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lunedì 9 marzo 2015

"Un tempo per la misericordia" di Enzo Bianchi

"Un tempo per la misericordia" 
di Enzo Bianchi

In occasione dell’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII pronunciò la prolusione Gaudet mater ecclesia, un testo ispirato, profetico, che orientò lo svolgimento del Vaticano II in modo differente rispetto ai concili precedenti. Consapevole che la Chiesa ha il dovere di opporsi agli errori e anche di condannarli con la massima severità, come era avvenuto nel passato, Papa Giovanni tuttavia dichiarava con convinzione: «Quanto al tempo presente ... la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore... Così la Chiesa cattolica ... vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati».

Con queste parole si poneva fine a un’epoca caratterizzata da una forte intransigenza assunta nella dottrina, nella morale e nel confronto tra Chiesa e società, tra cattolici e quanti non appartenevano alla Chiesa. È l’apertura al dialogo che successivamente Paolo VI delineò in modo mirabile nell’Ecclesiam suam e che il concilio fece propria, aprendo brecce, abbattendo muri e bastioni, inaugurando quello scambio, quell’ascolto dell’umanità di oggi che in questi cinquant’anni ha sì conosciuto rallentamenti, senza tuttavia mai venir meno.

È in questa linea che, fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto risuonare con tono rinnovato e forte la parola misericordia. Le parole rivolte ai parroci di Roma nel marzo dello scorso anno — «[occorre] ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Noi stiamo vivendo in tempo di misericordia» — rivelano il cuore e il programma dell’attuale pontificato. Più che mai oggi i cristiani, e gli uomini e le donne con loro, in questa situazione mondiale che sentono tanto precaria e segnata da ogni tipo di ferita, abbisognano dell’annuncio della misericordia del Signore. Quando Papa Francesco dice: «La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo” ... Lo vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite!», di fatto fa prevalere su altre immagini della Chiesa, che certo non nega né esclude, quella di una Chiesa che cura le ferite, che si piega sull’uomo, che non ha paura di essere contagiata, che sceglie la prossimità dei peccatori e di tutti coloro che hanno bisogno di salvezza.
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