchi a Papa Francesco e alla Curia Romana, nel quinto giorno degli esercizi spirituali ad Ariccia. “Il contrario dell’amore non è l’odio - ha rimarcato - ma l’indifferenza”, dobbiamo “tornare a innamorarci”.

Tra Pasqua e Pentecoste Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul lago di Tiberiade in una notte “senza stelle”, “amara”, fino “all’alba” con Gesù. Parte da questa scena, con la domanda di amore declinata tre volte dal Signore per avvicinarsi sempre più a Simone, la meditazione di questo pomeriggio. Un quesito centrale per ogni uomo e che “avvia percorsi, inizia processi”. Padre Ermes ribadisce più volte il dinamismo dell’amore di Dio per l’uomo, che tutto trasforma e porta alla santità:

La sanità nella passione per Cristo
“La sanità non consiste nell’assenza di peccati, in un campo senza più erbacce, ma sta in una passione rinnovata, sta nel rinnovare adesso la mia passione per Cristo e per il Vangelo. Adesso”.

Padre Ermes spiega che l’amore di Dio riaccende “i cuori”, “la passione”. “La santità - aggiunge - non è una passione spenta, ma una passione convertita”. “Quando l’amore c’è - dice - non ti puoi sbagliare, è evidente, solare, indiscutibile”.

La fede ha tre passi
E' Dio che “ama l’uomo” - sottolinea - che “colma le povertà”, non cerca in lui “la perfezione”, ma “l’autenticità”. “Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati”. E ribaltando ogni schema parla di “Gesù, mendicante di amore, mendicante senza pretese” che “conosce" la "povertà” di ognuno e che chiede “la verità di un po’ di amicizia”. “La fede - prosegue - ha tre passi": ho "bisogno, mi fido, mi affido":

Il rianimatore di legami
Credere è aver bisogno d’amore, fidarsi e fondarsi su questo, come forma di Dio, come forma dell’uomo, come forma del mondo, del futuro, del vivere. Fidarsi è fondare la vita su questa ipotesi: che più amore è bene, meno amore è male. “E’ abbandonare la regola ogni volta che la regola si oppone all’amore”, diceva sorella Maria dell’eremo di Campello. Mentre il mondo proclama la sua fede, la sua evidenza: più denaro è bene, meno denaro è male. Ma ogni credente è un credente nell’amore: cioè un rianimatore di legami, un risvegliatore di legami, uno che aiuta gli uomini a ritrovare fiducia nell’amore. Noi abbiamo creduto l’Amore”.

Credere è avere una storia con Dio
Padre Ronchi dice che “credere è avere una storia con Dio”, "camminare nell’amore con una persona” e la salvezza è nella certezza che è Lui ad “amare”. “La crisi di fede oggi nel mondo occidentale” - spiega - “incomincia” proprio “con la crisi dell’atto umano di credere”. “Perché non si crede all’amore”. Centrale è che "amore è dare":

Il contrario dell'amore non è l'odio
"Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza che è linfa vitale che alimenta ogni male, la linfa segreta del peccato. L’indifferenza per cui l’altro per te non esiste, non conta, non vale, non è niente".

“Oggi dobbiamo tornare a innamorarci". Amare Dio “con tutto noi stessi, corpo e anima". "Smetti di amare Dio da sottomesso - conclude - smetti di amarlo da schiavo". "Si deve tornare ad amare Dio da innamorati. Allora sì che la vita, e la fede", si riempiranno di sorrisi.
(fonte: Radio Vaticana)


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