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venerdì 31 gennaio 2014

Don Ciotti "Io prete di strada con Bergoglio, così Francesco cambierà la Chiesa"

Don Luigi Ciotti, nei giorni scorsi un incontro importante, quello con Papa Francesco a Santa Marta. Cosa ha provato?

"Ho sentito il Papa come Padre e l'ho scoperto fratello. E io, uomo piccolo piccolo, segnato da limiti e fragilità, ho avvertito con forza la grandezza di questo Papa schietto, fraterno, semplice, capace di accorciare le distanze e di rendere normale lo straordinario. Mi ha colpito la sua capacità di ascoltare, la profondità del suo sguardo, la sua attenzione e dedizione al rapporto umano come strumento di amore, di generosità e di gratuità. E la sua felicità. È un uomo felice perché disinteressato a se stesso, totalmente immerso nella vita e nell'attenzione agli altri".

È un Papa anche capace di forti denunce.
"Questo disinteresse a sé, alle forme e ai simboli del potere, è inversamente proporzionale alla sensibilità di fronte alle ingiustizie. Su questo non fa sconti. Chiama il male per nome, e chi lo commette ha le sue responsabilità. Questa capacità di denuncia contagia. Nella Chiesa sta promuovendo un processo di purificazione dal potere, un ritorno alle radici, all'intransigenza etica del Vangelo. Ma spero che il rinnovamento morale tocchi le coscienze di tutti, laici e cristiani, e faccia capire che il più grande peccato oggi è quello di omissione, del volgere la testa dall'altra parte, del guardare il male e restare con le mani in mano".

Cosa la colpisce di più del Papa?
"La sobrietà, l'essenzialità. Non è ostentata, è vissuta. Francesco ti fa toccare con mano come ciò che conta nella vita è l'essere, non l'avere. Gli averi siamo tutti destinati a perderli, e non c'è niente di piùsaggio che metterli in comune. Ma anche l'essere va condiviso. E il Papa fa capire che la vita piena è quella che accoglie e non trattiene".

Di cosa avete parlato?
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Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - il senso del peccato e i martiri dei nostri peccati non riconosciuti - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
31 gennaio 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco: 
non perdiamo il senso del peccato

Quando viene meno la presenza di Dio tra gli uomini, “si perde il senso del peccato” e così può accadere di far pagare ad altri il prezzo della nostra “mediocrità cristiana”. Lo ha affermato oggi Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina in Casa Santa Marta. Chiediamo a Dio, ha esortato il Papa, la grazia che in noi non diminuisca mai la presenza “del suo Regno”.

Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, derubricato a “problema da risolvere”. La scelta che compie il re Davide, narrata nella prima Lettura di oggi, diventa lo specchio davanti al quale Papa Francesco pone la coscienza di ogni cristiano. Davide si invaghisce di Betsabea, moglie di Uria, un suo generale, gliela prende e spedisce il marito in prima linea in battaglia, causandone la morte e di fatto perpetrando un assassinio. Eppure, adulterio e omicidio non lo scuotono più di tanto. “Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato”, osserva il Papa. “Non gli viene in mente di chiedere perdono. Quello che gli viene in mente è: ‘Come risolvo questo?’”:
“A tutti noi può accadere questa cosa. Tutti siamo peccatori e tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno. Se qualcuno di noi dicesse: ‘Ma io mai ho avuto tentazioni’, o sei un cherubino o sei un po’ scemo, no? Si capisce… E’ normale nella vita la lotta e il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria. Ma il problema – il problema più grave in questo brano – non è tanto la tentazione e il peccato contro il nono comandamento, ma è come agisce Davide. E Davide qui non parla di peccato, parla di un problema che deve risolvere. Questo è un segno! Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, uno dei segni è che si perde il senso del peccato”.
...
“Io vi confesso, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Uria della storia, ai tanti Uria che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri”.


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Gli orrori di oggi che fingiamo di non sapere e ci rifiutiamo di vedere

Orrori dei nostri giorni... 

... Marciscono qui all’infinito, alcuni sono arrivati sei anni fa, otto di loro con mogli e figli che non vedono dal giorno in cui hanno messo piede a Gibuti. Loro si trovano ad Ali Adi, un campo per sole donne e bambini, situato a 120 km dalla capitale di questa piccola ex colonia francese.
Uno dei detenuti ha raccontato ad Africa ExPress che nel centro dormono tutti praticamente in tende. Il campo è privo di acqua corrente ed elettricità, i bambini non hanno la possibilità di andare a scuola. Pochi contatti con i familiari, non c’è copertura di rete internet, ovviamente.
Il campo di detenzione Negad si trova nel bel mezzo di un centro di addestramento della polizia, che lo gestisce e lo amministra. I rifugiati lamentano che il cibo è cattivo e scarso. Nessuno ti aiuta a proteggerti da malattie come la malaria e la tubercolosi, che qui sono endemiche...

Considerate se questa è una bambina... 
Era una bambina, si chiamava Israa al Masri. È stata filmata, secondo quello che se ne sa, lo scorso sabato, pochi minuti prima di morire di fame.
... Ci sono alcuni di noi che, quasi per professione, o per averlo fatto altre volte, o per chissà quale altra combinazione, si trovano a commentare immagini come questa, e a interrogarsi sulla sincerità propria e di chiunque guardi con loro. Se la si fosse studiata, questa rappresentazione dell'infanzia tradita e violata, non avrebbe saputo essere più eloquente. Uso a posta questo termine, eloquenza, che è una perversione del dolore, della commozione e della rivolta. Gli occhi della bambina, la bocca riarsa e la lingua gonfia, il doppio cerchio del copricapo e della maglia che la avvolgono preparandosi a restarne vuoti: è un manifesto formidabile. Lo stiamo guardando così? E non è vero che i manifesti formidabili del male, del dolore e dell'ingiustizia sono ormai destinati a restare tali, per noi spettatori, a inumidire forse i nostri occhi, ma a tenere ferme le nostre mani? E la bambina Israa, per giunta, non ci sta chiedendo aiuto, non ci sta chiedendo niente. E poi è morta. Guardiamo lei, non la prossima. Lei, anche in questa foto, anche quando è ancora viva, dagli occhi spalancati e le ciglia diventate troppo lunghe, come se non fossero state avvertite della fine, non guarda noi. E caso mai ci guarda da molto lontano, sapendo una cosa che noi non sappiamo del tutto, e che comunque non ci sembra tutto. Ci sembra un'esagerazione, se davvero si pretenda che ne diamo un giudizio. Quella cosa è che il mondo ha raccolto tutte le sue forze, il suo passato e il suo presente, per raggiungere e colpire la piccola Israa al Masri, nel campo di Yarmuk, il 14 gennaio del 2014. Questa esagerazione è la verità...

“Non ci sono più persone a Yarmuk, solo scheletri dalla pelle gialla”
... I bambini, gli anziani e le altre persone sfollate dalla guerra civile siriana stanno morendo di fame in un campo assediato dove, a pochi minuti dalla relativa prosperità di Damasco, le donne affrontano il fuoco dei cecchini per andare in cerca di cibo.
Le condizioni disastrose del campo di Yarmuk sono un esempio lampante della catastrofe che sta avendo luogo nelle aree controllate dai ribelli e assediate dal governo siriano. Lunedì, i diplomatici statunitensi e russi hanno detto che le parti in guerra stanno considerando l’ipotesi di aprire corridoi umanitari, per far entrare gli aiuti e instaurare sicurezza in vista di una conferenza internazionale di pace sulla Siria.
Interviste con i residenti e con i funzionari Onu, così come foto e video forniti all’Associated Press, rivelano la tragedia che sta avvenendo in questo campo che si espande senza controllo, dove decine di migliaia di rifugiati palestinesi e profughi siriani sono intrappolati sotto un assedio lungo anni e sempre più intenso...

«Chiedono di poter avere una risposta per mettere fine alla loro disperazione, per raggiungere i loro familiari in paesi del mondo dove governi più democratici garantiscano i loro diritti...». Una lettera firmata da due immigrati del Cie di Ponte Galeria, i marocchini Adil e Lassad - da recapitare alla Commissione Europea - è stata consegnata giovedì alla delegazione di parlamentari durante la visita al Centro promossa dai volontari di «LasciateCie entrare». Sesto giorno di bocche cucite al Cie di Ponte Galeria, continua anche lo sciopero della fame, sono in 12 a portare avanti la dura protesta e in questo gruppo sono sette gli immigrati che si sono cuciti la bocca per la seconda volta dopo la prima protesta di dicembre...
Sono poveri. Sbarcati a Lampedusa pensavano che il peggio fosse finito ma il peggio stava solo per cominciare...


A lezione di scioltezza dal Papa e dai Vescovi, quando non hanno paura di mostrarsi nella loro umanità e anzi ne sono felici.

A lezione di scioltezza
Dal Papa e dai Vescovi, 
quando non hanno paura 
di mostrarsi nella loro umanità 
e anzi ne sono felici.

di Gian Carlo Olcuire

Un'amica mi ha segnalato i due video della scorsa GMG di Rio, che contengono un flashmob (letteralmente folla lampo), cioè una convocazione rapida di molte persone in un luogo, per qualcosa da fare insieme (per lo più una danza). Il flashmob è dunque un evento improvvisato, preparato in un attimo, che richiede solo voglia di mettersi in gioco e un minimo di agilità.

La prova del flashmob per Papa Francesco la sera della veglia

La realizzazione del flashmob la mattina prima della Messa

La cosa più bella da vedere sono i vescovi che giocano, ricordando d'essere un corpo. Non restano distanti, ingessati, ieratici come Cardinalidi Manzù, paludati in paramenti che al massimo facevano intravedere una mano. E stanno allo scherzo, scanzonati, con la leggerezza delle Lezioni americane di Italo Calvino: non quella della piuma in balia del vento ma la scioltezza dell'atleta. Mostrando, tra l'altro, d'aver fatto proprio l'invito - rivolto da Papa Francesco ai giovani - a non balconear, cioè a non "stare sul balcone a guardare la vita scorrere", a non assistere senza partecipare, a buttarsi nella mischia.

Non ha paura, il Vescovo di Roma, di una perdita di portamento. Nel fare cose umane - come andare in metropolitana, raccogliere uno zucchetto, pagare il conto, portare una borsa - e nel riconoscersi peccatore.
La sua scioltezza - oltre che sul fisico - si ripercuote sul linguaggio. Come quando sa inventare metafore ardite. Anche qui, senza temere il ridicolo.
O come quando ha presentato la Misericordina, la scatoletta contenente un rosario, che fa bene al cuore: ha giocato con la parola, pur di far passare meglio un significato. E persino quando ha spiegato il proprio motto (Miserando atque eligendo) ha giocato, usando il linguaggio come strumento in grado di piegare le parole: «Il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».

C'è da augurarsi che questa capacità di non sacralizzare le parole dia frutti nella traduzione della Bibbia, magari cambiando qualche termine arcaico che non ha più ragion d'essere ma che si ha il terrore di toccare. Manco fosse stato detto da Gesù in quel modo. Forse smetteremo di chiamare prodigo il figliolo della parabola, se oggi prodigo viene inteso come "generoso" - non come "sprecone, dissipatore" - e se prodigarsi è un verbo dei volontari. E nel Padre Nostro riusciremo a rendere più comprensibili espressioni come «Rimetti a noi i nostri debiti...» e «Non ci indurre in tentazione».

Pregare nella propria lingua capendo ciò che si dice, non è un abbassamento o una perdita di rango. Tanto più per il fatto che le lingue sono vive e ricche, non volgari e incapaci di elevarsi solo perché usate ogni giorno... Se ridiamo valore alla fisicità, riapprezziamo anche quella della nostra lingua, senza sentire il bisogno di una lingua metafisica, ufficiale, nel ruolo dell'abito da cerimonia...

Insomma rendiamo grazie al Papa e ai Vescovi quando smentiscono col proprio corpo l'immagine di una Chiesa rigida, suggerendo l'idea di una Chiesa che vuol essere leggera. Anche nel dare il perdono, che non può essere un macigno pesante quanto il peccato, altrimenti il peccatore mica si rialza.
(fonte: Vino Nuovo)


giovedì 30 gennaio 2014

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - umiltà, fedeltà e preghiera - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
30 gennaio 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco: 
vero cristiano trasmette la fede

“Non si capisce un cristiano senza Chiesa”: lo ha affermato stamani Papa Francesco durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Pontefice ha indicato tre pilastri del senso di appartenenza ecclesiale: l’umiltà, la fedeltà e la preghiera per la Chiesa.

L’omelia del Papa è partita dalla figura del re Davide, come viene presentata dalle letture del giorno: un uomo che parla col Signore come un figlio parla con il padre e anche se riceve un “no” alle sue richieste, lo accetta con gioia. Davide – osserva Papa Francesco – aveva “un sentimento forte di appartenenza al popolo di Dio”. E questo – ha proseguito – ci fa chiedere su quale sia il nostro senso di appartenenza alla Chiesa, il nostro sentire con la Chiesa e nella Chiesa:
“Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda”.
Il “sensus ecclesiae” – ha affermato - è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”
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“Che il Signore –ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa”.


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L'importanza dello stile di vita nell'annuncio del Vangelo - fr. Egidio Palumbo, ocarm

L'importanza dello stile di vita
 nell'annuncio del Vangelo - 
fr. Egidio Palumbo, ocarm (VIDEO)


Estratto dell'incontro del 19 dicembre 2013
"QUANDO L'EVANGELIZZAZIONE DIVENTA CREDIBILE, OGGI?
Conversazione sulla Evangelii Gaudium di Papa Francesco"
Barcellona P.G. (ME) - Basilica di S. Sebastiano


Tutto il documento è traversato da questa preoccupazione, perché a nulla vale comunicare la "pura dottrina", la "pura ortodossia", se poi lo stile di vita contraddice la dottrina, il Vangelo.
Nei Vangeli è molto evidente che Gesù dedica meno tempo ad insegnare i contenuti, la "dottrina", e invece dedica molto più tempo ad educare i discepoli ad uno stile di vita che sia adeguato all'annuncio del Vangelo.
Gesù insiste molto non su che cosa bisogna dire, ma su come dirlo: da che parte stai quando annunci, che stile di vita vivi quando predichi, quando parli di Dio, di Gesù, quando fai catechesi, quando insegni teologia.... Perché questo e solo questo rende credibile l'evangelizzazione. Lo stile di vita è importantissimo, perché il cristiano prima di proporre una "dottrina" (un pensiero articolato e sistematico), propone una persona vivente: Gesù Cristo.
Il cristiano crede, si affida a Gesù, una persona vivente, non si affida ad un pensiero, ad una idea, ad una dottrina. il cristiano è testimone di una persona vivente - Gesù - che gli ha cambiato la vita. Non è testimone, il cristiano, di una idea o di una ideologia.
Annunciare l'evangelo con uno stile di vita che lo contraddice, significa far passare il messaggio - il non-detto - di un cristianesimo senza conversione, di un cristianesimo come religione senza fede in Cristo Gesù, di un cristianesimo ridotto a principi morali ed etici, di un cristianesimo cioè fatto per "atei devoti ".
Attenzione: questo tipo di cristianesimo non evangelizza oggi, in un mondo multireligioso e multietnico, in un modo "adulto" dal punto di vista della scienza e della tecnica e del pensiero filosofico, che non se ne fa niente se noi gli proponiamo un "dio tappabuchi".
Il mondo oggi - lo diceva già Paolo VI - ascolta i testimoni, e se ascolta i maestri, li ascolta nella misura in cui si presentano e sono testimoni, cioè mostrano attraverso il loro stile di vita che in Dio hanno scoperto con gioia il Senso vero della vita. I parolai/intellettuali da salotto asettici... non annunciano con gioia il Vangelo. L'importanza dello stile di vita: questo è pastorale!
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Una Chiesa che sa stare dalla parte di Gesù, che sa assimilare il suo stile di vita povero
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I MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2014 - "L’UMANITÀ DI GESÙ PRESENZA RELAZIONALE DI DIO"

I MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA – 2014
della FRATERNITÀ CARMELITANA 
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO

L’UMANITÀ DI GESÙ
PRESENZA RELAZIONALE DI DIO



Dal 5 Febbraio al 2 Aprile

dalle h. 20.00 alle h. 21.00 
presso la sala del convento




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Papa Francesco UDIENZA GENERALE 29 gennaio 2014 - testo e video


Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 gennaio 2014

Cari fratelli e sorelle, buongiorno,

in questa terza catechesi sui Sacramenti, ci soffermiamo sulla Confermazione o Cresima, che va intesa in continuità con il Battesimo, al quale è legata in modo inseparabile. Questi due Sacramenti, insieme con l’Eucaristia, formano un unico evento salvifico, che si chiama — l’“iniziazione cristiana” —, nel quale veniamo inseriti in Gesù Cristo morto e risorto e diventiamo nuove creature e membra della Chiesa. Ecco perché in origine questi tre Sacramenti si celebravano in un unico momento, al termine del cammino catecumenale, normalmente nella Veglia Pasquale. Così veniva suggellato il percorso di formazione e di graduale inserimento nella comunità cristiana che poteva durare anche alcuni anni. Si faceva passo a passo per arrivare al Battesimo, poi alla Cresima e all'Eucaristia.
Comunemente si parla di sacramento della “Cresima”, parola che significa “unzione”. E, in effetti, attraverso l’olio detto “sacro Crisma” veniamo conformati, nella potenza dello Spirito, a Gesù Cristo, il quale è l’unico vero “unto”, il “Messia”, il Santo di Dio. Il termine “Confermazione” ci ricorda poi che questo Sacramento apporta una crescita della grazia battesimale: ci unisce più saldamente a Cristo; porta a compimento il nostro legame con la Chiesa; ci accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere la fede, per confessare il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1303).
Per questo è importante avere cura che i nostri bambini, i nostri ragazzi, ricevano questo Sacramento. 
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Pensate quanto è importante questo: per mezzo dello Spirito Santo, Cristo stesso viene a fare tutto questo in mezzo a noi e per noi. Per questo è importante che i bambini e i ragazzi ricevano il Sacramento della Cresima.
Cari fratelli e sorelle, ricordiamoci che abbiamo ricevuto la Confermazione! Tutti noi! Ricordiamolo prima di tutto per ringraziare il Signore di questo dono, e poi per chiedergli che ci aiuti a vivere da veri cristiani, a camminare sempre con gioia secondo lo Spirito Santo che ci è stato donato.

Guarda il video della catechesi

Saluti:
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al Forum della Pontificia Facoltà di Teologia; i Silenziosi Operai della Croce; e i rappresentanti dello Spettacolo Viaggiante di Bergantino, esortandoli ad essere testimoni gioiosi dei valori cristiani della solidarietà e dell’ospitalità. Saluto inoltre il gruppo dei Cuochi fiorentini e toscani, come pure le Associazioni “Carta di Roma” e “Casa Alessia”, incoraggiando ciascuno a proseguire l’impegno verso i bisognosi e i rifugiati. Saluto le famiglie degli operai della Shellbox di Castelfiorentino con il Cardinale Giuseppe Betori e, mentre esprimo la mia vicinanza, formulo voti che si faccia ogni sforzo possibile da parte delle competenti istanze, perché il lavoro, che è sorgente di dignità, sia preoccupazione centrale di tutti. Che non manchi il lavoro. E' sorgente di dignità! Saluto le Fondazioni Associate alla Consulta Nazionale Antiusura con l’Arcivescovo di Bari, Mons. Francesco Cacucci, ed auspico che le Istituzioni possano intensificare il loro impegno al fianco delle vittime dell’usura, drammatica piaga sociale.
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mercoledì 29 gennaio 2014

Che tempo che fa : Rita Borsellino e Ficarra & Picone - 19/01/2014 (video)

Domenica 19 gennaio la trasmissione televisiva Che tempo che fa (Rai Tre), condotta da Fabio Fazio, ha dedicato, in segno di solidarietà, parte della puntata ai magistrati della Procura di Palermo oggetto di nuove intimidazioni. 
Il 19 gennaio è anche l’anniversario della nascita di Rocco Chinnici e Paolo Borsellino e, attraverso interviste e testimonianze, è stata anche un'occasione per ricordare le vittime della mafia e mantenerne viva la memoria. 
Per tale occasione il Teatro Biondo Stabile di Palermo e la Tramp ltd hanno organizzato uno spettacolo dal titolo “AL BIONDO PER NON DIMENTICARE”, il cui incasso viene devoluto interamente in beneficenza alla ONLUS MAREDOLCE.
In collegamento da Palermo Ficarra & Picone e Rita Borsellino.
I due comici siciliani eseguono un pezzo dedicato a Zio Pino. 
Alla fine del pezzo, si scopre che Zio Pino è padre Pino Puglisi.
Con Ficarra e Picone, c’è anche Rita Borsellino: “Tra Rocco Chinnici e Paolo Borsellino, c’è stato quasi un rapporto filiale e paterno. C’era sintonia sul lavoro e una sintonia dei valori”. Rita Borsellino racconta gli ultimi giorni del fratello: “Aveva la consapevolezza che sarebbe stato ucciso. Viveva le sue giornate in modo frenetico perché sapeva di non avere più tempo”.
Palermo non dimentica...
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Spazzati via i vecchi potenti della Curia


Il Papa vuole limitare il potere dei prelati italiani che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Per questo si è mosso subito con decisione. Creando non poche tensioni.

Venerdì 13 settembre 2013: il presidente della Cei Angelo Bagnasco è a Torino per la Settimana sociale dei cattolici italiani. Seduto in prima fila al Teatro Regio ascolta l’intervento del premier,Enrico Letta. A prima vista è una giornata memorabile: una rinnovata alleanza fra trono e altare, tra i vertici della Chiesa italiana e il capo del governo, il postdemocristiano Letta. Le lancette dell’orologio sembrano tornate indietro di vent’anni. Ma è solo un’illusione ottica. E Bagnasco lo sa bene. Sei mesi prima è salito sul soglio di Pietro Jorge Mario Bergoglio. Sconfitto l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, candidato della Cei, di Camillo Ruini e di una parte dei curiali italiani.
Per Papa Francesco la Cei è accomunata in quel giudizio negativo sull’italianità che, a detta dell’intero conclave, ha guastato la Curia con scandali e veleni. A 150 anni dalla fine dello Stato pontificio, il Papa argentino vuole seppellire definitivamente il potere temporale della Chiesa. Lontani dalla politica e vicini alla gente, soprattutto ai poveri, questo chiede Bergoglio ai vescovi italiani. Bagnasco si sente mancare la terra sotto i piedi. In pochi mesi ha visto sgretolarsi tutta la filiera genovese che durante il pontificato di Benedetto XVI ha tenuto in pugno i vertici della Chiesa: l’arcivescovo di Genova alla presidenza della Cei, il suo predecessore, Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il conterraneoMauro Piacenza alla Congregazione per il clero, l’ex vescovo di Savona, Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio. Perciò mentre Letta parla dal palco, Bagnasco in platea medita un colpo di scena. Poco dopo, a sorpresa, riunisce la presidenza della Cei: ci sono il segretario generale, Mariano Crociata, e i tre vicepresidenti Gualtiero Bassetti, Cesare Nosigliae Agostino Superbo. Bagnasco propone di inviare al Papa una lettera di dimissioni dell’intera presidenza. Un modo per ricompattare i vertici della Chiesa, sperando di vedersi riconfermati in blocco. I vicepresidenti sono perplessi: mentre Bagnasco e Crociata sono stati scelti da Benedetto XVI, gli altri sono stati eletti dall’assemblea e non vorrebbero fare un passo indietro. Alla fine il cardinale convince anche i suoi vice. Però sottovaluta il filo diretto che uno di loro, Bassetti, ha con il Papa. Quando Bagnasco arriva al palazzo apostolico, il Papa già sa tutto e respinge le dimissioni, ma pone due condizioni: immediata riforma dello Statuto della Cei e proroga a tempo del segretario Crociata.
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Anche la fila degli onorevoli nello studio del cardinale Camillo Ruini (83 anni a febbraio) si è molto ridotta. Al potere temporale, il Papa vuole sostituire un potere morale, libero dalla politica e dal denaro. Anche sull’uso dell’otto per mille ha in serbo qualcosa: meno soldi all’istituzione, più ai poveri. Di fronte agli oltre 20 milioni di buco della diocesi di Terni, sulla quale indaga la magistratura, Papa Francesco vuole dare una lezione: 10 milioni saranno coperti dallo Ior ma gli altri 10 dovrà versarli la Cei. Un avvertimento per il futuro a tener d’occhio come sono amministrate le diocesi. Dopo il ventennio ruiniano, la Chiesa italiana ha faticato a trovare una leadership. Il Papa punta a far emergere nuove figure, possibilmente fuori dai giochi, come i curiali del nostro Paese che ha nominato cardinali: Pietro Parolin, Beniamino Stella, Lorenzo Baldisseri. Segno che la penisola avrà ancora un ruolo nella Chiesa di domani purché trovi il coraggio di cambiare passo.
Leggi tutto: Spazzati via i vecchi potenti della Curia di Ignazio Ingrao


martedì 28 gennaio 2014

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - La gioia della lode e la festa della famiglia - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
28 gennaio 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.





Papa Francesco: 
impariamo a lodare sempre Dio!

La preghiera di lode ci fa fecondi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa, commentando la danza gioiosa di Davide per il Signore di cui parla la Prima Lettura, ha sottolineato che, se ci chiudiamo nella formalità, la nostra preghiera diventa fredda e sterile. 


“Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa immagine gioiosa, raccontata nel Secondo Libro di Samuele. Tutto il Popolo di Dio, ha rammentato, era in festa perché l’Arca dell’Alleanza tornava a casa. La preghiera di lode di Davide, ha proseguito, “lo portò a uscire da ogni compostezza e a danzare davanti al Signore” con “tutte le forze”. Questa, ha commentato, “era proprio la preghiera di lode!” E ha confidato che, leggendo questo passo, ha “pensato subito” a Sara, dopo aver partorito Isacco: “Il Signore mi ha fatto ballare di gioia!”. Questa anziana, come il giovane Davide – ha evidenziato – “ha ballato di gioia” davanti al Signore. “A noi – ha poi osservato – è facile capire la preghiera per chiedere una cosa al Signore, anche per ringraziare il Signore”. Anche capire la “preghiera di adorazione”, ha detto, “non è tanto difficile”. Ma la preghiera di lode “la lasciamo da parte, non ci viene così spontanea”:
“‘Ma, Padre, questo è per quelli del Rinnovamento nello Spirito, non per tutti i cristiani!’. No, la preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi! Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo il Santo… Questa è una preghiera di lode: lodiamo Dio per la sua grandezza, perché è grande! E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così. ‘Ma, Padre, io non sono capace… Io devo…’. Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo? Lodare Dio è totalmente gratuito! Non chiediamo, non ringraziamo: lodiamo!”
Dobbiamo pregare “con tutto il cuore”, ha proseguito: “E’ un atto anche di giustizia, perché Lui è grande! E’ il nostro Dio!”. Davide, ha poi rammentato, “era tanto felice, perché tornava l’arca, tornava il Signore: anche il suo corpo pregava con quella danza”:
“Una bella domanda che noi possiamo farci oggi: ‘Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?’. Cosa mi dice Davide, danzando qui? E Sara, ballando di gioia? Quando Davide entra in città incomincia un’altra cosa: una festa!”
La gioia della lode – ha ribadito – ci porta alla gioia della festa. La festa della famiglia


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Omelia di P. Gregorio Battaglia (video) - III Domenica Tempo Ordinario (ANNO A) 26.01.2014



III Domenica Tempo Ordinario (ANNO A) 
26.01.2014


Omelia di P.Gregorio Battaglia
Fraternità Carmelitana
di Pozzo di Pozzo di Gotto



Nella pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù inizia il suo ministero pubblico e la prima cosa che dice è "Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino"...
Prima del Vangelo noi ci segniamo la fronte, la bocca e il petto; come il sacerdote ognuno di noi dovrebbe dire "la Tua Parola sia nella mia mente, sulla mia bocca e nel mio cuore" perché è un programma di vita, perché così dovremmo imparare a vivere la nostra giornata...
Una parola al centro della pagina che abbiamo ascoltato era "una luce si è levata" e si è levata in una realtà che sa di tenebra, di ombra di morte e la cosa bella è sentirci dire che Dio non è stanco di noi... non si è stancato nel passato, non si stanca oggi e non si stancherà nemmeno domani perché è più cocciuto di noi, noi siamo cocciuti nel male, ma Lui è più forte di noi... 
Lui ci vuole parlare di Dio Padre, quasi a risvegliare dentro di noi questo desiderio di riscoprire questo legame nostro con Lui. Dio non è soltanto quell'essere lontano, è nostro Padre ed ha il desiderio di esercitare questa paternità su di noi, vuole che noi alziamo lo sguardo e ritroviamo il gusto di dirgli con Gesù "Papà nostro", ma poter dire Papà nostro significa anche incamminarci per quella strada che Lui vuole che noi abbracciamo.
E quale padre non desidera che i suoi figli si guardino tra loro e scoprano di essere fatti l'uno per l'altro?...
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lunedì 27 gennaio 2014

Dietro il suono della musica dei VIOLINI DELLA SPERANZA "il suono silenzioso delle lacrime storiche che lasciano traccia nell'anima e nel corpo dei popoli"

Nè discorsi ufficiali, nè messaggi particolari, ma una lettera personale all'amico di sempre: il rabbino di Buenos Aires, Abraham Skorka. Così Papa Francesco ha voluto esprimere la sua vicinanza al popolo ebraico oggi nella Giornata della Memoria. Il testo, scritto di suo pugno in spagnolo, verrà letto questa sera, al Parco della Musica di Roma, in occasione del Concerto “I violini della speranza”.
Nelle righe della missiva, Bergoglio confida all'amico il suo orrore per la tragedia della Shoah, che stigmatizza come una "vergogna dell'umanità". Auspica quindi che tutti coloro che parteciperanno all'evento musicale di stasera, organizzato per ricordare le vittime dell'Olocausto, possano "immedesimarsi in quelle lacrime storiche, che oggi giungono a noi attraverso i violini", e possano sentire "il forte desiderio di impegnarsi perché mai più si ripetano tali orrori, che costituiscono una vergogna per l’umanità”. 
Al di là delle melodie di Vivaldi, Beethoven e degli altri grandi compositori, ciò che importa al Santo Padre è quindi che "il cuore di ciascuno dei presenti sentirà che dietro il suono della musica vive il suono silenzioso delle lacrime storiche, lacrime di quelle che lasciano traccia nell'anima e nel corpo dei popoli”. (fonte: Zenit)


Se non parlano di certo possono ancora “suonare” le loro storie. 
Dodici violini e un violoncello recuperati e restaurati dal liutaio israeliano Amnon Weinstein il 27 gennaio torneranno a suonare, per la prima volta in Italia, all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Ci sarà il violino che faceva parte di una delle orchestrine di Auschwitz che accompagnavano i deportati nelle camere a gas, quello che fu gettato da un treno in viaggio verso i lager, e venne raccolto e conservato da un contadino polacco; ci sono i violini dei musicisti ebrei che nel ’36 lasciarono la Germania per andare a formare l’Orchestra Filarmonica della Palestina (poi di Israele) voluta fortemente da Toscanini e Huberman per salvarli dalla deportazione; i violini decorati con la Magen David (la Stella di David) che accompagnavano i suonatori ambulanti di musica klezmer; quelli che viaggiarono con i rifugiati alla volta degli Stati Uniti e furono nascosti nelle soffitte per dimenticare l’orrore.
Le voci dei violini della Shoah 
A farli vibrare la JuniOrchestra dell' Accademia Nazionale di Santa Cecilia (con musicisti dai 14 ai 21 anni), diretta da Yoel Levi. A ridare voce ai violini della Shoah artisti di origini e religioni diverse, per trasmettere un unico messaggio di vitalità e speranza nel linguaggio universale della musica, in un momento ideale di fratellanza. 
Leggi tutto e guarda le interviste: I violini della speranza

... Per ricordare le vittime delle persecuzioni, nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il Maestro Yoel Levi, Direttore della Symphony Orchestra di Seoul, dirigerà la JuniOrchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, (Praemium Imperiale 2013) composta da strumentisti dai 14 ai 21 anni. La scelta è chiaramente simbolica: per non dimenticare, la testimonianza del ricordo deve passare attraverso le nuove generazioni...
Leggi tutto con il dettaglio del programma della serata I violini della speranza

La diretta sul sito http://www.iviolinidellasperanza.it/#diretta e a questo link http://j.mp/RAI-5 sul sito di rai5 (o sul canale 23 del digitale terrestre)


Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce» - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
27 gennaio 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco: 
la santità dei vescovi, dei preti, dei laici guida la Chiesa

Non fanno notizia sui giornali ma danno forza e speranza agli uomini: sono tutti i vescovi e i preti “anonimi” che continuano a offrire la loro vita in nome di Cristo nel servizio alle diocesi e alle parrocchie. Per questi sacerdoti «coraggiosi, santi, buoni, fedeli» Papa Francesco ha invitato a pregare nella messa celebrata lunedì mattina, 27 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta.

La riflessione del Pontefice ha preso spunto dalla prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele (5,1-7.10), che racconta l’unzione del re Davide. «Abbiamo ascoltato — ha detto — la storia di quella riunione» a Ebron, quando «tutte le tribù di Israele vennero da Davide e gli proposero di farlo re». Infatti, ha spiegato, «Davide era re di Giuda ma il regno era diviso». Tutti gli anziani del popolo «hanno visto che l’unico che poteva» essere re «era Davide». Così «sono andati da lui per fare un’alleanza». Insieme, ha proseguito il Papa, «sicuramente hanno parlato, hanno discusso come fare l’alleanza. E alla fine hanno deciso di farlo re». Ma «questa decisione non era una decisione, diciamo, democratica»; piuttosto, una decisione unanime: «tu sei re!».
E «questo — ha spiegato il Pontefice — è il primo passo. Poi viene il secondo: re Davide concluse con loro un’alleanza» e gli anziani del popolo «unsero Davide re di Israele». Ecco, dunque, l’importanza dell’unzione. «Senza questa unzione — ha detto — Davide sarebbe stato soltanto il capo, l’organizzatore di un’azienda che portava avanti questa società politica che è il regno di Israele». Invece «l’unzione è un’altra cosa»; e proprio «l’unzione consacra Davide re».
«Qual è la differenza — si è domandato il Papa — tra essere un organizzatore politico del paese e essere re unto?». Quando Davide, ha spiegato, «è stato unto re di Giuda da Samuele, era piccolo, era un ragazzino. Dice la Bibbia che dopo l’unzione lo Spirito del Signore scese su Davide». E così «l’unzione fa che lo Spirito del Signore scenda sulla persona e sia con lui».Anche il brano proposto dalla liturgia, ha notato il Papa, «dice lo stesso: Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore, Dio degli eserciti, era con lui». E «questa è proprio la specificità dell’unzione».Il vescovo di Roma ha ricordato, in proposito, l’atteggiamento di Davide nei confronti del re Saul, «che voleva ucciderlo per gelosia, per invidia». Davide «ha avuto l’opportunità di uccidere il re Saul ma non ha voluto farlo: io mai toccherò l’unto del Signore, è una persona scelta per il Signore, unta dal Signore!». Nelle sue parole c’è il «senso della sacralità di un re».

«Nella Chiesa — ha affermato il Pontefice — noi abbiamo ereditato questo nella persona dei vescovi e dei preti». I vescovi infatti «non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione che si chiama Chiesa particolare. Sono unti. Hanno l’unzione e lo spirito del Signore è con loro». 
...
Qualcuno, ha notato il Papa, potrebbe obiettare: «Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!». Obiezione alla quale il Pontefice ha risposto: «Sì, anch’io l’ho letto! Ma dimmi: sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e e di campagna? La tanta carità che fanno? Il tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?» E ha aggiunto: «No, questa non è notizia!». Vale sempre, ha spiegato, il noto proverbio secondo cui «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce».
Papa Francesco ha concluso la sua riflessione invitando a pensare «a questa unzione di Davide» e, di conseguenza, «ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli». E ha chiesto di pregare «per loro: grazie a loro oggi noi siamo qui, sono stati loro che ci hanno battezzato»

Leggi tutto: Quando i sacerdoti non fanno notizia

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Credenti di buona memoria di Enzo Bianchi - La Giornata della memoria e il rapporto tra ebrei e cristiani

La Giornata della memoria è un momento privilegiato di etica condivisa, un’occasione che l’umanità si è data per esercitarsi nel discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, per riconoscere che anche belle buie stagioni di barbarie la responsabilità delle proprie azioni – e dei pensieri che le muovono – è personale. Una giornata, allora, in cui fa bene a tutti ricordare: a chi vorrebbe dimenticare perché il dolore subito è troppo grande e a chi vorrebbe farsi dimenticare perché di quel dolore è stato complice. E ricordare fa bene anche e soprattutto a chi l’inferno della shoah non l’ha vissuto, né direttamente né attraverso persone care.
Ma cosa significa in particolare questa Giornata di etica universale per ebrei e cristiani – per i credenti nel Dio biblico – e per le loro relazioni? Ebraismo e cristianesimo non solo hanno dimestichezza con la memoria, ma trovano in questa categoria del “memoriale”, del ricordo attualizzante, il cuore delle celebrazioni della loro fede. Fare memoria dell’esodo dall’Egitto, della liberazione dalla condizione di schiavitù è l’essenza stessa della festa della Pasqua ebraica. Il Dio di Israele è il Dio che ha liberato e libera il suo popolo da ogni condizione di estraneità: ogni comandamento donato dal Signore al Sinai prende le mosse da quel “Ricordati che eri straniero nel paese d’Egitto!”. Se questa memoria accompagnerà ogni tuo istante di vita, non potrai che comportarti come il tuo Dio misericordioso e compassionevole ti chiede di comportarti.
Ma anche per i cristiani la Pasqua è memoriale di un esodo decisivo nella storia della salvezza: il passaggio di Gesù di Nazareth dalla morte alla vita, il dono fatto dal Messia, Figlio di Dio, del suo corpo e del suo sangue, da celebrare osservando la sua parola: “Fate questo in memoria di me”. Per questo parlare di “memoria” per ebrei e cristiani significa andare al cuore della loro fede e non solo rievocare eventi tragici perché non si ripetano più o gesti di profonda umanità perché servano da esempio.
In questo senso la Giornata della memoria è anche l’occasione perché ebrei e cristiani si chiedano “quanta est nobis via?”, quanto cammino ancora ci resta da compiere sulla strada del dialogo, della conoscenza reciproca, dell’obbedienza all’unico Signore?
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Ciascuno di noi è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione alla svolta nel dialogo tra ebrei e cristiani. Anche questo ci ricorda la Giornata della memoria.

domenica 26 gennaio 2014

Angelus del 26 gennaio 2014 - Testo, foto e video


Piazza San Pietro
26/01/2014

Cari fratelli e sorelle buongiorno,

il Vangelo di questa domenica racconta gli inizi della vita pubblica di Gesù nelle città e nei villaggi della Galilea. La sua missione non parte da Gerusalemme, cioè dal centro religioso, centro anche sociale e politico, ma parte da una zona periferica, una zona disprezzata dai giudei più osservanti, a motivo della presenza in quella regione di diverse popolazioni straniere; per questo il profeta Isaia la indica come «Galilea delle genti» (Is 8,23).
E’ una terra di frontiera, una zona di transito dove si incontrano persone diverse per razza, cultura e religione. La Galilea diventa così il luogo simbolico per l’apertura del Vangelo a tutti i popoli. Da questo punto di vista, la Galilea assomiglia al mondo di oggi: compresenza di diverse culture, necessità di confronto e necessità di incontro. Anche noi siamo immersi ogni giorno in una “Galilea delle genti”, e in questo tipo di contesto possiamo spaventarci e cedere alla tentazione di costruire recinti per essere più sicuri, più protetti. Ma Gesù ci insegna che la Buona Novella, che Lui porta, non è riservata a una parte dell’umanità, è da comunicare a tutti. È un lieto annuncio destinato a quanti lo aspettano, ma anche a quanti forse non attendono più nulla e non hanno nemmeno la forza di cercare e di chiedere.
Partendo dalla Galilea, Gesù ci insegna che nessuno è escluso dalla salvezza di Dio, anzi, che Dio preferisce partire dalla periferia, dagli ultimi, per raggiungere tutti. Ci insegna un metodo, il suo metodo, che però esprime il contenuto, cioè la misericordia del Padre. 
...
Lasciamoci raggiungere dal suo sguardo, dalla sua voce, e seguiamolo! «Perché la gioia del Vangelo giunga sino ai confini della terra e nessuna periferia sia priva della sua luce»

Dopo l'Angelus:
Adesso voi vedete che non sono solo: sono in compagnia di due di voi, che sono saliti qui. Sono bravi questi due!

Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra...

Sono vicino con la preghiera all’Ucraina...

Oggi ci sono tanti bambini in piazza! Tanti! Anche con loro vorrei rivolgere un pensiero a Cocò Campolongo, che a tre anni è stato bruciato in macchina a Cassano allo Jonio. Questo accanimento su un bambino così piccolo sembra non avere precedenti nella storia della criminalità. Preghiamo con Cocò, che sicuro è con Gesù in cielo, per le persone che hanno fatto questo reato, perché si pentano e si convertano al Signore.

Nei prossimi giorni, milioni di persone, che vivono nell’Estremo Oriente o sparse in varie parti del mondo, tra cui cinesi, coreani e vietnamiti, celebrano il capodanno lunare. A tutti loro auguro un’esistenza colma di gioia e di speranza. L’anelito insopprimibile alla fraternità, che alberga nel loro cuore, trovi nell’intimità della famiglia il luogo privilegiato dove possa essere scoperto, educato e realizzato. Sarà questo un prezioso contributo alla costruzione di un mondo più umano, in cui regna la pace.

Ieri, a Napoli, è stata proclamata Beata Maria Cristina di Savoia... Il suo straordinario esempio di carità testimonia che la vita buona del Vangelo è possibile in ogni ambiente e condizione sociale.

Saluto con affetto tutti voi, cari pellegrini venuti da diverse parrocchie d’Italia e di altri Paesi, come pure le associazioni, i gruppi scolastici e altri... 
Vorrei anche esprimere la mia vicinanza alle popolazioni alluvionate in Emilia.

Mi rivolgo adesso ai ragazzi e ragazze dell’Azione Cattolica della Diocesi di Roma! Cari ragazzi, anche quest’anno, accompagnati dal Cardinale Vicario, siete venuti numerosi al termine della vostra “Carovana della Pace”. Vi ringrazio! Vi ringrazio tanto! Ascoltiamo ora il messaggio che i vostri amici, qui accanto a me, ci leggeranno.

[lettura del messaggio]
Ed ora questi due bravi ragazzi lanceranno le colombe, simbolo di pace.


A tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Arrivederci!



Guarda il video


Frequentare i luoghi di Dio… Omelia di don Antonio Savone nella III domenica Tempo Ordinario anno A


III domenica Tempo Ordinario anno A
Omelia
di 
don Antonio Savone 



Is 8,23-9,3; 
1Cor 1,10-13.17; 
Mt 4,12-23

Frequentare i luoghi di Dio… 

Nazaret e Cafarnao: ecco la geografia di Dio, i luoghi di Dio. 
Nazaret e Cafarnao non sono soltanto due luoghi geografici, sono anzitutto due modi di concepire la vita, due stili di comunità cristiana. 
A Nazaret Gesù vi resta per un tempo molto lungo. È il tempo in cui Gesù semina il profumo di Dio ma è anche il tempo in cui assimila gli umori dell’uomo: assimila cioè come vive, come muore, come gioisce, come soffre, come si dispera per il pane, come si entusiasma per i figli, come piange di risentimento per le ferite di coloro che gli sono cari e come si scopre improvvisamente capace di compassione e di cura per l’estraneo che non ha mai conosciuto. 
Il tempo di Nazaret non va cancellato perché finiremmo per parlare un gergo religioso pure altissimo ma incapace di parlare al cuore dell’uomo. Nazaret dice la contemporaneità di Dio alle avventure e alle fatiche del vivere dell’umanità. Nazaret, tuttavia, rappresenta pure un rischio: Nazaret vorrebbe inglobare il profeta Gesù nelle sue aspettative, nei suoi schemi. Nazaret è la tentazione dell’esclusiva, luogo del compiacimento, dove l’identità è affermata e riconosciuta, una realtà chiusa, talvolta sulla difensiva. Nazaret è il tempo della nostalgia, luogo incapace di riconoscere il nuovo di Dio tanto è vero che non tarderà a scacciare Gesù quando questi avrà la pretesa di scardinare equilibri consolidati. 
Cafarnao, dove Gesù discende, dice, invece, la disponibilità a misurarsi con una realtà altra rispetto a quella di un tempo, il riconoscere che qualcosa è mutato e perciò la preoccupazione non può essere quella di ri-editare un passato che non è più ma quella di lasciarsi interpellare dal nuovo che incalza. Discendere a Cafarnao significa accogliere la sfida della complessità, misurarsi con l’alternativa, accettare il confronto. Stare là dove la gente vive, non dove vorremmo che viva. 
Non sfugge a nessuno, credo, come non sia facile e per nulla scontato vivere a Cafarnao. Molto più rassicurante ricreare una Nazaret permanente. Di fronte alla complessità, infatti, il rischio è quello di essere disorientati. Con una duplice conseguenza: 
- o la rigidità che spesso sfocia in fondamentalismo 
- o la non consapevolezza di quello che siamo (perdita dell’identità). 
Si può scegliere di abitare a Cafarnao solo nella misura in cui si è più che consapevoli che solo il mondo reale è il luogo della fede.
Non c'è chi non comprenda quali provocazioni portino con sé questi due luoghi: 
una Chiesa compiaciuta quando è riconosciuta perché corrisponde alle attese comuni o una Chiesa capace di sintonizzarsi sullo stile di Dio? 
Una Chiesa per cristiani o, piuttosto, una Chiesa di cristiani a servizio di ogni uomo?
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