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martedì 31 marzo 2015

Don Tonino Bello: Canterà finalmente un gallo pure per noi?

Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte». (Gv 13, 36-38)
...
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. 
...Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?».Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. (Gv 18,15-17.25-27)

Proponiamo una riflessione di Don Tonino Bello sulle lacrime di Pietro durante un ipotetico dialogo con Maria  (Fonte: Sentinelle del mattino, Luce & Vita insieme - la meridiana, Molfetta 1990)

«Anche Pietro, in fondo, era innamorato di trasparenza. Non tanto perché voleva vederci chiaro, quanto perché voleva vedersi dentro, per poter restituire la sua povera vita a limpidezze degne del suo Signore. Per questo, non bastava l’acqua esterna delle abluzioni e, nella notte dei tradimenti, ritirò i piedi dal catino. Voleva dire al Signore, chino davanti a lui, che la vera opacità non era quella delle sue prosaiche unghie, e che le croste più maleodoranti di sporcizia non aderivano ai suoi alluci. Era il fondo della sua anima che sentiva il bisogno di liberare dalla morchia. (…) 
Io non so, Maria, se in quella notte allucinante, le sue lacrime Pietro le venne a versare sul tuo grembo. E tu gliele asciugasti, così come facciamo noi con i cristalli di Boemia dopo averli lavati. Una cosa è certa: che da quel momento Pietro è rimasto per tutti noi l’icona delle nostre più struggenti nostalgie di trasparenza. Perché anche noi proviamo la nausea della falsità: della nostra, prima che di quella altrui. Solo che non troviamo ancora singhiozzi liberatori. Ci sentiamo pure noi consanguinei della menzogna, parenti stretti dell’impostura, figli dei doppi sensi. Ma le acque lustrali del pianto fanno fatica a inumidire le nostre ciglia. (…) 
Canterà finalmente un gallo pure per noi? Ritroveremo, anche noi come Pietro, nel battesimo delle lacrime la trasparenza del vivere, e la lucidità del morire fosse anche col capo all’ingiù per contemplare meglio la trasparenza del cielo? Sarà concessa pure a noi, come a Te, Madre purissima, la beatitudine di sentirci scomporre alla luce dello sguardo di Dio, come una goccia d’acqua, nelle iridescenze dell’arcobaleno?».


Il bilancio di due anni di pontificato. "Francesco parla alle periferie dell’uomo" di Bruno Forte

Il bilancio di due anni di pontificato. 
"Francesco parla alle periferie dell’uomo" 
di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

Lo scorso 13 marzo Papa Francesco è entrato nel suo terzo anno di pontificato, solennemente inaugurato con la celebrazione eucaristica del 19 Marzo 2013. Nei due anni trascorsi numerosi sono stati i messaggi e i gesti con cui egli ha saputo congiungere tradizione e rinnovamento, fedeltà all’identità della Chiesa e apertura al soffio sempre nuovo dello Spirito di Dio. Pur nell’impossibilità di tracciarne un bilancio esauriente, mi sembra che tre coppie di espressioni possano aiutare a cogliere la novità e la profondità di quanto questo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” sta trasmettendo al popolo dei credenti e all’intera famiglia umana. La prima coppia contrappone all’atteggiamento dell’“autoreferenzialità” il programma di una Chiesa “in uscita”: autoreferenziale è chi pone al centro di tutti i rapporti se stesso, e tale sarebbe una Chiesa che cercasse la propria affermazione e il proprio interesse e non la gloria di Dio e la salvezza degli uomini. “In uscita” è la Chiesa proiettata verso il suo Signore, tesa a celebrarne il primato nell’ascolto obbediente e nell’adorazione, rivolta al tempo stesso agli uomini, alle loro necessità più profonde, al servizio della loro salvezza eterna. Le ragioni per cui la Chiesa è chiamata a essere sempre in “uscita” risiedono anzitutto nel comando di Gesù, che invia quanti credono in Lui a portare a tutti la gioia della buona novella: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15). C’è, poi, l’urgenza che arde nel cuore di chi ha incontrato il Signore e lo rende sempre pronto a parlare di Lui, rendendo ragione della speranza che ha in sé e agendo con la passione della carità specialmente verso i piccoli e i poveri. Infine, a spingere verso l’“uscita” missionaria è il bisogno di luce e di salvezza degli uomini, espresso nell’immagine forte e concreta usata di frequente da Francesco delle “periferie”, spesso dimenticate o trascurate, che interpellano l’attenzione e l’impegno di chi ha il dono della fede ...
La seconda coppia di espressioni care a Papa Francesco congiunge per contrasto la “cultura dello scarto” all’idea di una Chiesa “povera e per i poveri”: "C'è un'indole del rifiuto - ha affermato il Pontefice nell’udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede lo scorso 12 gennaio - che induce a non guardare al prossimo come a un fratello da accogliere, a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare... Si tratta di una mentalità che genera quella ‘cultura dello scarto’ che non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso. Da essa nasce un'umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta". Ne consegue la tragica realtà che Francesco ha definito "una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi". ...
Francesco vede decisiva la testimonianza di povertà che la Chiesa può dare, fondata sulla sequela del Cristo povero e sulla fiducia non nei mezzi umani, ma nella fede in Dio. “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!” fu l’esclamazione, tanto spesso citata, uscitagli dalle labbra durante l’incontro coi rappresentanti dei media il 16 marzo 2013 nel rievocare le ragioni che l’avevano indotto alla scelta del nome Francesco. Povera è una Chiesa che considera sua unica ricchezza la fede nel Signore e il dono del Suo amore. Essa è “per i poveri” se - rifiutando ogni logica di grandezza mondana e di potere - è disposta a mettersi in gioco per la dignità di tutto l’uomo in ogni uomo. Proprio così, rifiutando la logica egoistica dello scarto, essa si pone come un segno a favore della gratuità, del dono di sé come forma autentica dei rapporti umani, sola possibilità rivoluzionaria nei confronti dei calcoli di sopraffazione che avvelenano gli animi e li fanno scivolare verso il conflitto e la legge spietata della forza ...

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"Francesco parla alle periferie dell’uomo" di Bruno Forte (PDF)


lunedì 30 marzo 2015

La Domenica delle Palme a Gerusalemme


La Domenica delle Palme a Gerusalemme



Omelia di P. Aurelio Antista (VIDEO)



Domenica delle Palme
29/03/2015


Omelia di P. Aurelio Antista 
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto




Abbiamo ascoltato il racconto della Passione e della morte del Signore Gesù, un racconto lungo, dettagliato, coinvolgente, un racconto che più che commentato va contemplato, va meditato nel silenzio... io brevemente farò qualche sottolineatura... la prima cosa che vorrei richiamare proprio il senso della parola passione, noi con questa parola indichiamo comunemente le sofferenze, i patimenti a cui Gesù si è sottomesso, ha subito, ma in realtà la parola passione ha anche un altro significato, è la passione d'amore, è un amore appassionato quello di Gesù e questo amore appassionato ci dice la ragione di queste sofferenze e il modo in cui Gesù le ha assunte, le ha vissute, le ha recepite...

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La morte spiegata da una bambina con cancro terminale



La morte spiegata da una bambina 
con cancro terminale



Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.

Ricordo con emozione l'Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l'infermeria infantile e mi sono innamorato dell'oncopediatria.

Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!

Vedo quell'angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L'ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!

Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.

“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”

“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.

“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all'epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.

“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”

Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.

“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.

Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos'è la nostalgia per te, tesoro?”

“La nostalgia è l'amore che rimane!”

Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l'amore che rimane!

Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.

Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.

Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l'aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L'amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

(Fonte: Aleteia)


domenica 29 marzo 2015

La domenica delle Palme di Papa Francesco: Omelia e Angelus - Foto, testi e video


Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Francesco ha presieduto, in una piazza Piazza San Pietro gremita di fedeli, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. 
Al centro della piazza, presso l’obelisco, il Papa ha benedetto le palme e gli ulivi e, al termine della processione che ha raggiunto il sagrato, ha celebrato la Santa Messa della Passione del Signore. Alla celebrazione hanno preso parte - in occasione della ricorrenza diocesana della XXX Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8) - giovani di Roma e di altre diocesi.


 Omelia 

Al centro di questa celebrazione, che appare tanto festosa, c’è la parola che abbiamo ascoltato nell’inno della Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé stesso». L’umiliazione di Gesù.

Questa parola ci svela lo stile di Dio e, di conseguenza, quello che deve essere del cristiano: l’umiltà. Uno stile che non finirà mai di sorprenderci e di metterci in crisi: a un Dio umile non ci si abitua mai!

Umiliarsi è prima di tutto lo stile di Dio: Dio si umilia per camminare con il suo popolo, per sopportare le sue infedeltà. Lo si vede bene leggendo la storia dell’Esodo: che umiliazione per il Signore ascoltare tutte quelle mormorazioni, quelle lamentele! Erano rivolte contro Mosè, ma in fondo andavano contro di Lui, il loro Padre, che li aveva fatti uscire dalla condizione di schiavitù e li guidava nel cammino attraverso il deserto fino alla terra della libertà.

In questa Settimana, la Settimana Santa, che ci conduce alla Pasqua, noi andremo su questa strada dell’umiliazione di Gesù. E solo così sarà “santa” anche per noi!
...
Questa è la via di Dio, la via dell’umiltà. E’ la strada di Gesù, non ce n’è un’altra. E non esiste umiltà senza umiliazione...

...
Durante questa Settimana, mettiamoci anche noi decisamente su questa strada dell’umiltà, con tanto amore per Lui, il nostro Signore e Salvatore. Sarà l’amore a guidarci e a darci forza. E dove è Lui, saremo anche noi (cfr Gv 12,26).

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 Angelus 

Al termine di questa celebrazione, saluto con affetto tutti voi qui presenti, in particolare i giovani.
Cari giovani, vi esorto a proseguire il vostro cammino sia nelle diocesi, sia nel pellegrinaggio attraverso i continenti, che vi porterà l’anno prossimo a Cracovia, patria di san Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Il tema di quel grande Incontro: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia», si intona bene con l’Anno Santo della Misericordia. Lasciatevi riempire dalla tenerezza del Padre, per diffonderla intorno a voi!

E ora ci rivolgiamo in preghiera a Maria la nostra Madre, perché ci aiuti a vivere con fede la Settimana Santa. Anche Lei era presente quando Gesù entrò in Gerusalemme acclamato dalla folla; ma il suo cuore, come quello del Figlio, era pronto al sacrificio. Impariamo da Lei, Vergine fedele, a seguire il Signore anche quando la sua via porta alla croce.

Affido alla sua intercessione le vittime della sciagura aerea di martedì scorso, tra le quali vi era anche un gruppo di studenti tedeschi.

Angelus Domini…

Dopo l'Angelus:

Vi auguro una Santa Settimana in contemplazione del Mistero di Gesù Cristo.

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Conclusa la celebrazione il Santo Padre non ha rinunciato al saluto dei fedeli in piazza.

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Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - Domenica della Passione del Signore



Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)






Preghiera dei Fedeli

«Davvero era figlio di Dio» - La Croce capovolge la storia - P. Ermes Ronchi

«Davvero era figlio di Dio» - La Croce capovolge la storia

Domenica delle Palme Anno B
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47)

Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un'azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me» (....).

In questa settimana santa, il ritmo dell'anno liturgico rallenta: sono i giorni del nostro destino e sembrano venirci incontro piano, ad uno ad uno, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. E deporre sull'altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto, consolazione, una lacrima. E l'infinita passione per l'esistente.
«Salva te stesso, scendi dalla croce, allora crederemo». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Gesù, no.
Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Perché il Dio di Gesù è differente: è il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perché là è risucchiato ogni suo figlio. 
Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di essere con l'amato, unito, stretto, incollato a lui, per poi trascinarlo fuori con sé nel mattino di Pasqua. 
Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
L'ha capito per primo un estraneo, un soldato esperto di morte, un centurione pagano che formula il primo credo cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte da restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni. L'uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio, del suo disarmato amore; che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé. 
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini.
Come quell'uomo esperto di morte, anche noi, disorientati e affascinati, sentiamo che nella Croce c'è attrazione, e seduzione e bellezza e vita. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore. La nostra fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d'amore. Bello è chi ama, bellissimo chi ama fino all'estremo. La mia fede poggia su di un atto d'amore perfetto. E Pasqua mi assicura che un amore così non può andare deluso.
Ermes Ronchi
(fonte: Avvenire)


sabato 28 marzo 2015

Da vedere!!! "Se sei felice tu lo sai batti le mani..."


Proprio mentre il medico stava controllando con l’ecografia la crescita di un bimbo alla 14esima settimana di gestazione, il piccolo si è messo a battere le mani e il papà ha ripreso tutta la scena con la sua videocamera. 
Poi, per fare un video-annuncio per tutta la famiglia e festeggiare l’arrivo del nuovo bimbo, i genitori hanno deciso di fare un montaggio con la voce di mamma e papà che divertiti ed emozionati cantano la canzoncina per bambini (conosciuta anche qui in Italia) "Se sei felice tu lo sai batti le mani...". 
Così ne è venuta una sequenza straordinaria in cui sembra quasi che il bimbo si muova seguendo il ritmo della canzone. 
Il video è stato caricato dalla futura mamma Jen Cardinal sul suo canale Youtube.

Guarda il video


Santa Teresa D'Avila attuale dopo 500 anni

Al compimento dei cinquecento anni dalla nascita di santa Teresa di Gesù, desidero unirmi, insieme con tutta la Chiesa, al rendimento di grazie della grande famiglia Carmelitana scalza – religiose, religiosi e secolari – per il carisma di questa donna eccezionale.

Considero una grazia provvidenziale che questo anniversario coincida con l’Anno dedicato alla Vita Consacrata, nella quale la Santa di Ávila risplende come guida sicura e modello attraente di donazione totale a Dio. Si tratta di un motivo in più per guardare al passato con gratitudine, e per riscoprire “la scintilla ispiratrice” che ha dato impulso ai fondatori e alle prime comunità (cfr Lettera ai consacrati, 21 novembre 2014).

Quanto bene continuano a fare a tutti noi la testimonianza della sua consacrazione, nata direttamente dall’incontro con Cristo, la sua esperienza di preghiera, come dialogo continuo con Dio, e la sua vita comunitaria, radicata nella maternità della Chiesa!

Santa Teresa è soprattutto maestra di preghiera. Nella sua esperienza è stata centrale la scoperta dell’umanità di Cristo. Mossa dal desiderio di condividere questa esperienza personale con gli altri, la descrive in maniera vivace e semplice, alla portata di tutti, perché essa consiste semplicemente in «un rapporto d’amicizia … con chi sappiamo che ci ama» (Vita, 8, 5). Molte volte la stessa narrazione si trasforma in preghiera, come se volesse introdurre il lettore nel suo dialogo interiore con Cristo. Quella di Teresa non è stata una preghiera riservata unicamente ad uno spazio o ad un momento della giornata; sorgeva spontanea nelle occasioni più diverse: «Sarebbe cosa ardua se si potesse fare orazione solo in luoghi appartati» (Fondazioni, 5, 16). Era convinta del valore della preghiera continua, benché non sempre perfetta. La Santa ci chiede di essere perseveranti, fedeli, anche in mezzo all’aridità, alle difficoltà personali o alle necessità pressanti che ci chiamano.

Per rinnovare oggi la vita consacrata, Teresa ci ha lasciato un grande tesoro, pieno di proposte concrete, vie e metodi per pregare, che, lungi dal chiuderci in noi stessi o dal condurci solo ad un equilibrio interiore, ci fanno ripartire sempre da Gesù e costituiscono un’autentica scuola per crescere nell’amore verso Dio e verso il prossimo.

A partire dal suo incontro con Gesù, santa Teresa ha vissuto “un’altra vita”; si è trasformata in una comunicatrice instancabile del Vangelo (cfr Vita, 23, 1). Desiderosa di servire la Chiesa, e di fronte ai gravi problemi del suo tempo, non si limitò ad essere una spettatrice della realtà che la circondava. Nella sua condizione di donna e con le sue difficoltà di salute, decise – dice lei – «di fare quel poco che dipendeva da me … cioè di seguire i consigli evangelici con tutta la perfezione possibile e procurare che queste poche suore che stanno qui facessero lo stesso» (Cammino, 1, 2). Così cominciò la riforma teresiana, nella quale chiedeva alle sue sorelle che non perdessero tempo trattando con Dio «interessi di poca importanza» mentre «il mondo è in fiamme» (ibid., 1, 5). Questa dimensione missionaria ed ecclesiale ha da sempre contraddistinto le Carmelitane e i Carmelitani scalzi.

Come fece allora, anche oggi la Santa ci apre nuovi orizzonti, ci convoca per una grande impresa, per guardare il mondo con gli occhi di Cristo, per cercare ciò che Lui cerca e amare ciò che Lui ama.

Santa Teresa sapeva che né la preghiera né la missione si possono sostenere senza un’autentica vita comunitaria. Perciò, il fondamento che pose nei suoi monasteri fu la fraternità...

... Donna aperta a tutte le problematiche del suo tempo, esperta consigliera, attenta ascoltatrice, spontanea, amabile, arguta e profonda, ancora oggi, nel suo 500esimo compleanno, ha il dono di piacere. Sono molti quelli che possono chiamarla “Madre” perché la riconoscono come generatrice di vita nello Spirito, Maestra e Dottore nella Chiesa di Dio, generosa donatrice dei doni ricevuti. Quando le fu detto che era vicino il passaggio alla vita eterna esclamò: «Finalmente è giunta l’ora di vederci… Infine, sono figlia della Chiesa!», quasi a prendere la Chiesa quale garante della sua vita.

... Frequentando la potente scrittura mistica della santa, ho preferito invece pormi una domanda fondamentale: a parte il culto dei santi, valido (dovrebbe) per un cattolico, cosa ha da dire oggi una donna che decise di raggruppare poche consacrate in luoghi silenziosi di clausura, perché fossero dedite alla preghiera e alla penitenza? Oltre allo stupore per la vigoria delle figure di santi del tempo (Sant’Ignazio, San Giovanni della Croce, San Pietro d’Alcantara!), le parole di Teresa d’Avila comunicano qualcosa oggi o sono irrimediabilmente segnate dal tempo (e in quel tempo confinate)? C’è un libro importante nella produzione della santa spagnola: Il castello interiore. In questo libro, c’è un lascito prezioso, non dirò anche per noi, ma soprattutto per noi, confusi e ammollati uomini d’Occidente del XXI secolo...

Cinquecento anni fa, il 28 marzo, nasceva Santa Teresa d’Ávila. Riformatrice della regola carmelitana, mistica e dottore della Chiesa, fu una donna capace di abbandonarsi totalmente a Dio: i suoi sconvolgimenti interiori e la sua conversione coincisero con un momento storico di grandi mutamenti anche per la Chiesa. Come un viaggio alla ricerca del Mistero che si nasconde nell’animo umano, lo spettacoloTeresa d’Ávila, un castello nel cuore, in scena dal 30 marzo al 12 aprile al teatro dell’Ex-Sant’Uffizio di Roma (in piazza della Cancelleria), si propone di ripercorrere la vicenda umana e spirituale della santa spagnola senza trascurare «le pietre che la bloccarono», i frangenti di crisi, gli sforzi compiuti dalla monaca (che entrò in convento a soli 19 anni) per non indulgere alla vanità. 
Sul palco, l’attrice Pamela Villoresi: 43 anni di carriera, 130 testi portati in scena a teatro e un sostanzioso “pacchetto” di film (tra cui La grande bellezza di Paolo Sorrentino) e fiction televisive (come le serie Ligabue di Salvatore Nocita e Il commissario De Vincenzi di Mario Ferrero). «Sognavo da più di vent’anni di realizzare questo spettacolo – spiega l’artista –, da quando cioè, durante una tournée con il Piccolo Teatro di Milano a Madrid, decisi di fare una gita nella vicina Castiglia e, giunta ad Ávila, rimasi colpita da una statua bianca e imponente, una figura femminile in estasi che mi comunicava saggezza, dolcezza e, soprattutto, energia: era Santa Teresa. 
Decisi così di studiarla e restai affascinata dai suoi percorsi spirituali, dai suoi scritti teologici poderosi e profondi, dalla sua coraggiosa esistenza. Fu, per me, come scoprire “il cuore pulsante del mondo”». Ma non è stato facile definire un adattamento teatrale che potesse raccontare sia la grandezza filosofica che la vita contemplativa di questa «femmina inquieta e vagabonda» come la definì il cardinale Filippo Sega, nunzio apostolico in Spagna ai tempi in cui viveva la santa...

Il 28 marzo ricorrono i 500 anni dalla nascita di Santa Teresa d’Avila. Torniamo su questa donna speciale, proclamata “Dottore della Chiesa” grazie a P. Antonio Sicari, carmelitano, e a Suor Eliana, delle carmelitane di Santa Teresa di Firenze

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“Giuseppe, guida dei fratelli” di Aurelio Antista, ocarm (VIDEO INTEGRALE)

“Giuseppe, guida dei fratelli”
 di Aurelio Antista, ocarm 
(VIDEO INTEGRALE)


I MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA – 2015
della Fraternità Carmelitana
di Barcellona P.G. (ME)

AFFIDATI AD UNA PROMESSA
Il cammino umano e di fede dei Patriarchi



25 FEBBRAIO 2015         


Gli ultimi 14 capitoli del libro della Genesi raccontano la storia di Giuseppe. In un certo senso egli non è uno dei patriarchi, ma piuttosto il figlio ideale e perfetto dei patriarchi. La storia di Giuseppe, la sua vita travagliata e insieme gloriosa, i suoi atteggiamenti, le sue scelte, descrivono la santità che Dio propone al suo popolo Israele e, in modo ancora più preciso, è anticipo e profezia della vocazione di Gesù di Nazareth, quale Messia e Salvatore di tutta l’umanità.

Giuseppe è un uomo di fede, come lo sono stati i suoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe. La sua fede viene espressa come “timore di Dio”: “Io temo Dio” (Gen 42,18). Eppure, la storia di Giuseppe si distingue per la sua “laicità” e “secolarità”. Il timore di Dio che accompagna l’intera sua esistenza non è motivato da un intervento o manifestazione particolare da parte di Dio. Lo “straordinario”, il “miracolo” della storia di Giuseppe sta nella sua “ordinarietà”. Dio parla spesso ad Abramo, un poco meno ad Isacco e a Giacobbe, e non parla mai a Giuseppe; ma nella storia di lui Dio è presente sempre, non come uno spettatore inattivo, ma come protagonista. Lo afferma lo stesso Giuseppe, alla fine del libro, rivolto ai suoi fratelli: “Non temete, sono io forse al posto di Dio? Se voi avete pensato del male verso di me, Dio ha pensato di farlo servire ad un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini” (Gen 50, 19-21).

           Giuseppe è una figura poliedrica e complessa. La sua storia si snoda attraverso una molteplicità di situazioni e di avventure che esigono di essere decifrate. Ancora più importante è individuare una chiave di lettura teologico-spirituale che lega insieme la complessità del personaggio e le vicende che lo riguardano. In quest’ottica, la storia di Giuseppe può essere letta come l’intrecciarsi di due elementi: la discesa e la risalita che configurano un grande disegno, un disegno pasquale. Discesa e risalita sono descritte in stretta connessione tra loro e prefigurano un elemento essenziale della storia della salvezza, così come sarà sperimentata dal popolo di Dio e, nella pienezza dei tempi, dal Messia. Per la Bibbia, quindi, Giuseppe è colui che discende e risale e nella sua persona prefigura il destino di Israele e di Gesù di Nazaret, Messia e Salvatore del mondo.
               La storia della salvezza è ancora nella sua fase iniziale, siamo al tempo delle promesse. Ma proprio in questo tempo in cui sono date le promesse e i compimenti sono solo attesi, già è data una premonizione dello sviluppo completo del viaggio che il popolo di Dio, Israele, compirà e che troverà il suo compimento con il Messia. La storia di Giuseppe, quindi, è promessa, anticipazione e sguardo profetico della discesa e della risalita nelle quali l’intero progetto di salvezza di Dio si esprimerà e si compirà.
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GUARDA IL VIDEO INTEGRALE


L’elogio delle lacrime - JESUS, marzo 2015 La bisaccia del mendicante di ENZO BIANCHI


JESUS, marzo 2015
La bisaccia del mendicante

Rubrica di ENZO BIANCHI



Al sorgere del ricordo di alcuni eventi o insegnamenti ricevuti nella mia giovinezza, mi assale il sentimento di aver vissuto una vita in un mondo che non solo non esiste più, ma che appare oggi strano se non inverosimile. Così, in questi giorni quaresimali, mi ritorna in mente come allora fosse frequente la preghiera per ottenere il dono della lacrime: sì, si pregava per piangere! Oggi invece non vediamo facilmente le persone piangere, perché le lacrime appaiono come un segno di fragilità, qualcosa di cui vergognarsi, che comunque non va mostrato perché giudicato come cosa da bambini o da donne: gli adulti sanno dominare le lacrime e hanno il dovere di vivere e comportarsi siccis oculis, “con gli occhi secchi”.

In realtà, uomini e donne continuano a piangere e non credo a quanti affermano che le lacrime sono frequenti solo in alcune epoche come il romanticismo: forse è vero che le arti, la pittura, la musica non le testimoniano in tutte le epoche, ma il cuore umano sa piangere sempre. Certo, nella misura in cui si riduce il bene al benessere e il male al malessere, molti si impegnano a evitare accuratamente la possibilità della sofferenza fino a rimuoverla e negarla: di conseguenza, non si “lasciano andare” a piangere, soprattutto di fronte agli altri, eppure a volte anche costoro conoscono il pianto e il suo imporsi.
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Io mi sento di fare l’elogio delle lacrime, e ancora oggi, quando sento che i miei giorni rischiano di scorrere siccis oculis, allora recito l’orazione per chiedere il dono delle lacrime. E quando sopraggiungono come pura gratuità, le lascio scorrere e cerco di non temere se altri vedono. Del resto, cosa vedono in realtà? Ciò che sto vivendo di dolore o di gioia... Sì, quando si hanno le lacrime agli occhi, lo sguardo è come velato ma discerne più in profondità: la visione è “ante et retro oculata”, si vede davanti e di dietro, si vede “altrimenti”.
Un cristiano, poi, nella preghiera dei salmi trova tante volte le lacrime: lacrime che sono pane che uno mangia, lacrime che Dio raccoglie in un otre perché non le dimentica ma le considera preziose, lacrime di pentimento per il male fatto, lacrime di esultanza che sgorgano come danza di gioia... E come dimenticare che anche Gesù ha pianto, svelandoci che in lui Dio ha conosciuto i sentimenti umani fino a piangere: ha pianto sull’umanità piangendo su Gerusalemme, ha pianto per amore del suo amico Lazzaro, ha pianto per la propria sofferenza e morte. La Lettera agli Ebrei (5,7-8) ci dice anche che Gesù piangendo ha imparato l’obbedienza...

Papa Francesco nel recente viaggio nelle Filippine ha incontrato una donna che piangeva e subito dopo ha esclamato semplicemente: “Impariamo a piangere... se non imparate a piangere non potete essere buoni cristiani!”. Cioran affermava che “nell’ultimo giudizio saranno pesate solo le lacrime” e Camus ribadiva che “nessuna lacrima deve andare persa, nessuna morte deve accadere senza una risurrezione”.




venerdì 27 marzo 2015

La “carezza” di Papa ai 150 senzatetto alla Sistina "Benvenuti nella casa di tutti, la vostra casa dove le porte sono sempre aperte per tutti” (cronaca, interviste, foto e video)


Erano già stati avvolti dal distillato di bellezza ammirata a quel momento. Ma quando nella Cappella Sistina è entrato il Papa, l’emozione è stata ancora più viva e profonda. Francesco e i suoi amici senza fissa dimora. Stretti nell’abbraccio di quella che un giorno san Giovanni Paolo II definì la «policromia michelangiolesca». Uno dei luoghi più sacri della cristianità, l’ambiente che da secoli vede l’alba di ogni pontificato, compreso quello dell’uomo vestito di bianco che in quel momento era davanti a loro, si è aperto ieri pomeriggio per lasciar entrare 150 senzatetto. 



 Fotografie e filmati ufficiali non ce ne sono. Per espressa volontà del Papa. Che nel dare il suo beneplacito all’iniziativa dell’Elemosiniere pontificio, l’arcivescovo Konrad Krajewski, ha voluto che a parlare fossero solo la bellezza dei luoghi e la verità di ognuna di queste vite. Senza nessun’altra speculazione possibile.

Non è comunque difficile immaginarsela, la scena dell’incontro. Anche solo attraverso le parole del sobrio comunicato del vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini. Un incontro semplice, gioioso, familiare, come è confermato dal fatto che Francesco fosse «accompagnato – si legge nella nota – solo da un maggiordomo». E poi quello stringersi di mani, come tra padre e figli, l’incontro degli sguardi, i sorrisi, qualche lacrima che sicuramente avrà solcato i canyon scolpiti fra le rughe di quei 150 volti.

Quando il Papa ha preso la parola l’idea di famiglia si è fatta palpabile.«Benvenuti – ha detto Francesco –. Questa è la casa di tutti, è casa vostra. Le porte sono sempre aperte per tutti». Il Pontefice ha quindi ringraziato monsignor Krajewski per aver organizzato la visita, che ha definito «una piccola carezza» per gli ospiti. E poi ha aggiunto: «Pregate per me. Ho bisogno della preghiera di persone come voi. Il Signore vi custodisca, vi aiuti nel cammino della vita e vi faccia sentire il suo amore tenero di Padre». Il Papa ha infine salutato i presenti uno ad uno, intrattenendosi con gli ospiti per oltre 20 minuti...

Si è avvicinato, mi ha stretto le mani e mi ha detto pregate per me che sono un peccatore”. Claudio ha le lacrime agli occhi quando ci racconta del suo incontro con papa Francesco. “Ci pensi, lui ha detto a me che è un peccatore, lui, l’uomo più buono della Terra, il Papa della povertà”. Claudio è uno dei 150 clochard, rom, uomini e donne che vivono ai margini della società, che alle sette di sera escono in gruppo dalla loro visita in Vaticano. 
Per la prima volta un pezzo di umanità dolente ha potuto alzare gli occhi e tuffarsi nella maestosità dei dipinti della Cappella Sistina. Ammirare la tenebrosa bellezza del Giudizio Universale, calpestare i mosaici che tutti i Papi hanno calpestato prima di mostrarsi al mondo. Bruno e la sua donna, “conosciuta per strada, quando per tetto avevo il buio del cielo”, dice, hanno ricevuto un abbraccio di papa Francesco. “Per tutti ha avuto parole buone, ma una frase in particolare mi ha colpito: questa è la casa di tutti”. 
Le ricchezze inestimabili dei Musei Vaticani, la quiete dei giardini dove papa Bergoglio passeggia meditando, “casa di tutti”. “Capisci – riflette Claudio – anche nostra, di gente che vive per strada, di chi ha poco. Papa Francesco sta davvero cambiando la Chiesa”. Glielo lasceranno fare, chiediamo? “Ci sono molte resistenze”. C’è anche un gruppo di rom. “Viviamo nel campo della Fiera di Roma, siamo una famiglia di quindici fratelli”, ci dice una ragazzina vestita con gli abiti buoni e i gioielli della festa. È con sua madre. “È stata una visita meravigliosa, un regalo che la Chiesa ha voluto farci, ma la sorpresa più bella è stata l’arrivo del Papa, è comparso all’improvviso, si è fatto abbracciare da tutti, chi aveva il cellulare si è fatto le foto. Poi abbiamo pregato con lui”...

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...“Benvenuti”. Papa Francesco accoglie così, in Cappella Sistina, i 150 senzatetto che per la prima volta hanno visitato i Musei Vaticani. E’ un incontro inatteso, personale, senza immagini ufficiali, bagnato anche dalle lacrime di commozione dei poveri che davvero non pensavano di poter ricevere la “carezza” del Papa. E’ lo stesso Francesco a definire così l’abbraccio caloroso con i suoi ospiti sotto le volte della Sistina, “la casa di tutti, la vostra casa – continua – dove le porte sono sempre aperte per tutti”. E ringrazia per “la testimonianza di pazienza” che è la loro vita. Un pensiero lo rivolge pure all’Elemosiniere, mons. Konrad Krajewski: “vi ama tanto”, dice il Papa, e i poveri seduti sulle sedie rosse, usate per le cerimonie ufficiali, rispondono che lo sanno e lo sentono. “Ho bisogno di preghiere di persone come voi” è la sua richiesta alla quale segue la benedizione. “Il Signore vi custodisca, vi aiuti nel cammino della vita, vi faccia sentire il suo amore e la tenerezza di Padre”. L’incontro si chiude con il saluto personale del Papa ad ogni povero, la carezza si fa gesto concreto, vicinanza, senso di prossimità. 
Il Padre Nostro recitato tutti insieme è l’ultimo atto di ringraziamento per il dono ricevuto: un pomeriggio passato tra il Museo delle Carrozze, il Cortile della Pigna, la Galleria degli Arazzi e delle carte geografiche; una parentesi di bellezza tra le difficoltà di una vita che però fa scoprire il valore della solidarietà e dell’affetto per gli altri. E’ la storia di Massimo, di Sergio, di Motiur e di tanti senza nome...

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“ERA PERDUTO, È STATO RITROVATO”. LA BELLEZZA DELL’AMORE CHE SALVA Rilettura delle Parabole della Misericordia

“ERA PERDUTO, È STATO RITROVATO”. 
LA BELLEZZA DELL’AMORE CHE SALVA 
Rilettura delle Parabole della Misericordia




30 marzo 2015 - ore 19.00 

Auditorium “San Vito” -
Barcellona P. G.



Ivan Bertolami
Rilettura delle Parabole della Misericordia, lette e attualizzate dall’attore Ivan Bertolami e da altri barcellonesi. 
Questo incontro rientra nelle iniziative del Vicariato di Barcellona PG (ME) “In Dialogo con la città – 2015. Custodi dell’umano”.


Le Parabole della Misericordia narrate nel cap. 15 del vangelo di Luca, non solo intendono mostrare il volto umano di Dio Padre e Madre, ma anche coinvolgere gli uditori a rendere più autenticamente umane le relazioni in questo nostro mondo, nelle nostre famiglie e nelle nostre città.

Tali parabole le sentiamo molto attuali oggi, dove sono ritornati a dominare la furbizia a danno del bene comune, la corruzione e la sopraffazione dell’altro, ma anche la barbarie, l’intolleranza, l’odio razziale, etnico e religioso dai tratti feroci e animaleschi, che non hanno nulla a che vedere con Dio e nemmeno con il senso autentico della dignità della persona umana e dell’autentica politica, intesa come costruzione della polis, della città.

Guarda:
la locandina  (PDF)


Origini, pratica e significato spirituale della Via Crucis e le ragioni offerte da papa Francesco per le quali dovremmo farla


Padre Pietro Messa spiega storia e significato spirituale della Via Crucis, indicata anche come "scuola di perfezione cristiana", "missione perpetua" e "batteria contro l'inferno"

Proprio in tempo di Quaresima in più parti del mondo si pratica la Via Crucis, un rito della Chiesa cattolica con cui si ricostruisce e commemora il percorso di Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota.

L'itinerario spirituale della Via Crucis è stato completato in tempi recenti con l'introduzione della ‘Via Lucis’ che celebra i misteri gloriosi, ovvero i fatti della vita di Cristo tra la sua Risurrezione e la Pentecoste.
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... Come molte delle nostre tradizioni cattoliche, la Via Crucis può essere ricca, profonda e significativa, ma allo stesso tempo possiamo perdere di vista il suo significato e il modo in cui relazionarci ad essa nella nostra vita quotidiana.

Ecco allora 8 ragioni offerte da papa Francesco per le quali dovremmo fare la Via Crucis.
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giovedì 26 marzo 2015

«La grazia della gioia». - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano

26 marzo 2015
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.


Papa Francesco:
“è triste essere credente senza gioia”

Non è la dottrina fredda che dà gioia, ma la fede e la speranza di incontrare Gesù. E’ triste un credente che non sa gioire: è quanto ha detto il Papa nell’omelia pronunciata nella Messa del mattino a Santa Marta.

La gioia di Abramo che esulta nella speranza di diventare padre, come promesso da Dio, ha guidato la riflessione del Papa nel commento alle letture del giorno. Abramo è vecchio, così come la moglie Sara, ma lui crede, apre “il cuore alla speranza” ed è “pieno di consolazione”. Gesù ricorda ai dottori della legge che Abramo “esultò nella speranza” di vedere il suo giorno “e fu pieno di gioia”:

“E questo è quello che non capivano questi dottori della legge. Non capivano la gioia della promessa; non capivano la gioia della speranza; non capivano la gioia dell’alleanza. Non capivano! Non sapevano gioire, perché avevano perso il senso della gioia, che soltanto viene dalla fede. Il nostro padre Abramo è stato capace di gioire perché aveva fede: è stato fatto giusto nella fede. Questi avevano perso la fede. Erano dottori della legge, ma senza fede! Ma di più: avevano perso la legge! Perché il centro della legge è l’amore, l’amore per Dio e per il prossimo”.
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Forse, i dottori della legge – osserva con ironia il Papa – potevano anche divertirsi, “ma senza gioia”, anzi “con paura”. “Questa è la vita senza fede in Dio, senza fiducia in Dio, senza speranza in Dio”. E “il loro cuore era pietrificato”. “E’ triste – sottolinea Francesco - essere credente senza gioia e la gioia non c’è quando non c’è la fede, quando non c’è la speranza, quando non c’è la legge, ma soltanto le prescrizioni, la dottrina fredda”:

“La gioia della fede, la gioia del Vangelo è la pietra di paragone della fede di una persona. Senza gioia quella persona non è un vero credente. Torniamo a casa, ma prima facciamo la celebrazione qui con queste parole di Gesù: ‘Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno. Lo vide e fu pieno di gioia’. E chiedere al Signore la grazia di essere esultanti nella speranza, la grazia di poter vedere il giorno di Gesù quando ci troveremo con Lui e la grazia della gioia”.

Leggi tutto: Il Papa: non la dottrina fredda, ma la fede in Gesù dà gioia

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