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martedì 30 settembre 2014

I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ 2014 - TESTIMONI CREDIBILI DEL VANGELO - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto

I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2014
promossi dalla
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto


TESTIMONI CREDIBILI DEL VANGELO
Lettura della esortazione apostolica
Evangelii Gaudium di papa Francesco


Dal 29 Ottobre al 26 Novembre 
Sala del Convento 
dalle h. 20.00 alle h. 21.00



1. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni. (Incipit Evangelii Gaudium)

Leggi:
- I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2014 - Calendario (PDF)

«La vera preghiera viene dal cuore» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano

30 settembre 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco:
“evitare lamentele da teatro, pregare per chi soffre davvero”

Anche il lamento, in momenti bui, diventa preghiera ma guardiamoci dalle “lamentele da teatro”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto da un passo del Libro di Giobbe. Il Papa ha, quindi, ricordato chi vive “grandi tragedie” come i cristiani cacciati dalle loro case per la propria fede.

Giobbe maledice il giorno in cui è nato, la sua preghiera appare come una maledizione. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulla Prima Lettura che ci mostra Giobbe maledire la sua vita. “E’ stato messo alla prova – ha rammentato il Papa – ha perso tutta la famiglia, ha perso tutti i beni, ha perso la salute e tutto il suo corpo è diventato una piaga, una piaga schifosa”. In quel momento, ha sottolineato Francesco, “è finita la pazienza e lui dice queste cose. Sono brutte! Ma lui sempre era abituato a parlare con la verità e questa è la verità che lui sente in quel momento”. Anche Geremia, ha rammentato, “usa quasi le stesse parole: ‘Maledetto il giorno che nacqui!’”. “Ma questo uomo bestemmia? Questa è la mia domanda – si è chiesto Francesco – quest’uomo che sta solo, così, in questo, bestemmia?”

“Gesù, quando si lamenta – ‘Padre, perché mi ha abbandonato!’ - bestemmia? Il mistero è questo. Tante volte io ho sentito persone che stanno vivendo situazioni difficili, dolorose, che hanno perso tanto o si sentono sole e abbandonate e vengono a lamentarsi e fanno queste domande: perché? Perché? Si ribellano contro Dio. E io dico: ‘Continua a pregare così, perché anche questa è una preghiera’. Era una preghiera quando Gesù ha detto a suo Padre: ‘Perché mi ha abbandonato!’”.

E’ una “preghiera quella che fa Giobbe qui. Perché, ha evidenziato, pregare è diventare in verità davanti a Dio. E Giobbe non poteva pregare altrimenti”. “Si prega con la realtà – ha soggiunto – la vera preghiera viene dal cuore, dal momento che uno vive”. “E’ la preghiera nei momenti del buio, nei momenti della vita – ha detto il Papa – dove non c’è speranza, non si vede l’orizzonte”:

“E tanta gente, tanta oggi, è nella situazione di Giobbe. Tanta gente buona, come Giobbe, non capisce cosa le è accaduto, perché è così. Tanti fratelli e sorelle che non hanno speranza. Pensiamo alle tragedie, alle grandi tragedie, per esempio questi fratelli nostri che per essere cristiani sono cacciati via dalla loro casa e rimangono senza niente: ‘Ma, Signore, io ho creduto in te. Perché? Credere in Te è una maledizione, Signore?’”.

“Pensiamo agli anziani lasciati da parte – ha proseguito – pensiamo agli ammalati, a tanta gente sola, negli ospedali”. Per tutta questa gente, e “anche per noi quando andiamo nel cammino del buio – ha assicurato – la Chiesa prega. La Chiesa prega! E prende su di sé questo dolore e prega”. E noi, “senza malattie, senza fame, senza bisogni importanti – ha ammonito – quando abbiamo un po’ di buio nell’anima, ci crediamo di essere martiri e smettiamo di pregare”. E c’è chi dice: “Mi sono arrabbiato con Dio, non vado più a Messa!”. “Ma perché?”, chiede il Papa. “Per una cosina piccolina”, è la risposta. Francesco ha così rammentato che Santa Teresa di Gesù Bambino, negli ultimi mesi della sua vita, “cercava di pensare al cielo, sentiva dentro di sé, come fosse una voce che diceva ‘Ma non essere sciocca, non farti fantasie. Sai cosa ti aspetta? Il niente!’”.

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La croce di Biagio Conte sblocca una situazione diventata insostenibile per la "Missione Speranza e Carità" a Palermo

Una croce sulle spalle, il suo solito saio verde, il bastone da pellegrino, i sandali ai piedi e tantissime immaginette di Gesù nelle tasche. Che fosse un po' bizzarro lo sapevano tutti, dopo quasi venticinque anni di missione a Palermo, ma vederlo addirittura trascinare una croce lungo la Circonvallazione, diretto sulle colline attorno alla città, ha destabilizzato molti. Qualcuno lo ha preso per pazzo, qualcun altro lo ha tacciato di teatralizzare il bisogno, seppur reale. La maggior parte di coloro che l'hanno visto compiere l'ennesimo atto fuori moda, però, gli è andato incontro col sorriso di chi non giudica, ma chiede preghiere e benedizioni.
Biagio Conte, il laico consacrato che a Palermo ha fondato la missioneSperanza e Carità con oltre mille "ultimi" della società in tre strutture attorno alla Stazione centrale, ha scelto la ribellione del silenzio. Una scelta controcorrente in un mondo dove tutti urlano e usano la violenza per affermare pseudo-diritti...

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“Autorità” dice rivolgendosi direttamente ai suoi interlocutori, “riprendete le strutture e, vi prego, anche tutti gli accolti; purtroppo non riesco più a garantire loro la luce, il gas l’acqua, i viveri, le medicine e i tantissimi bisogni per poter portare avanti le comunità, come una mamma che non ha da dare da mangiare al proprio bimbo ed è costretta ad abbandonarlo”. Parole di disfatta e di sconforto...

"Sono stato travolto - racconta - chiunque si fermava ad aiutarmi. Una sola voce. Poveri, bambini, parrocchie, anche il cardinale. Ma pure gente non credente o di altre religioni. Tutti vicini a me e alla mia preghiera. La città mi ha chiamato. Mi ha detto di tornare". Settimane in ritiro a digiunare e a pregare. Prima in una grotta sul monte Grifone, poi nel santuario di Monreale e di San Martino delle Scale. Ma anche tante notti a dormire in strada fra uno spostamento e l'altro. Sulle scalinate delle parrocchie di quartiere...

Guarda anche il nostro post precedente:
Inspiegabile guarigione di Biagio Conte l'«angelo dei poveri» di Palermo dopo un viaggio a Lourdes


lunedì 29 settembre 2014

«Il nostro tesoro» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano

29 settembre 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco:
Satana presenta le cose come buone ma vuole distruggere l‘uomo”

La lotta contro i piani astuti di distruzione e disumanizzazione portati avanti dal demonio — che «presenta le cose come se fossero buone» inventando persino «spiegazioni umanistiche» — è «una realtà quotidiana». E se ci facciamo da parte, «saremo sconfitti». Ma abbiamo la certezza di non essere soli in questa lotta, perché il Signore ha affidato agli arcangeli il compito di difendere l’uomo. Ed è proprio il ruolo di Michele, Gabriele e Raffaele che Papa Francesco ha ricordato nella messa celebrata lunedì 29 settembre, giorno della loro festa, nella cappella della Casa Santa Marta.

Il Pontefice ha fatto subito notare che «le due letture che abbiamo ascoltato — sia quella del profeta Daniele (7,9-10.13-14) sia quella del Vangelo secondo Giovanni (1, 47-51) — ci parlano di gloria.
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Il Pontefice ha poi fatto riferimento all’«altra lettura» tratta dall’Apocalisse (12,7-12). Anche in quel testo, ha precisato, «si parla di gloria, ma come lotta».
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È «la lotta fra il demonio e Dio», ha spiegato. Ma «questa lotta avviene dopo che Satana cerca di distruggere la donna che sta per partorire il figlio». Perché, ha affermato il Papa, «Satana sempre cerca di distruggere l’uomo: quell’uomo che Daniele vedeva lì, in gloria, e che Gesù diceva a Natanaèle che sarebbe venuto in gloria».
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Davanti a questa opera di Satana «gli angeli ci difendono: difendono l’uomo e difendono l’uomo-Dio, l’uomo superiore, Gesù Cristo, che è la perfezione dell’umanità, il più perfetto». È per questo che «la Chiesa onora gli angeli, perché sono quelli che saranno nella gloria di Dio — sono nella gloria di Dio — perché difendono il grande mistero nascosto di Dio, cioè che il Verbo è venuto in carne». Proprio «quello vogliono distruggere; e quando non possono distruggere la persona di Gesù cercano di distruggere il suo popolo; e quando non possono distruggere il popolo di Dio, inventano spiegazioni umanistiche che vanno propriamente contro l’uomo, contro l’umanità e contro Dio».
Ecco perché, ha detto il Papa, «la lotta è una realtà quotidiana nella vita cristiana, nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nelle nostre chiese». Tanto che «se non si lotta, saremo sconfitti». Ma «il Signore ha dato questo compito di lottare e vincere principalmente agli angeli».
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Proprio ricordando la festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il Papa ha ribadito come questo sia, appunto, un giorno particolarmente adatto per rivolgersi a loro. E anche «per recitare quella preghiera antica ma tanto bella all’arcangelo Michele, perché continui a lottare per difendere il mistero più grande dell’umanità: che il Verbo si è fatto uomo, è morto e è risorto». Perché «questo è il nostro tesoro». E all’arcangelo Michele, ha concluso Francesco, chiediamo di continuare «a lottare per custodirlo».

Leggi tutto: Messa a Santa Marta - Angeli e demoni 

PREGHIERA A SAN MICHELE 
San Michele Arcangelo, soccorrici nella lotta e sii nostra difesa con le insidie del diavolo. Ti preghiamo che il Signore lo sottoponga al suo dominio e alla sua potenza invincibile. E, tu, Principe delle schiere celesti, con la forza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni, suoi alleati, che a rovina delle anime si aggirano per il mondo. Amen.

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Omelia di P. Aurelio Antista (VIDEO)


XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - anno A
28/09/2014


Omelia di P. Aurelio Antista
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto



Il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato si apre con una domanda, con un invito che Gesù fa ai suoi interlocutori, ai capi dei sacerdoti ed agli anziani del popolo e che questa sera rivolge anche a noi: "Che ve ne pare?"  E' un invito al discernimento, un invito a guardarsi dentro, un invito alla verifica della qualità della nostra vita, del nostro relazionarci con gli altri...

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"Basta che Dio sia Dio - Ss. Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele" di Antonio Savone


Basta che Dio sia Dio
Santi Arcangeli
Michele, Gabriele e Raffaele
di Antonio Savone




La festa degli Arcangeli narra di un Dio che vuole entrare in comunione con noi scegliendoci come suoi interlocutori ed amici. La festa degli Arcangeli, infatti, racconta di un cielo aperto e di un Dio che ci mette a parte della sua stessa vita, della possibilità di gioire della comunione con lui.

Questa comunione, tuttavia, è sempre minacciata, sempre a rischio. Per questo l’arcangelo Michele cui è dedicata questa chiesa cattedrale è posto a vigilanza e custodia perché nulla ci strappi mai da quel legame a noi offerto dal Signore.

Questa festa liturgica ci ricorda che la vita cristiana è una lotta: proprio perché si tratta di una vera e propria rinascita mai avvenuta una volta per tutte, porta con sé una dimensione di vero travaglio. Ci è forse spontaneo pregare? È forse a noi connaturale amare tutti, spontaneamente, fino a volere anche il bene di chi ci ha fatto del male, come ci ha insegnato Gesù? Chi di noi non patisce una vera e propria crisi nel misurarsi con certe pagine evangeliche?

Il cammino di sequela, il modo in cui guardiamo noi stessi e gli altri, la stessa preghiera, non sono mai un punto di partenza pacifico e assodato una volta per tutte, ma piuttosto un punto di arrivo, il frutto di un cammino che spesso assume il volto di una fatica in cui il primo dato con cui facciamo i conti è la convinzione che non ne valga la pena. Lottiamo con le realtà che troviamo dentro di noi, ancor più che con quelle che troviamo fuori di noi. 

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Questa festa ci restituisce un po’ dello sguardo di Dio. In quel campo che è il nostro cuore abbiamo sempre a che fare con una sorta di parassita molto tenace che è il male. Ricordate la parabola della zizzania nel campo? A noi verrebbe da strapparlo, da reciderlo, ma il Signore lo impedisce finché il percorso non sia compiuto del tutto. A lui sta a cuore il buon grano: una sola spiga vale tutta la zizzania che pure possiamo ospitare dentro di noi. Cosa significa questo per noi? Un invito a guardare il bene e il bello di cui ciascuno di noi è portatore e operatore. Un invito a farlo fruttificare. A noi è richiesta una collaborazione fattiva perché il male non prevalga. Come? Provando anche noi a esercitare il ministero che svolgono gli angeli nei nostri confronti.

Chi è Gabriele? È l’angelo che porta la lieta notizia della nascita di un Salvatore. Di quali notizie io sono portatore? Sono capace di annunziare la lieta notizia di una vicinanza a chi patisce la fatica di non sperare più? Sono capace di mettere in luce il bene di cui i fratelli sono operatori?

Chi è Raffaele? È l’angelo a cui è affidato il compito di guarire. Sono pronto ad essere il segno di un Dio che avvicinandosi al fratello si fa carico della sua condizione? Mi sta a cuore la fragilità e la ferita dell’altro? Sono in grado di essere balsamo?

Chi è Michele? È l’angelo che difende l’unicità di Dio. Ma Dio ha davvero bisogno di essere difeso? Per rispondere a questa domanda vorrei richiamare un testo, tratto dal Diario di Etty Hillesum, una giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz nel novembre 1943. In una pagina del 12 luglio 1942 si legge questa preghiera della domenica mattina: “Mio Dio, questi sono tempi tanto angosciosi… Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini” (Diario, Milano 2006, p. 169).

Disseppellire Dio dal cuore devastato di altri uomini, non distruggerlo dentro di noi, riservare un piccolo pezzo di lui in noi: è il compito che a noi affida Michele in questa festa.

“L’uomo che accetta questa realtà e se ne compiace, trova in cuor suo la serenità. Dio esiste, ed è tutto. Qualunque cosa gli succeda, c’è Dio e la luce di Dio. Basta che Dio sia Dio” (E. Leclerc).



“Ognuno ha l’età dei suoi sogni” un inno alla speranza, agli ideali da coltivare e soprattutto da vivere, al di là dei propri limiti e della propria debolezza.

Incontro mondiale dei giovani:
Simona Atzori danza sulle note dell'inno

E' stato girato negli ambienti di una vecchia fabbrica di armi trasformata in Arsenale della Pace, il videoclip in cui l'artista con i suoi ballerini è protagonista. Il brano "Ognuno ha l’età dei suoi sogni" è l'inno ufficiale del quarto appuntamento promosso dal Sermig a Napoli il 4 ottobre

Un palcoscenico speciale: gli ambienti di una vecchia fabbrica di armi trasformata in Arsenale della Pace. Una canzone nata dalla vita: la storia di un gruppo di giovani che hanno seguito la forza dei loro ideali. L’arte senza limiti al servizio del bene: la passione e la tecnica della ballerina e pittrice Simona Atzori e dei ballerini della Scala, Marco Messina e Salvatore Perdichizzi. Sono questi gli ingredienti del videoclip di “Ognuno ha l’età dei suoi sogni”, canzone nata dall’esperienza del Sermig, la realtà di pace e solidarietà fondata cinquant’anni fa da Ernesto Olivero. Dal 1983 ha casa nel vecchio Arsenale militare di Torino: progetti di sviluppo in tutto il mondo, monastero metropolitano, una casa aperta 24 ore su 24 per chi vuole cambiare, non ha un posto per la notte, vuole cercare il senso della vita. Con un’attenzione particolare ai giovani, che all’Arsenale si incontrano e si impegnano per costruire un mondo migliore, nel nome della giustizia.
Guarda il video

È pensando proprio a loro che Ernesto Olivero e Mauro Tabasso hanno scritto il testo e la musica di “Ognuno ha l’età dei suoi sogni”, interpretata da Marco Maccarelli e inno ufficiale del quarto appuntamento mondiale dei Giovani della Pace in programma il 4 ottobre a Napoli, alle ore 16, in piazza del Plebiscito. Un inno alla speranza, agli ideali da coltivare e soprattutto da vivere, al di là dei propri limiti e della propria debolezza.Un progetto che Simona Atzori e i suoi amici hanno fatto proprio da subito, prestando gratuitamente la loro immagine e la loro arte. Così come l’Agenzia Armando Testa (ideazione: Piero Reinerio) e la sua casa di produzione Little Bull (regia: Augusto Storero, montaggio: Margherita Chiatti). “Sono felice di aver partecipato a questo progetto – dichiara Simona Atzori –. L’Arsenale della Pace di Torino è un luogo che mi è entrato nel cuore con la sua vita, con i suoi percorsi di crescita. Così la canzone ‘Ognuno ha l’età dei suoi sogni’. Vivere questa età significa scegliere la vita senza scuse, nell’amore, nella semplicità, nel non fermarsi mai. È quello che mi hanno insegnato i miei genitori e che continuo a fare”.
“Siamo emozionati all’idea che tante persone abbiano donato le loro competenze, capacità, ma soprattutto il loro cuore – dice Ernesto Olivero, fondatore del Sermig –. Questa canzone è ispirata alla mia storia e a quella dei miei amici: farà del bene e darà tanta speranza, perché al di là di ferite, esperienze del passato, difficoltà, ognuno ha davvero l’età dei sogni che si porta dentro. Chi sogna cambia il mondo. Tanti giovani lo stanno già facendo. A Napoli, lo vorremmo comunicare a tutti, per chiedere agli adulti di ascoltare le nuove generazioni e entrare così in una logica di cambiamento”. (lab) - (Fonte: REDATTORE SOCIALE)

domenica 28 settembre 2014

“La benedizione della lunga vita” - Papa Francesco incontra gli anziani e i nonni di tutto il mondo: discorso, omelia e Agelus (foto, testi e video)


Decine di migliaia di persone sono in Piazza San Pietro per la giornata, intitolata “La benedizione della lunga vita”, dedicata agli anziani e ai nonni del mondo. 


Il Papa ha invitato Benedetto XVI a partecipare ed il papa emerito ha accettato presenziando alla prima parte della giornata.

Guarda l'arrivo di Benedetto XVI

Benedetto XVI accolto sul sagrato da Francesco mentre Andrea Bocelli cantava “Con te partirò”. 


Guarda l'abbraccio tra Papa Francesco e Benedetto XVI

Ha aperto l’incontro mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha definito Benedetto XVI "primo nonno tra tutti i nonni" e ha osservato che spesso la vecchiaia è vissuta come un naufragio e la fragilità come una condanna. Quindi ha ricordato come Anna Magnani fosse orgogliosa delle sue rughe, che, diceva, "me le sono guadagnate una per una". 

Sono seguite poi alcune testimonianze, in particolare quella di Mubarak, profugo dal Kurdistan iracheno, in piazza con la moglie Aneesa: sposati da 51 anni, hanno dieci figli e 12 nipoti. Mubarak ha ricordato le sofferenze del suo popolo. 
Quindi ha parlato Papa Francesco. 


Guarda il video

Dopo il discorso del Papa inizia la seconda fase dell'incontro coi nonni, la Santa Messa presieduta da Francesco e concelebrata da cento sacerdoti anziani.


Il Vangelo che abbiamo ascoltato, oggi lo accogliamo come Vangelo dell’incontro tra i giovani e gli anziani: un incontro pieno di gioia, pieno di fede e pieno di speranza.
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Segue la recita dell'Angelus

Leggi il testo integrale dell'Angelus
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Guarda il video integrale


"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 43/2013-2014 (A) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)


Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica 
di Santino Coppolino




Vangelo: Mt 21,28-32



"Il battesimo di Giovanni da dove veniva ? Dal Cielo o dagli uomini ?"(Mt 21,25)
A questa domanda, rivolta ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, Gesù non riceve risposta perché loro, benché sapessero che il Battista era un uomo di Dio, non vi hanno creduto, così come adesso non credono in Gesù. "Gli esattori delle tasse e le prostitute invece gli credettero"; coloro che erano ritenuti la causa diretta del ritardo dell'avvento del Regno di Dio, sono già nel Regno anzi: "vi passano avanti", che non indica precedenza (prima loro e poi voi) ma esclusione, ne hanno preso il posto. Per questo motivo il Signore compie un segno che provoca scandalo fra i sacerdoti e gli scribi, e turbamento nel popolo: caccia dal tempio "tutti quelli che vendevano e compravano"(Mt 21,12), (ne dichiara cioè la fine), accusa i 'professionisti del sacro' di averlo trasformato in "una spelonca di ladri", ed apre le porte a coloro ai quali ne è vietato l'ingresso perché impuri (cfr. 2Sam 5,6-8): i ciechi e gli storpi (Mt 21,14). Nelle parole di accusa di Gesù si percepisce l'eco della denuncia del profeta Isaia: "Questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora solo con le labbra"(Is 29,13). Gesù ribadisce che non basta dire: "Signore, Signore" (Mt 7,21) per entrare nel Regno, ma la sola cosa che conta è "fare la volontà del Padre". La volontà del Padre è il cuore del Vangelo di Matteo, il riconoscersi figli nel Figlio vivendo da fratelli: diventiamo figli solamente se viviamo da fratelli. Ascoltiamo questa parabola credendo di identificarci con un terzo fratello, che agisce come il primo e parla come il secondo. "Ma questo fantomatico fratello non esiste: chi dice sì, non fa come dice; chi dice di no, può sempre convertirsi" (S. Fausti). La Chiesa è la 'casta meretrix', la prostituta che diventa casta sposa in quanto si riconosce  peccatrice; diventa "sì" ogni qualvolta riconosce il proprio "no". A che giova perciò conoscere tutte le minuzie della Torah, tutta la Teologia, la filosofia e la cultura di questo mondo, a cosa serve tutta questa sapienza, quando poi la vita dice altro? Siamo come il fico sterile (Mt 21,18-22) bello a vedersi, stracarico di foglie ma privo di frutti, e destinato a seccarsi. Siamo come il Tempio Santo di Dio, che è posto sulla cima del monte per essere "Beth Tefillàh LeAmmim - Casa di Preghiera per tutti i Popoli" (Is 56,7) e trasformato invece in una spelonca per ladri, che è utile solo ad ammassare il bottino (l'idolo che realmente serviamo) che abbiamo sottratto ai poveri. Diventiamo realmente figli di Colui del quale si ascolta la parola: o del Padre o del serpente.






sabato 27 settembre 2014

«Basta alla barbarie» - «#NotInMyName, non nel mio nome» - Il vescovo e l'imam: per cristiani e musulmani parole di pace, fratellanza e speranza

I giovani musulmani, dall'Europa, dicono no all'Isis, e alle pratiche terroristiche messe in atto dai combattenti dello Stato islamico. Lo fanno sul web e il “codice” è quello che la rete sa meglio recepire e amplificare: una foto e un messaggio chiaro, da rilanciare sui social: ashtagh #NotInMyName, “non nel mio nome”. Una presa di distanza chiara contro il modo di agire del Califfato, che ha preso le mosse in Gran Bretagna grazie alla Active Change Foundation e che si unisce alle manifestazioni nate in diverse parti del mondo: dalla preghiera nelle moschee in Germania, alle fiaccolate per la pace (l'ultima due giorni fa a Milano).


Gli islamici moderati ci mettono la faccia, per ricordare che l'Isis non è l'Islam e che loro non si sentono rappresentati dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Ecco perché gli attivisti della protesta hanno scelto di utilizzare le stesse piattaforme usate dal Califfato per terrorizzare il mondo, come Twitter e YouTube. (fonte: Avvenire)


Internet, ancora una volta, si rivela uno strumento prezioso per dar voce e trasformare in compagine un universo ampio. Una campagna simile è stata quella per riporate a casa le oltre 200 studentesse nigeriane rapite da Boko Haram: nei mesi scorsi "Bring Back Our Girls" è diventato uno slogan di portata mondiale. 

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Erano migliaia ieri pomeriggio davanti alla Grande moschea di Parigi, nel quartiere latino. Per gridare tutta la condanna e lo sdegno dell’islam francese per la decapitazione mercoledì in Algeria, ad opera dell’Is, della guida alpina Hervé Gourdel.
«Noi, musulmani di Francia, diciamo basta alla barbarie», ha dichiarato Dalil Boubakeur, rettore della Grande moschea e presidente del Consiglio francese del culto musulmano.
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Alcune dei presenti urlano: «Daesh (Isis) assassini», su un cartellone si legge: «Siamo tutti Hervé Gourdel». Una chiara presa di posizione dei «musulmani e dei loro amici», condivisa nelle stesse ore a Lione e in altre città francesi. Una manifestazione preparata, con un appello, 24 ore prima, di Boubakeur e altri leader musulmani: «Nessuno può arrogarsi il diritto di esprimersi in nostro nome», avevano scritto su Le Figarorivendicando «l’onore di dire che “siamo anche noi degli sporchi francesi”». Un chiaro riferimento all’appello, lanciato lunedì scorso dallo Stato islamico che chiedeva ai musulmani di uccidere gli infedeli e «in particolare gli sporchi e cattivi francesi»...

Il vescovo Luciano Monari ha accolto ieri nella sua casa i rappresentanti dei Centri islamici di Brescia e provincia, arrivati in visita di cortesia, ma anche per portare solidarietà, affetto, stima, voglia di reciprocità, attese per un tempo in cui, pur nella diversità delle religioni professate, sia possibile immaginare un luogo in cui riunirsi per pregare e riflettere insieme. Nel dolce pomeriggio bresciano, cristiani e musulmani si sono dati la mano, hanno colloquiato amabilmente, si sono scambiati doni, hanno pronunciato parole di pace, fratellanza e speranza. 
Ma, verrà mai un giorno come quello auspicato? «Il nostro futuro è legato inevitabilmente agli altri, sconosciuti ma fratelli - ha detto il vescovo ai presenti -. Non ci sono più isole e isolamenti; siamo tutti chiamati dalla storia a dialogare e a confrontarci. L'Imam Amin el Hazmi, del Centro islamico di Brescia, è venuto portando con sé, per offrirlo a noi, il bene elargito dal proprio Signore; noi gli assicuriamo di accogliere volentieri quel bene nella luce di Cristo. Questo è un incontro che ci consente di superare sospetti e dubbi, che è motivo di speranza, di nuova speranza».
APPENA PRIMA delle parole del vescovo, la parola dell'Imam, che rappresentava e ampliava quella di tutti i gruppi islamici presenti, aveva disegnato scenari di pace e di concordia. «Siamo venuti nella casa del vescovo di Brescia - ha spiegato Amin el Hazmi - a dirvi che siamo uniti a voi nel dolore causato da irresponsabili che nulla hanno da spartire con la nostra religione, che la fede diversa dalla nostra non ci spaventa, che rifiutiamo la violenza omicida, che vogliamo collaborare con la Chiesa cattolica e le diverse religioni, che vogliamo condividere i giorni e le ore, che siamo una grande famiglia, in cui si soffre e si gioisce insieme».
Tutto straordinariamente semplice, normale e naturale...



Perchè domandare significa vivere - «Lectio magistralis» di Enzo Bianchi a Torino Spiritualità 2014.


Pubblichiamo una parte della «Lectio magistralis» che Enzo Bianchi ha tenuto il 25 settembre al teatro Carignano nell'ambito di Torino Spiritualità 2014.


In noi, umani, abitano molte domande, cioè sentiamo una pulsione a conoscere, a sapere,a comunicare, che ci spinge a porre domande. È significativo che i bambini, non più infanti, pongano continuamente domande, per conoscere il mondo in cui sono giunti. I genitori lo sanno bene: più domande che affermazioni...
L'umano è un essere che interroga e si interroga, quindi cerca una risposta. Ma le domande sono molto più decisive delle possibili risposte, che non sempre emergono per soddisfarle. Se Platone faceva dire a Socrate che «il più grande bene dell'uomo è interrogarsi su se stesso, e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività (Apologia di Socrate 38A), potremmo estendere questa considerazione a tutte le domande fondamentali che riguardano la condizione umana. Rainer Maria Rilke, non ancora trentenne, scriveVa il 6 luglio 1903 in una splendida lettera al giovane poeta Franz Kappus: Caro signore, Lei è così giovane, e si trova com al di qua di ogni inizio, e io vorrei, meglio che posso, caro amico, pregarLa di avere pazienza con tutto ciò che è irrisolto nel suo cuore, e di tentare di amare le domande stesse, come se fossero delle stanze chiuse a chiare, o dei libri scritti in una lingua straniera. Non ricerchi ora le risposte che non possono esserLe date, perché non sarebbe in grado di viverle... Ora viva le domande.
Forse, così, un giorno lontano, a poco a poco, senza accorgersene, si troverà a vivere la risposta... Il nostro compito è difficile, ma quasi tutto ciò che è serio è difficile, e tutto è serio.
Rilke dà come consiglio al giovane di amare le domande - oserei specificare - più che le risposte, perché a volte le risposte non ci sono o non sappiamo trovarle, ma le domande sorgono, ci abitano, ci muovono, ci fanno cercare. E ci sono domande che ci vengono rivolte dagli altri, dall'Atro,che noi possiamo ascoltare o, al contrario, uomo o donna, che ci porge il suo volto.
Il volto, che nella specie umana è unico, è distintivo della persona, e che i nostri occhi vedono, incontrano, leggono, conoscono o riconoscono, è una domanda, come sapeva sottolineare con maestria Emmanuel Lévinas. Permettetemi qui di ricordarvi anche un altro grande autore, per me un vero maestro: Edmond Jabès, che non a caso ha scritto Le Livre des Questions (1963), Il libro delle domande, nel quale questo intellettuale ebreo pone domande e cerca di rispondervi, ma solo attraverso frasi brevi, sintetiche, quasi degli aforismi, in modo che la domanda resti aperta, risuoni ancora e ancora...
Si, il nostro cuore umano è abitato da domande: da dove vengo? Dove vado? Chi sono io? Ciò che mi circonda è reale? E tra tutte le domande, la più grave: perché la morte mi attende?
...



venerdì 26 settembre 2014

“QUANDO PREGATE DITE: PADRE NOSTRO” - HOREB n. 68 - 2/2014

“QUANDO PREGATE DITE: 
PADRE NOSTRO” 

HOREB n. 68 - 2/2014


TRACCE DI SPIRITUALITÀ
A CURA DEI CARMELITANI






         Il desiderio di pregare è sorto nel cuore dei discepoli quando hanno visto Gesù pregare. Gesù, infatti, ha pregato molto spesso. Ha passato persino notti intere in preghiera (cf. Lc 6,12), completamente solo su di una montagna deserta. 

La sua preghiera li ha stimolati: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Ed Egli ha educato i discepoli, ma educa anche noi a non sprecare parole nella preghiera, ma a dire “Padre“, cioè a prendere coscienza che siamo figli amati e a metterci, con confidenza, nelle sue mani, come ci sollecita la preghiera dei salmi: «Sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia» (Sal 131,2). 

Nella notte della vita (cf. Lc 11,5-8) possiamo dimenticare che siamo figli e che lo sguardo del Padre ci accompagna, ed è facile omologarsi a una logica di arroganza e di cattiveria, allora c’è l’invito a pregare con insistenza. Questa esortazione viene ripresa in Lc 18,1, dove Gesù: «Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi (egkakein = anche, incattivirsi, scoraggiarsi) mai». Nella preghiera, il Padre ci dona lo Spirito suo (cf. Lc 11,13) che ci libera dal demonio che ci rende muti (Lc 11,14), ci educa ad essere sempre con Gesù (cf. Lc 11,23) e ci abilita a dire: “Padre”. Dire “Padre” è riconoscere solo lui come Dio della propria vita. 

La preghiera, quindi, è spazio in cui si cresce nella fede e ci vengono aperti gli occhi e facciamo esperienza di essere liberati dalle sottili forme di idolatrie. Prima fra tutte dall’idolatria del nostro “io” (una forma di philautia) che ci fa fare ciò che non vorremmo (cf. Rm 7). 

La preghiera vera non solo è esperienza che ci rende liberi, essa, ancora, ponendoci nell’orizzonte di Dio, ci radica sempre di più “nel cuore della terra” portandoci nel cuore la sua stessa passione di amore. Una persona che prega è, nel senso più letterale, l’anima del mondo. Più vive esclusivamente dello Spirito di Dio, tanto più intensamente vive nel mondo e si fa carico dei fratelli. 

Dentro questa prospettiva si pone la presente monografia, interamente dedicata al Padre Nostro, alla “Preghiera del Signore”, la preghiera che l’orante Gesù ha “consegnato” ai suoi discepoli. 
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«La catechesi di Gesù sulla vera identità» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano


26 settembre 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco:
il cristiano come il cireneo accanto a Gesù

Un cristiano non può capire il Cristo Redentore senza la croce, senza che sia disposto a portarla con Gesù. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia mattutina celebrata nella cappella di Casa Santa Marta.

Cristiano uguale “cireneo”. L’avere fede sta in questa identificazione: si appartiene a Gesù se si regge con Lui il peso della Croce. Altrimenti si percorre una via “buona” all’apparenza, ma non “vera”. A guidare la riflessione di Papa Francesco è il Vangelo del giorno, in cui Cristo chiede ai discepoli cosa dica la gente circa la sua persona ricevendo in risposta le ipotesi più disparate. L’episodio, osserva il Papa, si inquadra nel contesto del Vangelo che vede Gesù custodire “in una maniera speciale la sua vera identità”. In più occasioni, ricorda, quando “qualcuno si avvicinava” a comunicarla, “lo fermava”, così come impedisce più volte anche al demonio di rivelare la sua natura di “Figlio di Dio” venuto a salvare il mondo. Questo perché, spiega Papa Francesco, la gente non equivocasse e pensasse al Messia come a un condottiero venuto a cacciare i Romani. Solo in privato, ai Dodici, Gesù comincia a “fare la catechesi sulla vera identità”
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“Ci prepara ad essere dei cirenei per aiutarlo a portare la Croce. E la nostra vita cristiana senza questo non è cristiana. E’ una vita spirituale, buona… ‘Gesù è il grande profeta, anche ci ha salvato. Ma Lui e io no…’. No, tu con Lui! Facendo la stessa strada. Anche la nostra identità di cristiani deve essere custodita e non credere che essere cristiani è un merito, è un cammino spirituale di perfezione. Non è un merito, è pura grazia.”


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Papa Francesco UDIENZA GENERALE 24 settembre 2014 - foto, testo e video


 24 settembre 2014 

Udienza “bagnata” quella di oggi. Il Papa ha fatto il suo ingresso alle 9.40 sulla jeep bianca, salutato dagli ombrelli variopinti delle oltre 30mila persone presenti in piazza san Pietro, con la pioggia che a Roma aveva cominciata a cadere circa un’ora prima. Tra i presenti, anche un centinaio di ragazze che partecipano al mondiale di pallavolo femminile, cominciati ieri nella Capitale. 
                       
 

Durante il tragitto lungo la piazza, costellato come di consueto di carezze e abbracci ai bambini e disabili, Papa Francesco ha raccolto “al volo” diverse bandiere che gli sono state lanciate dalla folla, tra cui quella bianco e azzurra degli argentini, arrivati a Roma insieme ad altri fedeli sudamericani provenienti da Uruguay, Costarica e El Salvador. Anche oggi, in una delle soste della “papamobile”, è stato offerto il “mate”, la bevanda tradizionale argentina che il Papa ha sorseggiata in fretta. Nell’ultima parte del giro, prima di arrivare al centro del sagrato per dirigersi a piedi e senza ombrello al palco papale, Francesco ha fatto lo “scambio dello zucchetto” con un anziano in carrozzina. Poro prima aveva salutato l’ultimo bambino, vestito in azzurro, in braccio al papà in divisa.

 




Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi vorrei parlare del Viaggio Apostolico che ho compiuto in Albania domenica scorsa. Lo faccio anzitutto come atto di ringraziamento a Dio, che mi ha concesso di compiere questa Visita per dimostrare, anche fisicamente e in modo tangibile, la vicinanza mia e di tutta la Chiesa a questo popolo. Desidero poi rinnovare la mia fraterna riconoscenza all’Episcopato albanese, ai sacerdoti e ai religiosi e religiose che operano con tanto impegno. Il mio grato pensiero va anche alle Autorità che mi hanno accolto con tanta cortesia, come pure a quanti hanno cooperato per la realizzazione della Visita...
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APPELLO
Il mio pensiero va ora a quei Paesi dell’Africa che stanno soffrendo a causa dell’epidemia di ebola. Sono vicino alle tante persone colpite da questa terribile malattia. Vi invito a pregare per loro e per quanti hanno perso così tragicamente la vita. Auspico che non venga meno il necessario aiuto della Comunità Internazionale per alleviare le sofferenze di questi nostri fratelli e sorelle. Per questi nostri fratelli e sorelle ammalati preghiamo la Madonna. [Ave Maria] 
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Simpatico fuori programma per Papa Francesco al termine dell'Udienza generale: un fedele ha donato a Bergoglio una palla da baseball. Fin qui niente di strano. Solo che il «regalo» è stato spedito al Papa al volo mentre passava davanti a un gruppo di fedeli.
Francesco ha cercato di prenderlo con un saltello, tra i sorrisi compiaciuti dei presenti. La pallina dapprima è sfuggita di mano al Papa. 
Gli uomini al seguito di Bergoglio l'hanno raccolta, il Papa l'ha firmata e poi l'ha fatta restituire al fedele. Un presente ha filmato la scena e ha postato il video sul web. La ripresa è amatoriale ma merita di essere vista. 
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Sono 5 le donne nominate da Papa Francesco nella Commissione teologica internazionale


«La Madonna, Maria, era più importante degli Apostoli, dei vescovi, dei diaconi e dei preti. Così la donna, nella Chiesa, è più importante dei vescovi e dei preti: come, è quello che dobbiamo cercare di esplicitare meglio» (Papa Francesco)


Con buona pace degli stereotipi che riducono le donne al ruolo di perpetue e orientano le suore al lavaggio dei calzini – e anche di chi nella Chiesa continua ad avere la stessa mentalità – Papa Francesco ha più che raddoppiato il numero di donne nella Commissione teologica internazionale, istituita da Paolo VI nel 1969 e composta da una élite di studiosi che hanno il compito di aiutare l’ex Sant’Uffizio «nell’esame delle questioni dottrinali di maggiore importanza e attualità». Nella nuova Commissione, in carica per cinque anni, le teologhe – religiose e laiche – passano da due a cinque su trenta:
sono suor Prudence Allen, delle Sisters of Mercy (Usa), suor Alenka Arko, della Comunità Loyola (Russia- Slovenia), e docenti universitarie laiche Moira Mary McQueen (Canada-Gran Bretagna), Tracey Rowland (Australia) e Marianne Schlosser (Austria-Germania).
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Che l’interesse dei media per la nomina di cinque donne nella Commissione teologica internazionale sarebbe stato alto – scrive Giulia Galeotti – lo si poteva prevedere dall’eco che ha ricevuto l’anticipazione della notizia comparsa nell’intervista di Lucetta Scaraffia al presidente della commissione, il cardinale Gerhard Müller, pubblicata su «donne chiesa mondo». L’indicazione del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cui spetta (dopo aver consultato le conferenze episcopali) di suggerire al Papa i teologi da nominare, è stata così confermata: per il quinquennio 2014-2019, infatti, nella commissione sono presenti cinque teologhe, più che raddoppiate rispetto alle due del decennio precedente. La presenza femminile, dunque, costituisce oggi il sedici per cento dei componenti totali della commissione. Tra le cinque donne, due sono religiose e tre laiche. Quasi tutte insegnano nei seminari.
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giovedì 25 settembre 2014

«La vanità semina inquietudine cattiva, toglie la pace» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano

25 settembre 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.


Papa Francesco:
“una bolla di sapone i cristiani vanitosi”

In giro ci sono tanti «cristiani che si pavoneggiano», ammalati di vanità, che «vivono per apparire e farsi vedere». Finiscono così per trasformare la loro vita in «una bolla di sapone», bella ma effimera, andando in giro con troppo trucco e magari anche cercando di far bella figura sventolando «assegni per le opere della Chiesa» o ricordando di essere «parente di tal vescovo». Ma così facendo vivono una vita bugiarda, ingannando anche se stessi. Ciò che conta, invece, è «la verità, la realtà concreta del Vangelo». È con un incoraggiamento «forse un po’ crudele ma vero» che Papa Francesco ha chiesto ai cristiani di guardare soltanto alla loro «vita con il Signore» e «senza far suonare le trombe».

Durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì mattina, 25 settembre, ha commentato il noto passo del Libro del Qoèlet — «vanità delle vanità» (1,2-11) — proposto dalla liturgia odierna, facendo notare che esso non è «pessimista» come potrebbe sembrare. Ci dice, invece, «la verità» e cioè che «tutto passa e se non hai qualcosa di consistente, anche tu passerai, come tutte le cose».

Il brano della Scrittura, ha spiegato Francesco, «comincia con quella parola chiave: vanità». Infatti «la vita di una persona può essere una vita forte, che fa tante cose buone». Ma, dall’altra parte, «c’è anche la tentazione» di renderla «una vita di vanità, di vivere per le cose che non hanno consistenza, che passano». In sostanza, la tentazione è «vivere per apparire, per farsi vedere: e questo non solo fra i pagani, ma anche fra persone di fede, fra i cristiani».
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Oggi, ha ricordato il Papa, «quanti cristiani vivono per apparire». E «la vita loro sembra una bolla di sapone» che «è bella, ha tutti i colori, ma dura un secondo e poi» finisce. «Anche quando guardiamo alcuni monumenti funebri — ha proseguito — pensiamo che è vanità, perché la verità è tornare alla terra nuda, come diceva il servo di Dio Paolo vi». Del resto «ci aspetta la terra nuda, questa è la nostra verità finale». Però, ha aggiunto il Pontefice, «nel frattempo mi vanto o faccio qualcosa? Faccio del bene? Cerco Dio? Prego?». Ecco perché si deve puntare alle «cose consistenti». Invece «la vanità è bugiarda, è fantasiosa, inganna se stessa, inganna il vanitoso: prima fa finta di essere, ma alla fine crede di essere quello che dice. Ci crede, poveretto».

Ed è proprio ciò che è accaduto al tetràrca Erode, ha spiegato il Papa facendo riferimento al passo evangelico di Luca (9, 7-9), proposto dalla liturgia: «Quando è apparso Gesù, lui era commosso dentro. Nelle sue fantasie pensava: “Ma questo sarà Giovanni, che io ho decapitato? Sarà un altro?”». La reazione di Erode ci dimostra che «la vanità semina inquietudine cattiva, toglie la pace». Insomma, la vanità «è come quelle persone che si truccano troppo e poi hanno paura di prendere la pioggia e che tutto quel trucco venga giù». Per questo «la vanità non ci dà pace: soltanto la verità ci dà la pace».

Dunque, ha raccomandato Francesco, «pensiamo oggi ai consigli di Gesù di edificare la nostra vita sulla roccia. È Lui la roccia. L’unica roccia è Gesù!».

Ma «pensiamo a questa proposta del diavolo, del demonio, che ha anche tentato Gesù di vanità nel deserto», proponendogli «vieni con me, andiamo su al tempio, facciamo lo spettacolo: tu ti butti giù e tutti crederanno in te». Davvero il diavolo aveva presentato a Gesù «la vanità sul vassoio».

Per tutte queste ragioni, ha affermato il Pontefice, la vanità «è una malattia spirituale molto grave». È significativo, ha aggiunto, che «i padri egiziani del deserto dicevano che la vanità è una tentazione contro la quale dobbiamo lottare tutta la vita, perché sempre ritorna per toglierci la verità». E «per far capire questo dicevano: è come la cipolla, tu la prendi e cominci a sfogliare. E sfogli la vanità oggi, un po’ di vanità domani» e va avanti «tutta la vita sfogliando la vanità per vincerla». Così «alla fine stai contento: ho tolto la vanità, ho sfogliato la cipolla. Ma ti rimane l’odore in mano»,

Francesco ha concluso la meditazione chiedendo, nella preghiera, «al Signore la grazia di non essere vanitosi» ma «di essere veri, con la verità della realtà e del Vangelo».

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