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domenica 30 marzo 2014

Omelia di don Angelo Casati nella IV Domenica di Quaresima



Omelia di don Angelo Casati
nella IV Domenica di Quaresima
Anno A - 30 marzo 2014




1Sam 16,1b.4a.6-7.10-13
Sal 22
Ef 5,8-14
Gv 9, 1-41



Non possiamo sfuggire al contrasto, che non è marginale, non è alla superficie, è di fondo: un contrasto che attraversa tutto l'episodio del Vangelo, che oggi abbiamo ascoltato: quel cieco, di cui non è detto il nome, e quel gruppo di farisei.
Un contrasto insanabile che dilaga in tutto il racconto. Al punto che Gesù è confinato all'inizio e alla fine.
E il cieco, che ora ha gli occhi aperti, sorprendentemente aperti, il cieco in apparenza solo - Gesù è assente - solo, a sostenere la contrapposizione. Dura, estenuante contrapposizione! E c'è un termine che ricorre più volte, insistente nel brano del Vangelo, il termine "peccato": lo apre e lo chiude.
"Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?": all'inizio.
E alla fine: "Siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane".
E non è solo all'inizio e alla fine! Sulle labbra di quei farisei il termine "peccato" è il più ricorrente, quasi un'ossessione.
Una religione ridotta a questioni di peccato. La questione è il peccato.
E andiamo adagio ad attribuire questa ossessione solo a quel gruppo di farisei. Non ne erano esenti nemmeno i discepoli, tant'è che vedendo il cieco, nato cieco, loro disquisiscono. Su che cosa? Sul peccato: "Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?".
Come se il peccato fosse l'unica categoria interpretativa della realtà o la categoria più decisiva della fede.
E Gesù sbarazza subito il campo: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio". Come a dire: non inaridite la fede, non impoveritela in una questione di peccati. La fede è stare in attesa dell'opera di Dio. È sconsolante dirlo, ma a quel gruppo di farisei -ma non solo a loro, succede anche a noi- non interessava l'opera di Dio, anzi la negavano: l'avevano davanti agli occhi nella figura del cieco nato, ma a loro non interessava, perché più delle sorprese di Dio per loro contava la categoria del peccato, le loro classificazioni circa il peccato.
...
Sull'altro versante assistiamo invece a un'illuminazione, progressiva, emozionante del cieco.
...
Hanno così complicato la religione, che non guardano più in faccia la vita.
La fede in Gesù lo rende leggero, estraneo a tutte le complicazioni dogmatiche, moralistiche: va al cuore, al cuore della persona, al cuore del problema, al cuore della questione.
A chi assomigliamo come chiesa? Come chiesa, ma anche come singoli cristiani?
Uno ti incontra e dice: Ma che luce che ha dentro, e come fa bene, com'è bello stare e camminare con lui.
Uno ti incontra e dice: Parla come un libro stampato! Questi sa tutto. Che presunzione, che noia!
A chi assomigliamo? Il Signore ci renda luminosi, luminosi dentro e sul volto, come Mosè sul monte.

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