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mercoledì 30 aprile 2014

"La chiesa in cerca della sua santità" di Enzo Bianchi

Uomini e donne che sono stati riconosciuti fedeli al vangelo vengono canonizzati, proclamati santi dalla chiesa affinché siano di esempio per tutti: i cristiani hanno infatti la convinzione che tra di loro alcuni tentino di vivere con radicalità la fedeltà al vangelo e perciò meritano di essere autorevoli e affidabili. Quando questa conformità alla vita di Gesù si mostra evidente, allora coloro che ne sono stati testimoni attribuiscono la santità ai loro fratelli e sorelle.

Ma non si dimentichi che i santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto. Costoro non si sono fatti santi bensì sono stati fatti santi da Dio, il solo Santo, perché hanno tutto predisposto affinché l’azione di Dio in loro non trovasse ostacoli.

Sappiamo inoltre che una cosa è la santità e altra cosa è il processo del suo riconoscimento in vista di una venerazione pubblica: molti santi non sono conosciuti a sufficienza per essere proclamati tali, altri non hanno avuto nessuno che avesse la forza di far avanzare questo riconoscimento, altri ancora sono stati canonizzati secoli dopo la loro morte, a volte sotto la spinta di politiche ecclesiastiche mutate.

Infine alcuni sono nel catalogo dei santi nonostante alcune loro azioni siano state in contraddizione profonda con lo spirito e il comandamento cristiano: i preti sapienti e liberi di un tempo dicevano che questi erano stati proclamati santi nonostante le loro infedeltà al vangelo perché lo erano diventati prima di morire, in un modo che solo Dio conosce... Così recentemente, sotto la pressione di realtà ecclesiali, alcuni testimoni hanno conosciuto corsie preferenziali verso il riconoscimento della santità, altri per prudenza ecclesiastica subiscono ritardi apparentemente inspiegabili.
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martedì 29 aprile 2014

Una comunità in pace - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
29 aprile 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
La comunità cristiana in tre pennellate


Armonia, testimonianza, cura dei bisognosi: sono le «tre pennellate» dell’icona che raffigura una comunità cristiana, opera dello Spirito Santo sul modello di quel «popolo nato dall’alto» formato da persone «che ancora non si chiamavano cristiani» ma sapevano dare testimonianza di Gesù Cristo. L’immagine è di Papa Francesco, il quale questa mattina, martedì 29 aprile, durante la messa a Santa Marta, si è riferito a un passo degli Atti degli apostoli (4, 32) per sottolineare come la Chiesa, dopo aver ricordato per tutta la settimana scorsa il senso del «rinascere dall’alto», oggi mostri l’icona di quella che «era la comunità dei nuovi cristiani»: un «popolo neonato», formato da persone che «ancora non si chiamavano cristiani» .


Il Pontefice si è soffermato su quelle che ha definito le «tre pennellate» attraverso le quali la liturgia ci mostra questa icona. «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti — ha notato — aveva un solo cuore e un’anima sola: e questo è il primo tratto». Il secondo è costituto dal fatto che si trattava di una moltitudine che «con grande forza dava testimonianza del Signore Gesù». Il terzo è che «nessuno tra loro era bisognoso».

Sono le «tre peculiarità — ha spiegato il Santo Padre — di questo popolo rinato: l’armonia fra loro, la pace; la testimonianza forte della risurrezione di Gesù Cristo e i poveri». Tuttavia «non è andata sempre così», ha aggiunto. Infatti con il passare del tempo «sono arrivate le lotte interne, le lotte dottrinali, le lotte di potere fra loro. Anche nel rapporto con i poveri sono sorti problemi; le vedove si lamentavano che non erano assistite bene»: insomma non mancavano le difficoltà.

Eppure questa icona mostra come deve essere realmente «il modo di vivere di una comunità cristiana», di quelli che credono in Gesù. Innanzitutto, ha notato Papa Francesco, è necessario costruire un clima in cui regni «la pace e l’armonia. “Aveva un solo cuore e un’anima sola...”. La pace, una comunità in pace. Questo significa — ha aggiunto — che in quella comunità non c’è posto per le chiacchiere, per le invidie, per le calunnie, per le diffamazioni», ma solo per la pace. Perché «il perdono, l’amore, copriva tutto».

Per qualificare una comunità cristiana in questo senso — ha specificato Papa Francesco — «dobbiamo domandarci come è l’atteggiamento dei cristiani? Sono miti, umili? In quella comunità ci sono liti fra di loro per il potere, liti per l’invidia? Ci sono chiacchiere? Allora non sono sulla strada di Gesù Cristo». La pace in una comunità, infatti, è una «peculiarità tanto importante. Tanto importante perché il demonio cerca di dividerci, sempre. È il padre della divisione; con l’invidia, divide. Gesù ci fa vedere questa strada, quella della pace fra noi, dell’amore fra noi».

Passando poi a spiegare il secondo tratto caratteristico di questa icona, il Santo Padre ha invitato a chiedersi se la comunità cristiana «dà testimonianza della resurrezione di Gesù Cristo: questa parrocchia, questa comunità , questa diocesi crede davvero che Gesù Cristo è risorto?». Nel caso in cui la risposta non è esplicita e decisa, «il cuore forse è lontano» da questa certezza. Bisogna invece «dare testimonianza che Gesù è vivo, fra noi»: solo così si può verificare come va una comunità.

Infine il Pontefice ha parlato dei poveri e del posto che essi occupano tra di noi. Su questo va fatto un esame di coscienza che, ha precisato, si può suddividere in due parti: «Qual è il tuo atteggiamento, o l’atteggiamento di questa comunità con i poveri?»; e poi «questa comunità è povera? Povera di cuore o povera di spirito? O mette la sua fiducia nelle ricchezze, nel potere?».

In conclusione il Papa ha ribadito le tre caratteristiche identificative di una comunità cristiana: «Armonia, testimonianza, povertà e avere cura dei poveri». Proprio questo — ha ricordato — è ciò che Gesù spiegava a Nicodemo», sottolineando che tutto è opera dello Spirito Santo, «l’unico che può fare questo». Perché «la Chiesa la fa lo Spirito. Lo Spirito fa l’unità; lo Spirito ti spinge verso la testimonianza; lo Spirito ti fa povero, perchè lui è la ricchezza; e lo fa perchè tu possa avere cura dei poveri. Per questo Gesù dice: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va”. Così è chiunque è nato dallo Spirito. Non si sa: lo spirito va e viene, ma fa queste cose».

«Pensiamo — è stato l’invito finale — alle nostre comunità, alle nostre parrocchie, ai nostri movimenti, ai nostri collegi, alle nostre diocesi. Ci farà bene paragonarci un po’ con questo: la mia comunità è in pace e in armonia o è divisa? La mia comunità dà testimonianza di Gesù Cristo o sa che Cristo è risorto, lo sa intellettualmente ma non fa nulla, non fa l’annuncio? La mia comunità ha cura dei poveri? È una comunità povera?». Lo Spirito Santo, ha auspicato, «ci aiuti ad andare su questa strada, la strada di quanti sono rinati nel battesimo».

(fonte: L'OSSERVATORE ROMANO)


Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - cronaca di una giornata storica (testi, foto e video) / 4





La cerimonia è proseguita con le preghiere nelle varie lingue del mondo, tra cui il cinese; una delle preghiere è stata letta da Suor Simon Pierre-Normand la religiosa miracolata da Wojtyla

Alla comunione una lunga fila di ombrelli bianco gialli ha accompagnato gli 870 sacerdoti che hanno distribuito le particole consacrate ai fedeli. 

Quindi il Regina Coeli, la preghiera mariana che nel periodo di Pasqua prende il posto dell'Angelus, ha segnato il momento conclusivo con i saluti e i ringraziamenti del Papa a tutti coloro che hanno contribuito all'organizzazione e ai pellegrini giunti da tutto il mondo. 
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Hanno partecipato 1.700 volontari, più di 1.000 tra medici, infermieri e autisti, 87 mezzi, 80 squadre di soccorritori, 16 tende come punti medici avanzati e 5 “punti mamma”. Un valore aggiunto per una memorabile giornata di festa e di fede.
 

Papa Francesco ha rivolto un saluto particolare al sindaco di Roma, Ignazio Marino e al cardinale vicario Agostino Vallini oltre che alle delegazioni presenti, salutate personalmente al termine della celebrazione.
Infine Papa Francesco, con un inedito fuori programma, a bordo della Papamobile, non si è limitato a fare il giro della piazza al termine della solenne cerimonia liturgica, ma ha voluto salutare personalmente i tantissimi fedeli che dall'alba hanno voluto gremire la zona di San Pietro, percorrendo per intero via della Conciliazione tra due ali di folla. Il pontefice é rientrato per una via laterale in Vaticano, costeggiando l'Ospedale di Santo Spirito, ed entrando dalla porta del Perugino.


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Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - cronaca di una giornata storica (testi, foto e video) / 3


Uno spruzzo di pioggia fa temere il peggio ma dura poco, migliaia di ombrelli si aprono e chiudono, nulla a confronto col senso di solennità che lo “Iubilate Deo” e il “Gloria” intonati dalla Schola fanno piovere nel cuore di chi guarda il sorriso di Angelo e Karol e segue la celebrazione. 
La celebrazione è ripresa dal Canto del Gloria. Come in tutte le grandi feste, il Vangelo è stato proclamato in greco e latino.
I maxischermi si riempiono dei primi e primissimi piani di Angelo e Karol – e la piazza di applausi scroscianti – ogni volta che l’omelia di Papa Francesco li chiama in causa.



"Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto.
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Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama."

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Vedi i nostri post precedenti:


"Cari giovani, sentinelle del futuro" di Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto

"Cari giovani, sentinelle del futuro" 
di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto


Lettera pubblicata su "Il Centro", 

Domenica 20 Marzo 2014,

 - Pasqua -



“Scrivo a voi, giovani, perché... siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno. Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui… E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!” (1 Gv 2, 13ss). 
Queste parole della prima lettera di Giovanni mi hanno aiutato a scegliere come destinatari di questa riflessione i giovani, in una Pasqua, ancora segnata dalla crisi che riguarda particolarmente loro, dato l’altissimo tasso di disoccupazione che caratterizza oggi il nostro Paese.
Provo a dire come immagino i giovani creatori del mondo che verrà, partendo da una immagine biblica, che si trova nel libro dei Numeri (cap. 13), dove si narra degli esploratori mandati da Mosè a visitare la terra promessa. Ritornando, essi portano il grappolo d’uva, il melograno e il fico, e raccontano quello che hanno visto, trasmettendo una tale emozione, che tutto il popolo decide di affrontare il rischio e di entrare in quel Paese dove abitano i giganti. È l’immagine di quanto dovrebbero fare i giovani di fronte alla crisi in cui ci troviamo. Come gli esploratori, i giovani non sono i capi del popolo, non sono né Mosè, né Aronne; essi non sono neanche i sacerdoti o i leviti, e neppure la grande massa costituita dalle famiglie, dagli anziani, dai bambini. I giovani sono per loro natura gli esploratori, mandati a scoprire il futuro di tutti.
Chi entrerà nella terra promessa, chi la vedrà e la farà sua? Chi ne intuisce già i tratti, ne avverte il sapore e il profumo? Siete Voi, giovani! Voi siete le sentinelle del mattino, che annunciano con i loro sogni e le loro attese il giorno che verrà. Voi siete i primi destinatari del sì che Dio non si stanca di dire al mondo. Voi anticipate il futuro, ce lo fate assaggiare. Chi sta a contatto con voi e sa ascoltarvi, riceve una carica stupefacente di giovinezza e di speranza. Mi chiedo, allora, quali caratteristiche dovrete avere per essere veri esploratori della terra promessa. Come agli inviati del libro dei Numeri, è chiesto a voi di raccontare un mondo ai più sconosciuto: dovete essere dei narratori! Narrare non significa aver capito tutto o voler spiegare tutto. Narrare vuol dire comunicare un’esperienza vissuta in maniera così intensa, da risultare contagiosa di futuro. È questo che è giusto aspettarsi da voi: che ci aiutiate a conoscere, attraverso i vostri racconti, che sono i vostri sogni, le vostre attese, le vostre speranze, un mondo che per tanti aspetti non conosciamo, quello che condividete ogni giorno nelle scuole, negli ambienti di vita, con i vostri amici, con quanti sanno dialogare con voi. Da questo mondo gli adulti spesso sono distanti, incapaci di capirlo. È
evidente, peraltro, che non si può imparare la lingua degli altri senza conoscerli. Chi conosce la lingua dei giovani, chi esplora il mondo che deve venire, siete anzitutto voi. Perciò, noi adulti abbiamo bisogno di voi, perché senza di voi non potremo parlare al futuro; è grazie a voi, se accettate di coinvolgervi nell’avventura di sognare insieme e di organizzare la speranza, che anche noi potremo parlare al domani e costruirlo con voi.
Oltre a essere i narratori della speranza, i giovani, ..." (Bruno Forte)


lunedì 28 aprile 2014

Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - cronaca di una giornata storica (testi, foto e video) / 2


La celebrazione ha preso il via alle 10 in punto con il momento delle tre petizioni in latino con cui il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, ha “chiesto” al Papa la canonizzazione dei due Pontefici. Francesco ha risposto leggendo, in latino, la solenne formula con cui ha elevato agli onori degli altari i due Papi.
"Ad onore della Santissima Trinità - recitava la formula pronunciata dal Pontefice alle 10.15 - per l'esaltazione della fede cattolica e l'incremento della vita cristiana, con l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte l'aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli nell'Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li iscriviamo nell'Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
L’emozione, fino a quel momento trattenuta in un silenzio reverente, teso e commosso, è sfociata in un applauso gioioso che ha coinvolto l'intera piazza San Pietro e probabilmente tutto il mondo che sta seguendo la cerimonia attraverso i media.
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Ancora più emozionante poi la processione delle reliquie dei due nuovi Santi fino al palchetto al fianco dell’altare. Floribeth Mora Diaz trasportava in lacrime quella contenente il sangue di Wojtyla, sostenuta dal braccio dal marito Edwin; il sindaco di Bergamo, i nipoti, don Ezio Bolis, presidente della Fondazione Giovanni XXIII, il reliquiario di Roncalli contenente un frammento della pelle del Papa buono raccolto in occasione della riesumazione della salma per la beatificazione nel 2000.



 

La celebrazione è ripresa dal Canto del Gloria. Come in tutte le grandi feste, il Vangelo è stato proclamato in greco e latino. 
Floribeth Mora Diaz e suor Marie Simon Pierre Normand
le donne miracolate da Giovanni Paolo II

Vedi il nostro post precedente:


Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - cronaca di una giornata storica (testi, foto e video) / 1



Sono circa 500 mila i presenti nella zona di Piazza San Pietro e via della Conciliazione per la messa di canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E sono 800 mila i pellegrini che a Roma - tra l'area di Piazza San Pietro-Via della Conciliazione (500 mila) e quelle in cui sono stati allestiti i maxi-schermi (300 mila) - stanno assistendo alla cerimonia di canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Lo riferisce la sala stampa vaticana.
È iniziata con una leggera pioggerella la solenne cerimonia per la Canonizzazione dei due Papi Santi, Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, in questa domenica che proprio il Papa polacco volle intitolare alla Divina Misericordia.



 
In apertura Benedetto XVI, sedutosi poi accanto ai porporati, accolto dai fedeli con un vivo applauso al suo ingresso alle 9.30. 
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Il Papa emerito - con la mitria, sorretto da un bastone - ha ricevuto inoltre un’affettuosa stretta di mano da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla Messa insieme alla moglie Clio. Presenti tra le autorità anche i presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso, il premier Renzi con la moglie Agnese e il sindaco di Roma Ingazio Marino.



Un’ovazione ancora più fragorosa si è sentita poco dopo quando Papa Francesco si è recato a salutarlo e abbracciarlo dopo aver baciato l'altare.


 
Alla cerimonia di canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II presieduta da Papa Francesco hanno preso parte 150 cardinali, 1.000 vescovi, 6.000 sacerdoti, 93 delegazioni ufficiali, 24 tra reali e presidenti della Repubblica, a partire da Giorgio Napolitano. Sono giunti 34 fra capi di Stato e di governo.

Cardinali e vescovi hanno preso posto, guardando la facciata della Basilica, nella zona sinistra di piazza San Pietro. A essere, invece, intorno all’altare insieme al pontefice sono 5 concelebranti: il decano card. Angelo Sodano, il Prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, Giovanni Battista Re, l’arcivescovo di Cracovia ed ex segretario di papa Giovanni Paolo II card. Stanislao Dziwisz, il cardinale vicario a Roma, Agostino Vallini e il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Berschi.





OREUNDICI - IL QUADERNO DI APRILE 2014: ESSERE FAMIGLIA OGGI - L'EDITORIALE di Mario De Maio - FAMIGLIA: UNA, NESSUNA, CENTOMILA di Chiara Saraceno


OREUNDICI
IL QUADERNO DI APRILE 2014




ESSERE FAMIGLIA OGGI



L'EDITORIALE 
di Mario De Maio

Qual è il vero problema di ogni famiglia? Famiglia è un termine che evoca in ciascuno di noi tanti sentimenti e tante emozioni. Oggi tutta la Chiesa è impegnata a ricercare nuove indicazioni ai numerosi e complessi problemi che questa istituzione pone. Non sto a ripetere l'elenco delle questioni aperte, che tutti conosciamo direttamente. Vorrei piuttosto parlare di un’area a cui è dedicata poca attenzione, quella che riguarda i modi in cui i giovani si preparano a vivere la dimensione dell'amore e a formare una famiglia. Non a caso ho fatto una distinzione fra amore e famiglia. L'amore infatti è l'esperienza fondamentale di ogni essere umano, ha inizio ancora prima di essere concepiti, sin dal momento in cui si comincia ad avere uno spazio speciale nella mente dei genitori. 
Essendo un’esperienza estremamente personale, e fondamentale, sono preziosi i luoghi in cui i giovani, e non solo loro, possono riflettere ed elaborare questa dimensione molto complessa, che abbraccia la mente, i sentimenti ma soprattutto la parte più profonda e spesso inconscia dell'uomo. Come riconoscere il vero amore, come coniugarlo con la sessualità, come viverne le diverse fasi ed evoluzioni, come imparare le finezze delle sue numerose espressioni, come, per chi crede, sentire che li si incontra e si rende presente l'amore di Dio? Sono questi i temi cruciali da affrontare prima degli aspetti giuridici. 
Questo è il primo passo a cui può seguire la decisione di formare uno spazio speciale, basato sull'amore, che chiamiamo "famiglia"...

FAMIGLIA: UNA, NESSUNA, CENTOMILA
di
Chiara Saraceno

Nell’abitato in cui vivo, siamo sette nuclei familiari: due sono formati da coniugi senza figli (una coppia è sposata civilmente, l’altra in chiesa), uno da una madre separata con due figli minori, uno da una donna divorziata, che vive sola dopo avere cresciuto il proprio figlio; uno è una coppia di fatto, formatasi dopo precedenti matrimoni conclusisi, uno sono io (ho un gatto, conta anche lui?), e uno è una famiglia “tradizionale”, formata da mamma, papà e due figli. “La” famiglia effettivamente esiste, ma è una minoranza... Paolo, quattro anni, dice “è casa mia” quando indica quella dei nonni materni seppure lui viva in un’altra città con i suoi genitori, non altrettanto quando si riferisce alla casa degli altri nonni... Quand’ero bambina, nell’esigenza di fare chiarezza dentro di me di fronte a quanto osservavo fuori di me, un giorno chiesi alla sorellina di mia mamma, di appena un anno maggiore di me, orfana di madre: “devi decidere se questa è la tua famiglia oppure no”. Lei mi rispose di no, ma non bastò a chiarirmi il confine tra “dentro” e “fuori” della famiglia, né a restituirmi l’attenzione e l’affetto che le veniva elargito dalla “mia famiglia” con maggiore generosità di quanto venisse dato a me che ero, formalmente, più fortunata di lei... è sufficiente una minima osservazione sulla realtà che viviamo e che abbiamo intorno per renderci conto del variegato mondo compreso in quella parola fondamentale nella vita di ognuno: famiglia. 
Tutti noi abbiamo un’esperienza intima di che cosa sia una famiglia. Questa esperienza, e le relazioni che la strutturano nel bene e nel male fanno par te di noi, del modo in cui stiamo al mondo e pensiamo a noi stessi. Incide anche sul modo in cui pensiamo e viviamo i rapporti uomo-donna, adulti-bambini, giovani-vecchi, sul modo in cui sviluppiamo la nostra capacità di relazioni affettive e di generatività...



La famiglia è vita, tessuto quotidiano,
è cammino di generazioni che si trasmettono la fede
insieme con l'amore e con i valori fondamentali,
è solidarietà concreta, fatica, pazienza,
e anche progetto, speranza, futuro.

Papa Francesco

domenica 27 aprile 2014

"Un grido nel silenzio" di don Giovanni Berti

Un grido nel silenzio
di don Giovanni Berti
Commento al Vangelo
27 aprile 2014
DOMENICA in ALBIS

Gv 20,19-31

“Pace a voi!”, è questa la prima cosa che Gesù risorto dice ogni volta che appare ai discepoli, sia la sera di quel primo giorno dopo il sabato che otto giorni dopo. E da allora i discepoli ogni otto giorni si ritrovano insieme nel giorno che loro chiamano domenica, cioè “giorno del Signore”. Ed è così che anche noi la chiamiamo e la viviamo.
E’ un saluto e un dono allo stesso tempo. Gesù si presenta alla comunità di coloro che portano il suo nome nella pace che solo da Dio proviene, la pace vera. E’ la pace che porta felicità profonda nell’uomo, è la pace che cambia la storia umana da divisione a unità, da egoismo a solidarietà con tutti.
Ieri, 25 aprile, giorno che per la nostra nazione italiana ricorda la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dalla violenza nazifascista, nell’Arena di Verona c’è stata una grande manifestazione di tantissimi movimenti per la pace. Si sono intrecciati moltissimi slogan e inviti a costruire al pace, con i più disparati appelli che avevano in comune il desiderio che è di ogni essere umano che è vivere nella pace, nella concordia, senza più guerre, ingiustizie e povertà.
L’anfiteatro era pieno gente, circa 13mila persone, di tutti i colori, provenienze ed età, tante come sono tanti i colori della pace.
Forse molti pensano che manifestazioni come queste sono inutili, e le notizie dell’attualità sembrano confermare l’utopia della pace. Basti pensare l’escalation che sta avendo la crisi in Ucraina e il dramma crescente dei profughi dai paesi in guerra, come la Siria, che affollano le barche della speranza nel mar Mediterraneo.
“Pace a voi”, sembra una bella frasettina da celebrazione in chiesa che inizia e finisce nel momento in cui si pronuncia, e sembra che anche noi cristiani ci crediamo sempre meno. Ma Gesù risorto non la pronuncia in modo superficiale, e se il Vangelo lo ricorda così insistentemente, significa che questa pace del Risorto è davvero il progetto di Dio per l’umanità. Dalla pace di Cristo nasciamo come cristiani, e come cristiani questa pace siamo chiamati a farla scendere nel cuore nostro e nella vita attorno a noi.
La pace non è mai a basso prezzo, e si costruisce con il sacrificio della vita. Gesù infatti pronuncia queste parole mostrando nello stesso tempo i segni della passione, che nonostante sia un corpo risorto, sono rimasti impressi in modo indelebile nella sua carne. Gesù è il risorto e il vivente, ma non cancella le tracce del prezzo di questo amore senza limiti. I segni della passione sono anche essi un messaggio concreto ai suoi amici, chiamati a portare la pace sapendo di dover spesso pagare per la sua realizzazione.
E’ difficile credere e accettare questo, e Tommaso con la sua iniziale incredulità ci tranquillizza, perché anche noi come lui non troviamo la strada della fede così immediata e facile da accogliere.
Ma lo stesso Tommaso finirà con il pronunciare la più alta professione di fede nel Vangelo, quando alla fine riconosce Gesù come Signore e Dio. E’ difficile costruire la pace come ci insegna Gesù, ma è possibile, non è una illusoria utopia.


Ieri in Arena il momento per me più emozionante è stato quando a tutti i presenti hanno chiesto un minuto di silenzio per la pace nel mondo.
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La pace richiede silenzio


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Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - II domenica di Pasqua - anno A



Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME)





Preghiera dei Fedeli

27 aprile 2014

Omelia di don Angelo Casati - II Domenica di Pasqua (A)



Omelia di don Angelo Casati
II Domenica di Pasqua 
Anno A - 27 aprile 2014




At 2,42-47
Sal 117
1 Pt 1,3-9
Gv 20, 19-31



C'è un modo di raccontare la Risurrezione in qualche misura fantastico, miracoloso: un rovesciamento improvviso -quasi automatico delle situazioni- un cammino trionfante, dirompente. Così si racconta a volte la Risurrezione, e così si racconta a volte la Pentecoste: un rombo come di vento ed ecco le porte si aprono. Non dico che non ci sia del vero in questo modo di raccontare. E' il modo di raccontare di chi corre in avanti e anticipa il futuro.
In realtà -se stiamo al vangelo che oggi abbiamo ascoltato- il cammino della risurrezione ci appare meno dirompente: conosce avvicinamenti, resistenze, pause, gradualità. C'è un po' di enfasi in una certa predicazione che va sostenendo che come si fa presente Gesù, il Risorto, come viene lo Spirito, ecco le porte si aprono, si spalancano.

L'evangelista Giovanni dice che otto giorni dopo, otto giorni dopo la Risurrezione, le porte erano ancora chiuse! Eppure avevano visto il Signore fermarsi in mezzo a loro, avevano ricevuto lo Spirito: "Ricevete lo Spirito Santo" aveva detto, alitando su di loro. Ebbene le porte erano ancora chiuse! Le porte -le porte chiuse- sono come un simbolo: simbolo della durezza di una situazione, che ancora permane. Noi oggi ci lamentiamo degli insuccessi della fede. Pensate ai discepoli, agli apostoli che non riescono a convincere uno di loro. Eppure erano stati testimoni oculari del Risorto, l'avevano sentito dire: "Pace a voi". Aveva mostrato loro le ferite. E avevano gioito al vedere il Signore.

Non erano riusciti. E le porte erano ancora chiuse: la povertà delle nostre parole a dire, a testimoniare, e la resistenza del cuore a credere. Le porte chiuse! E questo Gesù, il Risorto, che viene a porte chiuse -non si vuol certo dire che viene alla maniera dei fantasmi-. Si vuol dire che nonostante i nostri ostacoli, nonostante le nostre resistenze, viene! Nonostante le nostre porte chiuse! E questo ci consola: tu, Signore, non ti fermi davanti alle nostre porte chiuse. E ci porti una parola di pace: "Pace a voi". E ci mostri le mani e il costato. E c'è bisogno di pace. Voi mi capite, certo di una pace anche dalla guerra e non possiamo non guardare con preoccupazione il riaccendersi di focolai di guerra in questi giorni.

Ma c'è bisogno di pace dentro di noi, una pace che liberi anche noi -come un giorno gli apostoli- dalle paure, dalle paure che ci bloccano dentro. A volte mi capita di pensare che i discepoli erano barricati sì anche per la paura dei Giudei, ma forse erano anche barricati dentro da un'altra paura, ancora più devastante, che era la paura per come avevano reagito, per come si erano comportati nei giorni della cattura e della crocifissione del loro maestro. Bloccati, come a noi succede, dalla delusione verso se stessi, una delusione che genera inquietudine, genera frustrazione, genera paura.

E Gesù che, come prima parola, dice una parola di pace. E anche la Chiesa dovrebbe dire come prima parola sempre questa: non una parola di condanna, ma di pace: "Non temere, va in pace".
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SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II - OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE 
DEI BEATI GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), 27 aprile 2014


Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, le sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione.
Ma quella sera non c’era Tommaso; e quando gli altri gli dissero che avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli, e c’era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell’uomo sincero, quell’uomo abituato a verificare di persona, si inginocchiò davanti a Gesù e disse: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt 2,24; cfr Is 53,5).
San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia.
Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria.
In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza.
Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,42-47). E’ una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità. E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; è stato il Papa della docilità allo Spirito. (...)In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene. Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama.


«Chi siete venuti a cercare?» di Giorgio Bernardelli


Il 15 agosto 2000 non c'erano ancora le dirette televisive in 3D. E nessuno poteva immaginare che quattordici anni dopo saremmo stati qui a discutere su un Papa emerito che concelebra con il suo successore. Eppure - per tanti versi - il clima del 15 agosto 2000 era molto simile a questo 27 aprile 2014.
Centinaia di migliaia di pellegrini stavano arrivando da tutto il mondo a piazza San Pietro; con la stessa sbornia di grandi numeri e di immagini ad effetto; e la stessa mole di parole e di storie, intense oppure naive, profondissime ma allo stesso tempo anche banali. Era l'inizio della Giornata mondiale della gioventù, l'appuntamento più atteso del Giubileo del 2000. Quello anche più esaltante, più carico di orgoglio e di speranze per una Chiesa all'inizio di un nuovo millennio.
In quel clima di tripudio - tra bandiere e ovazioni - fu con una domanda molto asciutta che l'uomo che d'ora in poi chiameremo san Giovanni Paolo II accolse i giovani e i milioni di persone che seguivano l'evento in diretta alla tv: «Chi siete venuti a cercare?», disse scandendo le parole. 
...
«Chi siete venuti a cercare?». Giovanni Paolo II chi cercava lui lo spiegava molto bene in quel discorso del 15 agosto 2000. E basta aprire una pagina qualsiasi del Giornale dell'anima per ritrovare la stessa ansia anche in Giovanni XXIII. I santi non indicano mai se stessi, ma l'unico Maestro. E nell'indicarlo parlano sempre di un cammino ancora da percorrere per seguirlo davvero.
Riempiamoci allora gli occhi in questa giornata dei due Papi, apriamo con gioia l'album dei ricordi. Ma non terminiamo questa giornata senza domandarci che cosa la santità di queste due figure dice alla nostra vita. Quale carezza devo ancora portare a chi incontro sulla mia strada. Quali paure nel mio cuore continuano a tenere chiusa la porta a Cristo.
Proviamo ad ascoltarli davvero questi due nuovi santi. Forse così - come è accaduto, lontano dai riflettori, nel cuore di parecchi giovani quel 15 agosto 2000 - anche il 27 aprile 2014 diventerà un giorno di miracoli.



"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 22/2013-2014 (A) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo
di Santino Coppolino




Vangelo: Gv 20,19-31




E' il primo giorno della settimana, "il giorno uno" della nuova creazione, giorno in cui la vita ha vinto la morte per sempre, "quello che non conosce tramonto". E' il giorno dei doni del Risorto, quello del suo Spirito e quello dello Shalom, della Pace, ma "non come quella che dà il mondo"(Gv 14,27). La Pace che viene da Dio è pienezza, perfezione e integrità di vita, è felicità e benessere per ogni figlio dell'uomo.
Dice il Talmud che  "su tre cose poggia il  mondo: LA VERITÀ (FEDELTÀ), LA GIUSTIZIA E LA PACE, che in realtà sono una sola cosa. Se la Verità (Fedeltà) viene difesa (con l'esempio della vita), la Giustizia si attua e allora la Pace regna" (Rabbi Shimon ben Gamliel, Ta'anit). Ma è una pace monca, che non può scendere in pienezza su di loro perché monca è la comunità, mancante di uno: Tommaso, il gemello di Gesù, quello che gli assomiglia nel dono della vita (Gv 11,16) non è con gli altri discepoli. Lui non sta rintanato nel cenacolo, non ha paura di morire con e come il suo Signore e la sua risposta alla gioia dei condiscepoli che già hanno fatto esperienza del Risorto non è una negazione dell'evento, quanto piuttosto il grido disperato di colui che ama il suo Signore ed ha bisogno di certezze per credere. Ma Gesù non gli concede apparizioni particolari, il Signore si rende presente solo all'interno della comunità, durante la celebrazione Eucaristica, "otto giorni dopo", e lo fa "stando in mezzo", nel cuore stesso della sua Chiesa, perché l'amore da lui irradiato possa coinvolgere tutti coloro che gli stanno attorno e trasformarsi in dono per gli altri. E questa volta Tommaso è presente. Invitato da Gesù a toccare, si guarda bene dal farlo e lui, che da sempre viene presentato come il prototipo dell'incredulo, fa invece la più alta professione di fede di tutti i Vangeli: "Signore mio e Dio mio!" Se Simon Pietro era giunto a vedere in Gesù "il Cristo, il Figlio del Dio Vivente", Tommaso è l'unico che lo riconosce come Dio.

sabato 26 aprile 2014

Roncalli-Wojtyla, affinità elettive - I due volti del pontificato di Papa Francesco.


Dall'apertura al mondo ebraico, alla scelta di viaggiare; dalle visite a carceri e ospedali all'allargamento del collegio cardinalizio. I gesti e i simboli che hanno accomunato Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, fino alla canonizzazione del prossimo 27 aprile


Il primo Papa che andò spontaneamente incontro ad un gruppo di ebrei romani e che salvò, da nunzio apostolico in Bulgaria, centinaia di ebrei destinati ai campi di concentramento nazisti? Giovanni XXIII. Il papa che fece il primo viaggio in treno uscendo dai confini laziali per andare a Loreto e ad Assisi, dando di fatto il via ai viaggi apostolici dei pontefici moderni? Giovanni XXIII. Il primo papa che appena eletto visitò un ospedale e un carcere? Giovanni XXIII. Il primo papa che dette il via alle visite domenicali alle parrocchie romane e che nominò il primo cardinale africano? Ancora Giovanni XXIII. Piccoli e grandi gesti compiuti da Angelo Giuseppe Roncalli nel suo brevissimo pontificato (1958-1963) che, in gran parte, saranno rilanciati anche dalle scelte pastorali di Karol Wojtyla durante i suoi 27 anni al timone della Barca di Pietro. Come dire, affinità elettive tra i due papi prossimi santi, pur essendo stati eletti con 20 anni di differenza l'uno dall'altro (nel 1958 Roncalli, a 78 anni; nel 1978 Wojtyla, 58enne) e universalmente riconosciuti protagonisti del rinnovamento della Chiesa in epoche e contesti diversi. C'è, in sostanza, tra i due un filo di collegamento nei gesti e nelle scelte, ricco di aneddoti e di episodi pubblici e privati, di "fuori programma" e di iniziative pastorali che li avvicinarono alla gente comune più dei loro predecessori.
...
Due neo santi - Roncalli e Wojtyla - uniti, dunque, da una lunga serie di aneddoti e scelte personali, da piccole e grandi intuizioni di governo della Chiesa, da sensibilità pastorali in totale sintonia pur avendo caratteri e formazioni culturali differenti, tanto da aver plasmato due pontificati in sostanziale continuità anche a tanti anni di distanza l'uno dall'altro. E, certamente anche per questo, papa Francesco ora li santifica insieme. 

... Bergoglio aveva fin qui avuto come patroni sul suo cammino Ignazio di Loyola e Francesco d’Assisi: il primo di elezione, quando entrò nella Compagnia di Gesù, l’altro dall’elezione, quando è uscito dalla Cappella Sistina.
Ma un Pontefice ha bisogno anche di Papi protettori, che conoscano il mestiere dal di dentro e lo assistano con “professionalità”, oltre che santità.
San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II interfacciano l’attuale successore di Pietro e rappresentano i due volti del suo pontificato: la paternità rassicurante e la leadership travolgente, la rivoluzione tranquilla e la riconquista del mondo.
La misericordia costituisce il DNA che apparenta e orienta tre personalità diversissime, scaturite da storie e da geografie lontane fra loro, ma in grado di raggiungere i contemporanei con la tenerezza e la forza di un abbraccio universale...