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giovedì 9 luglio 2015

LA NOSTRA FEDE E' RIVOLUZIONARIA, EVANGELIZZARE NON CON IL PROSELITISMO,il MA ATTRAENDO CON LA NOSTRA TESTIMONIANZA.Papa Francesco -VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 5

VIAGGIO APOSTOLICO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 5

LA NOSTRA FEDE E' RIVOLUZIONARIA, 
EVANGELIZZARE NON CON IL PROSELITISMO 
MA ATTRAENDO CON LA NOSTRA TESTIMONIANZA.
Siate una testimonianza di comunione fraterna 
che diventa risplendente!
Papa Francesco 


Santa Messa nel Parco del Bicentenario di Quito


7 luglio 2015





Una folla enorme - circa un milione e mezzo di persone - ha fatto da cornice all'arrivo del Papa al Parque del bicentenario di Quito per la celebrazione della Messa, il primo degli appuntamenti della giornata, la terza in Ecuador. Una folla che ha bivaccato per tutta la scorsa notte, anche sotto la pioggia, e ha salutato con grande calore il giro di saluto di Francesco lanciando fiori verso la papamobile. Il giro è stato accompagnato da canti, musica e dalla voce entusiastica di uno speaker.Il Parco, inaugurato il 27 aprile 2013, sorge sul luogo del vecchio aeroporto dove nel 1985 era atterrato Giovanni Paolo II.Prima della Messa, in un salone del Centro congressi che sorge nel Parco, il Papa ha incontrato in forma privata i vescovi dell'Ecuador.



La parola di Dio ci invita a vivere l’unità perché il mondo creda.
Immagino quel sussurro di Gesù nell’ultima cena come un grido, in questa Messa che celebriamo nella Piazza del Bicentenario. Immaginiamoli insieme. il Bicentenario di quel grido di indipendenza dell’America Ispanofona. Quello è stato un grido nato dalla coscienza della mancanza di libertà, di essere spremuti e saccheggiati, «soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 213).

Vorrei che oggi queste due grida concordassero nel segno della bella sfida dell’evangelizzazione. Non con parole altisonanti, o termini complicati, ma una concordia che nasca “dalla gioia del Vangelo”, che «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (ibid., 1), dalla coscienza isolata. Noi qui riuniti, tutti insieme alla mensa con Gesù, diventiamo un grido, un clamorenato dalla convinzione che la sua presenza ci spinge verso l’unità e «segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile» (ibid., 14). 
“Padre, che siano una cosa sola perché il mondo creda” (cfr Gv 17,21): così Gesù manifestò il suo desiderio guardando il cielo. Nel cuore di Gesù sorge questa domanda in un contesto di invio: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,18).


In quel momento, il Signore sta sperimentando nella propria carne il peggio di questo mondo, che ama comunque alla follia: intrighi, sfiducia, tradimento, però non si nasconde, non si lamenta.Anche noi constatiamo quotidianamente che viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza. Sarebbe superficiale ritenere che la divisione e l’odio riguardano soltanto le tensioni tra i Paesi o i gruppi sociali. In realtà, sono manifestazioni di quel “diffuso individualismo” che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 99), frutto della ferita del peccato nel cuore delle persone, le cui conseguenze si riversano anche sulla società e su tutto il creato. Proprio a questo mondo che ci sfida, con i suoi egoismi, Gesù ci invia, e la nostra risposta non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera. La nostra risposta riecheggia il grido di Gesù e accetta la grazia e il compito dell’unità.
...

L’anelito all’unità suppone la dolce e confortante gioia di evangelizzare, la convinzione di avere un bene immenso da comunicare, e che, comunicandolo, si radica; e qualsiasi persona che abbia vissuto questa esperienza acquisisce una sensibilità più elevata nei confronti delle necessità altrui (cfr ibid., 9). Da qui, la necessità di lottare per l’inclusione a tutti i livelli, lottare per l’inclusione a tutti i livelli!, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo, incentivando la collaborazione. «Bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze … Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale» (ibid., 244). E’ impensabile che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. E questo sulle spalle dei più poveri, dei più esclusi, dei più indifesi, di quelli che non perdono la loro dignità a dispetto del fatto che la colpiscono tutti i giorni.

Questa unità è già un’azione missionaria “perché il mondo creda”. L’evangelizzazione non consiste nel fare proselitismo – il proselitismo è una caricatura dell’evangelizzazione – ma nell’attrarre con la nostra testimonianza i lontani, nell’avvicinarsi umilmente a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, avvicinarsi a quelli che si sentono giudicati e condannati a priori da quelli che si sentono perfetti e puri. Avvicinarci a quelli che hanno paura o agli indifferenti per dire loro: «Il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore» (ibid., 113). Perché il nostro Dio ci rispetta persino nella nostra bassezza e nel nostro peccato. Questa chiamata del Signore con che umiltà e con che rispetto lo descrive il testo dell’Apocalisse: Vedi? Sto alla porta e chiamo; se vuoi aprire…; non forza, non fa saltare la serratura, semplicemente suona il campanello, bussa dolcemente e aspetta. Questo è il nostro Dio! 
...
Il nostro grido, in questo luogo che ricorda quel primo grido di libertà, attualizza quello di san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). E’ tanto urgente e pressante come quello che manifestava il desiderio di indipendenza. Ha un fascino simile, ha lo stesso fuoco che attrae. Fratelli, abbiate i sentimenti di Gesù! 
Siate una testimonianza di comunione fraterna che diventa risplendente!


E che bello sarebbe che tutti potessero ammirare come noi ci prendiamo cura gli uni degli altri, come ci diamo mutuamente conforto e come ci accompagniamo! Il dono di sé è quello che stabilisce la relazione interpersonale che non si genera dando “cose”, ma dando sé stessi. In qualsiasi donazione si offre la propria persona. “Darsi” significa lasciare agire in sé stessi tutta la potenza dell’amore che è lo Spirito di Dio e in tal modo aprirsi alla sua forza creatrice. E darsi anche nei momenti più difficili, come in quel Giovedì Santo di Gesù in cui Lui sapeva come si tessevano i tradimenti e gli intrighi, ma si donò, si donò, si donò a noi con il suo progetto di salvezza. L’uomo donandosi si incontra nuovamente con sé stesso, con la sua vera identità di figlio di Dio, somigliante al Padre e, in comunione con Lui, datore di vita, fratello di Gesù, del quale rende testimonianza. Questo significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione – perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria – questo è il nostro più profondo e costante grido.


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Omelia Santa Messa nel Parco del Bicentenario di Quito 7 luglio 2015


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